Gippo

Gippo – Un blog gestito dal Comitato Yamashita

E' un po' di tempo che sono nel Fediverso. Diciamo quasi quattro anni. Volevo quindi dare alcune informazioni a chi ci sta da poco.

1. Il Fediverso è fatto di persone.

Ok, ci sono pure i bot, comunque per lo più si ha a che fare con delle persone. Questo a volte è un problema perché le persone hanno il brutto difetto di essere umane, quindi sono permalose, oppure mancano di freni inibitori davanti ad una tastiera e uno schermo, oppure vogliono sentirsi belle e brave e promuovere una gestione energetica mondiale sostenibile. A seconda del tipo di persona, tendo ad essere il suo complementare, quindi se ho a che fare con un leghista tendo a spiegare come è brava e bella Elly Schlein, se ho a che fare con un permaloso tendo ad usare quella punta di sarcasmo atta ad offenderlo, se ho a che fare con un sostenitore di Greta Thumberg tendo a diventare un negazionista dei cambiamenti climatici e a chiamarlo “gretino” manco fossi Paolo Del Debbio.

Può essere una forma di difesa caratteriale (mettere la giusta distanza, attaccare per far capire di avere le zanne pronte all'occorrenza) oppure una patologica ricerca di engagement. Fatto sta che col tempo sto smussando questi aspetti del mio carattere. E lo stesso processo lo vedo avvenire anche in altri utenti del Fediverso.

Però va detto: diventa un ambiente digitale meno patologico ma anche con meno engagement.

2. Il Fediverso è fatto di persone brave e belle che usano Linux, riciclano i rifiuti, promuovono l'open source e ribadiscono che Musk e Zukerberg sono cattivi.

Nel corso della vita nel Fediverso vi capiterà di leggere questo. Poi di rileggerlo. Poi di rileggerlo ancora. Ok, siamo bravi e belli e raccogliamo sempre la cacca del cane. Forse ce lo ripetiamo un po' troppo ossessivamente? Forse ogni tanto se ignoriamo Musk ci facciamo un favore?

3. Il Fediverso è internet con tante applicazioni diverse.

Però a volte sono un po' troppe. Tipo l'account di Pixelfed io non so mai che farci. Ci faccio dei fumetti ok ma... Poi c'è il blog su Noblogo. Bello. Se potevo gestirlo senza Mastodon, usandolo con una minima gestione dei commenti, era meglio però. C'è una dispersione e frammentazione di utenze che non mi è mai piaciuta molto, io sono un minimalista. Cercate almeno voi di non disperdervi, per me tre account sono già troppi e mi mettono ansia.

Va bene. Questa è la mia guida del Fediverso.

FINE

Gippo for Comitato Yamashita

E' così alla fine era come avevo intuito qualche mese fa, o forse qualche anno fa. I negozi avevano cominciato a chiudere perché non c'era più alcuna convenienza a tenerli aperti, tra affitto, tassa rifiuti e bollette. Però qualcosa doveva prendere il loro posto. Magari delle saracinesche verniciate in colori sgargianti, oppure delle vetrine con delle decalcomanie artistiche o oscuranti. Qualcuno riapriva, eh. Ma erano tutte robe per donne, affinché diventassero e/o restassero belle: cosmetica e accessori, estetiste, parrucchiere. Ah, sì, poi il cibo. Se escludavamo i bisogni estetici delle donne, che poi non è che fossero così alti nella piramide di Maslow (vedi voce riproduzione), restavano solo quelli primordiali del nutrimento, anche se un nutrimento eccessivo e sovrabbondante, talvolta superfluo, talvolta impreziosito da una spruzzata social ma pur sempre il classico, intramontabile bisogno primario che ci aveva accompagnato dalla notte dei tempi: mangiare (e bere). In compagnia, certo. Annamose a fa' 'na magnata! A questo stavo pensando mentre ritornavo a camminare per il paese. Sapevo che non osservavo obiettivamente, sapevo che il mio sguardo era viziato da una visione selettiva e pessimista. Il Covid mi sembrava lontano ma ogni volta che camminavo da solo non potevo fare a meno di pensarci, anche ora che di tempo libero ne avevo sempre meno. Adesso andava di moda il PNRR e la cittadina si andava riempiendo edifici inediti, con facciate nuove, linee sfavillanti, vernici eco-friendly, coibentazioni a norma, strutture antisismiche. Eppure, che so, si faceva un nuovo ospedale e nello stesso tempo i giornali scrivevano che mancavano i medici e i macchinari specialistici. Oppure si edificava una nuova struttura con finalità sociali e i soliti giornali dicevano che c'era una fuga di giovani, un disimpegno generale, una socialità contratta e limitata alla magnata conviviale accompagnata da un alcol eccessivo e foriero di piccoli, insignificanti episodi di cronaca molesta. Insomma, si privilegiava la forma sulla sostanza e non c'era null'altro che poteva plasmare meglio la forma del paese se non la cara, vecchia edilizia coi suoi pittoreschi costruttori sempre sulla cresta dell'onda (oppure falliti, a scelta).

basket.jpg

Sì, stavo pensando proprio questo mentre andavo a cercare il campetto da basket. Avevo letto che l'avevano rimesso a disposizione per chiunque volesse utilizzarlo, in modo libero e senza lucchetti o cancelli. Non avevo portato con me il pallone, il mio era il solito vile sopralluogo che si fa in genere quando non si hanno le palle per buttarsi subito nel vivo dell'azione. C'era un ragazzino, forse terza media o primo superiore, un po' scuretto – se così si può dire, che si allenava da solo palleggiando da un canestro all'altro e provando alternativamente il tiro. Era abbastanza robusto per la sua giovane età ma la palla gli pesava e non gli entrava. Rimasi un po' ad osservare da lontano e pensai che un ultraquarantenne che si mette a giocare uno contro uno a basket con un ragazzino è improponibile, a meno che non sia suo padre o suo zio. Poi vidi fermarsi anche una monovolume metallizzata da cui scese una famigliola: padre, madre e soprattutto figlia con pallone da basket sottobraccio. La ragazzina era alta e robusta, più alta e robusta del ragazzino scuretto, e sembrava particolarmente entusiasta. I genitori le avevano detto: “Solo un paio di tiri poi basta” il che mi fece pensare che, forse, la ragazzina aveva un piccolo ritardo mentale o era una gigantessa bambina un po' sgraziata nel suo infantilismo. Fu in quel momento che mi ritrovai al fianco la ragazza mora. Quella coi capelli lunghi. “Ciao” mi disse semplicemente. Aveva una tuta rossa dei Chicago Bulls e un berretto da baseball. Insomma, era in tenuta sportiva. “Ciao” le risposi e, in virtù della confidenza creatasi dai nostri precedenti incontri, le chiesi subito di rimando: “Come ti sei conciata?”. “Sono vestita da manager di un club giapponese di basket”. “Con una tuta dei Chicago Bulls?”. Ovviamente lei non rispose. Erano già tre volte che la incontravo e non avevo ancora capito chi era, nè perché sapesse così tante cose di me, nè perché ci tenesse a vedermi nei momenti chiave delle mie passeggiate solitarie. La vidi armeggiare con il suo orologio digitale (no, non era uno smartwatch) e, dopo un paio di rapidi sfioramenti di display, avvertii una strana, improvvisa sensazione di vertigine. Mi sentii girare il capo e...

*** Tornato cosciente a me stesso chiedo: “Cosa è successo?”. “Niente” mi risponde lei “Lo scrittore si era stancato di usare il tempo al passato remoto e allora ho attivato uno slittamento temporale”. “Non ho capito” dico. Lei fa un gesto di noncuranza con la sua manina candida e delicata, come a dire che non è una cosa importante e comunque per me è troppo difficile da capire, così non insisto nell'esigere spiegazioni. Girandomi verso il campo da basket però, noto come il ragazzino scuretto, la ragazzina gigante e i suoi genitori sono perfettamente immobili. Nel caso del ragazzino, registro con orrore la posa a mezz'aria, le punte di piedi a venti centimetri dal suolo, la mano ancora protesa nell'atto di spingere il pallone, lanciato e al contempo immobile in cielo verso un canestro ad un paio di metri di distanza: una scena innaturale e impossibile secondo le leggi della fisica. Così come è impossibile la fissità degli altri attori di quella specie di foto dal vivo a cui assiste il mio sguardo incredulo. “Co-cosa è successo?” la domanda è balbettante ma stavolta non mi accontenterò di un invito a glissare. “Niente” mi risponde di nuovo lei “ho solo attivato il mio stop-watch”. “Lo stop-watch?” “Non far finta di non conoscerlo, proprio tu che vedi tutto quel porno giapponese!” “Non vedo affatto tutto quel porno giapponese, come lo chiami tu, e comunque non sono porno ma AV, ovvero Adult Video e comunque, sì, forse ne ho visti un po' in passato ma ora non più e comunque la serie con lo stop-watch non era la mia preferita!”. “Yeah, yeah, whatever” risponde lei sibillina, guardando di fronte con uno sguardo indecifrabile. Rimango sospeso anch'io in quella situazione assurda, la ragazza mora che non parla e i giovani dilettanti del basket che fanno le belle statuine imprigionate nelle loro pose. Non so come spezzare quel momento, è come se anche per me, che pure sento di avere la facoltà di muovermi e parlare normalmente, fosse stato premuto un tasto per bloccarmi. Poi, per fortuna, la ragazza mora ricomincia a parlare. “Verso la fine degli anni '40, a seguito di un esperimento di un gruppo di scienziati capitanati da Ettore Majorana, lo spaziotempo ha iniziato a collassare.” Trascorro qualche secondo in silenzio per metabolizzare quello che ha detto. Avevo capito in passato che lei era una specie di viaggiatrice del tempo e avevo fatto qualche congettura in merito ma non ero approdato a nulla. E quello che aveva appena rivelato non illuminava certo il campo delle ipotesi con la luce dell'intuizione... “Ce ne siamo accorti subito” continua lei girando la testa e guardandomi negli occhi “E temevamo se ne accorgessero tutti. Difatti c'era un fenomeno immediamente evidente che sapevamo sarebbe cresciuto a livello esponenziale: il tempo avrebbe sempre più accelerato”. “Accelerato?” “Certo. Restando invariati gli strumenti di misurazione, adeguati al nuovo ritmo, ciò che prima si completava in un'ora avrebbe richiesto sempre più tempo nominale: un'ora e dieci, un'ora e venti, un'ora e mezza... Le giornate di 24 ore si sarebbero sempre più effettivamente accorciate sotto il peso e la durata delle cose da fare. Non dirmi che non te n'eri accorto?” mi chiede con un sorriso sardonico. Io non so cosa risponderle. “I principali governi vennero subito a conoscenza del fatto e, per evitare il panico, cominciarono a cercare un modo per camuffare questa accelerazione e, possibilmente, invertirla. Per inciso, invertire questa accelerazione, magari fino a bloccare il tempo, ci avrebbe forse consentito di raggiungere il sogno dell'umanità: la vita eterna pur se condensata in un attimo che non passa mai. E d'altronde era questo lo scopo di quel primo esperimento che, fallendo, aveva ottenuto l'effetto contrario”. La ragazza mora fa una pausa per poi riprendere. “La guerra venne conclusa in fretta e furia e la propaganda bellica venne riconvertita interamente allo scopo di dissimulare nella popolazione l'accelerazione del tempo. A questo scopo vennero instillate una serie di false idee a cui si diede l'avallo farlocco di una manipolata autorità scientifica”. “Ad esempio?” chiedo. Non ero ancora sicuro di voler credere a quello che mi stava dicendo. “Ad esempio l'idea che sentire il tempo accelerare era una cosa legata all'età, cioè che vivendo più tempo e comparando il tempo presente con la massa più ampia di quello già vissuto, il presente potesse sembrare più breve. In pratica veniva detto che la percezione personale era in grado di ingannarci mentre in realtà eravamo noi stessi a ingannare la percezione delle masse suggestionandole con questa finta considerazione pseudopsicoscientifica”. “Se permetti” mi intromisi “quella che mi hai descritto è una considerazione un po' di nicchia. Un pastore abruzzese, una casalinga di Treviso, un bracciante lucano non hanno certo mai sentito questa storia...” “Infatti non si tratta dell'unico mezzo usato per confondere la gente. Un altro mezzo, il principale, è stato quello di rendere più frenetica la vita delle persone aumentando impegni e mansioni. Anche virtuali o inutili, tipo consultare Facebook o guardare la Tv o partecipare alla riunione di una associazione culturale del tartufo molisano. Per non parlare della più mastodontica e oppressiva istituzione ideata per occupare il tempo: il lavoro salariato post-rivoluzione industriale: fummo costretti a viaggiare indietro nel tempo fino al 1700 per crearlo. In pratica ci attrezzammo per fornire alle popolazioni uno o più capri espiatori cui dare la colpa dell'improvvisa carenza di tempo. E tutto questo funzionò abbastanza bene finché, nel 2012, non decidemmo di fare l'esperimento del Cern di Ginevra”. “Decidemmo? Ma chi siete VOI?” interrompo per domandare. “Ironia della sorte” continuò lei ignorandomi “non solo non invertimmo l'accelerazione del tempo ma aumentammo ancor di più la sua intensità. E oggi non riusciamo più a nascondere nulla, nè ad invertire alcunché”. “Aspetta un attimo, non mi hai affatto convinto!” dico “Se nel 1950 certi film duravano, ad esempio, un'ora e trenta minuti, com'è possibile che adesso abbiano la stessa durata?”. “Come misuriamo il tempo?” mi chiede lei pazientemente “Come ti ho detto, con degli strumenti. Questi sono basati sull'oscillazione della frequenza di minerali come il quarzo oppure l'oscillazione degli atomi, o anche la posizione del sole. Ma se tutti questi elementi inorganici accelerano con l'accelerazione del tempo, è come se vi restassero sincronizzati senza cambiare mai velocità rispetto ad esso. Gli unici che possono avvertire l'accelerazione del tempo sono gli organismi viventi, che debbono adattarsi ad esso.” La ragazza mora mi vede un po' perplesso. Difatti sto valutando seriamente per la prima volta le sue parole. E mi sono perso. “Uhm, forse ho messo troppa carne al fuoco...” dice lei “Facciamo così, ci aggiorniamo alla prossima puntata!”. La vedo toccare un'altra volta lo schermo e faccio appena in tempo a urlare: “Aspetta! Ho bisogno di più tem...”. Con la coda nell'occhio, registro nel campetto il pallone da basket che stavolta termina la sua corsa dentro al canestro mentre il ragazzino atterra sulle sue scarpe. La bambina gigante corre felice palleggiando verso l'altro canestro, sotto l'occhio attento dei suoi genitori. E la ragazza mora, nemmeno occorre dirlo... scomparve.

***

Molti pensieri si affollarono nella mia mente. Oltre alle solite domande che sempre vengono fuori quando si tratta di incongruenze nel ragionare di viaggi nel tempo. Cose del tipo: ma se sono tornati indietro fino al 1700 per distrarre le masse con la creazione del lavoro salariato moderno, non era più semplice ritornare semplicemente agli anni 40 per impedire al gruppo di Ettore Majorana di accelerare il tempo per colpa dell'esperimento fallito? Evidentemente quest'accelerazione, seppur effetto non voluto, aveva infine trovato una qualche utilità o un qualche scopo recondito al quale loro non volevano rinunciare. Ma chi erano loro? E quale poteva essere questo scopo? “Sticazzi” urlai entrando in campo e sottraendo la palla al ragazzino scuretto e alla bambina gigante. Quindi, tirando con la mano destra e la sinistra, infilai contemporaneamente, nello stesso preciso, millimetrico istante, i due palloni a spicchi nel medesimo canestro.

Gippo for Comitato Yamashita

Da oggi non sono più solo a scrivere per questo blog. Ho fatto un passo indietro e ora a gestire il tutto c'è il Comitato Yamashita, un gruppo di persone molto in gamba che ha le idee assai chiare su come vanno le cose nel mondo e su cosa occorre fare per migliorarle.

Prendendo il nome dalla nota hair stylist giapponese Yuko Yamashita, il Comitato Yamashita è un team che mira a diventare un gruppo di pressione con cui i potenti e i prepotenti dovranno fare i conti, spaziando dall'economia all'ingegneria sociale, dalla genetica alla fisica, dall'esoterismo alle teorie scientifiche eterodosse.

Il Comitato Yamashita usa metodi spicci ma giusti e, grazie ad alcune manovre oscure orchestrate negli anni passati, oggi ha licenza di muovere uomini e mezzi sullo scacchiere mondiale, giudicando e infliggendo pene anche corporali, godendo della più assoluta immunità da parte delle principali organizzazioni internazionali tra le quali, a titolo di elenco non esaustivo, annoveriamo la Nato, l'Onu, la Comunità Europea, gli Oligarchi Russi, il Partito Comunista Cinese, il Mossad, il Moma, Paul Biya, gli eredi di Berlusconi, l'Associazione per la Libera Oceania, la Yakuza, l'FBI, Bill Gates, Julian Assange Libero, Elly Schlein, il Coni, Club ex soci di Lolita Express, Elodie.

Comunque scriverò ancora qui ma lavorerò per loro. Ci sentiamo presto.

Gippo for Comitato Yamashita

E' difficile tornare a scrivere e trovare le motivazioni giuste per convincersi che sì, c'è tanto bisogno di scrivere e di comunicare al pubblico anonimo e potenziale che potrebbe leggermi e lasciarsi influenzare a credere che sono una persona arguta.

Volevo scrivere un post sull'intelligenza artificiale ma ho voluto aspettare che passasse un po' la meraviglia e la tentazione di argomentare in modo originale e spiazzante. Volevo intitolare il post:

Sei solo la copia di mille riassunti

Con l'AI ho completato la Fattoria Mallory, gli sfondi sono venuti benissimo, i personaggi un po' meno e ci ho dovuto lavorare su. Comunque per le ambientazioni, sempre meglio l'AI che il filtro acquerello sulle foto... Questo mi ha quasi spinto a: – Revisionare un mio famoso post tutorial sul come creare una visual novel mediocre; – Appendere al chiodo le mie velleità di creatore di grafica nei videogiochi.

Tralasciando l'aspetto più immediato legato alle mie reazioni istintive, è soprattutto la riflessione più profonda e viscerale legata al secondo punto che merita un approfondimento. Difatti mi è venuto da pensare alla natura stessa dell'AI ovvero copiare e rielaborare il contenuto già creato dall'uomo. Di qui il rimando al titolo che volevo dare al post e che richiama una nota canzone di Samuele Bersani. Se l'AI può essere AI soltanto perché in precedenza è stato un fottio di materiale creato da aspiranti artisti, non è forse il caso che noi esseri umani la smettiamo di creare materiale? Ecco, credo che sia una domanda seria: cosa abbiamo creato di nuovo negli ultimi tempi, come esseri umani? Abbiamo bisogno di una nuova illustrazione di Rouge the Bat nuda? O di una nuova amazzone con l'armatura lucente che le strizza le tette? O di un nuovo quadretto impressionista? O di...

Alziamo l'asticella

La AI riguarda vari settori e ha tante implicazioni: qui voglio puntare l'attenzione solo sull'aspetto che riguarda la sua capacità di creazione visuale, la sua potenzialità di sostituirsi agli aspiranti artisti. L'intelligenza artificiale, per i creativi nei quali mi annovero, potrebbe segnare un discrimine tra il nuovo e il vecchio e alla fine dovrebbe imporci la necessità di chiederci se è o meno il caso di creare qualcosa di già fatto e di replicabile, con più perizia e migliori risultati, da un programmino software. Non dovremmo smettere di creare (questa è una specie di necessità istintiva) ma solo chiederci se è il caso di pubblicare, di condividere, di mettersi in competizione con un'esercito di pigri “scrittori di prompt” per l'AI.

Poi bisogna anche cominciare a pensare, purtroppo, che la rivoluzione informatica non ha prodotto gli effetti rivoluzionari che volevamo e che forse è necessario guardare altrove, lontano dai bit, lontano dagli schermi, lontano dall'elettricità e dai circuiti elettronici, se vogliamo avere piú controllo sulle nostre vite e riuscire a cambiare qualcosa del mondo creando qualcosa di nuovo. La cosa sta diventando impellente, purtroppo.

Lasciamo allora che l'AI rielabori un deserto di vecchia spazzatura, privo di qualsiasi interesse o importanza mentre il meglio è altrove. Dove? Ancora non lo so.

P.S.: mi rendo conto di aver scritto in modo un po' anonimo e poco brillante ma vi assicuro che questo post non è stato creato dalla AI.

Gippo for Comitato Yamashita

Caro monsignor Viganò, cari amici della destra tradizionale, lasciate che vi dica, come solo un amico può fare, che avete smarrito la strada. Prendiamo la recente lettera di monsignor Viganò che designa Putin come l'ultimo custude della Tradizione. Tradizione un cazzo! Putin è forse un rappresentante della stirpe latina, erede della gloriosa tradizione dell'Impero Romano? No, ve lo dico io cos'é: in altri tempi l'avremmo definito uno “slavo di merda”! Come sapete però, viviamo i famosi “tempi ultimi”, quelli finali del Kali Yuga durante i quali il disprezzo per la divinità e il trascendente raggiunge vette inarrivate e non è il caso di fare riscorso a certe espressioni per non scatenare un putiferio. Dobbiamo tenere un basso profilo, talvolta mostrarci accondiscendenti e “restare in piedi tra le rovine” come suggeriva il maestro e custode della Tradizione (lui sì) Julius Evola. E poi, parliamoci chiaro e tondo: Putin è forse cattolico? Col cazzo! E' pure un ortodosso. Che cos'è un ortodosso? Non lo so e non lo voglio sapere, roba di quella gente slava dove è nato e si è sviluppato il germe del comunismo che adesso a voi amici confusi di destra sembra piacere tanto, persi nel vortice della vostra confusione ideologica. Per me il discorso su Putin è chiaro: prima si fa cattolico, poi vediamo se può entrare nel nostro circolo elitario di custodi della Tradizione. Ah, e già che ci sta abiura tutta la sua esperienza nei servizi segreti di quell'obbrobbio ideologico chiamato Russia comunista. E si fa un paio di plastiche e si mette due lenti a contatto scure per sembrare meno slavo. Punto. Tornando a monsignor Viganò e alle sue smarrite pecorelle (che sono tante) vorrei rivolgere un'altra critica: l'atteggiamento ostile verso Papa Francesco. Allora, partiamo col dire una cosa: Papa Francesco è la somma autorità del governo della Chiesa. Ora, se voi vi mettete contro la somma autorità, cosa vi distingue dalle miriadi di teppistelli, spesso extracomunitari, che si drogano, delinquono, fanno i ribelli da quattro soldi nei centri sociali e vanno ai concerti dei trapper? Cosa vi differenzia dai fan di Sfera Ebbasta? Niente, ve lo dico io. Credere, obbedire, combattere, diceva quello. E se oggi chi è al comando vi chiede di prendere un pene su per lo sfintere anale, voi lo prendete (ancora non ve l'ha chiesto, ma voi vi lamentate già a priori come se avesse espresso un obbligo anziché concesso un facoltà, tipo anche le farine di grilli). E' comunque un ben misero sacrificio in considerazione del fatto che un tempo chi regnava richiedeva di sacrificare la vostra vita in battaglia per il bene della Patria, della Nazione, dell'Impero! Invece voi lì a frignare, a lamentarvi, a fare i distinguo... Diciamocela tutta, avete perso l'abitudine a obbedire. E così, siccome ci sono tante persone al potere e ognuna dice una cosa diversa dall'altra, vi scegliete quella che vi fa più comodo, quella che vi consente di disobbedire impunemente e fare come cazzo vi pare. Non è questo lo spirito con cui si può cementare la coesione di un popolo con chi lo governa, in altre parole, l'identificazione della divinità attraverso l'incarnazione nel ruolo sovrano, prerequisito per la restaurazione del Sacro Romano Impero che condurrà nuovamente alla via della Tradizione. Come vedete, il punto, alla fin fine è: chi è il vero custode della Tradizione? A chi far riferimento per avere una luce nelle tenebre della dissoluzione dei tempi moderni? Per rispondere, voglio abbandonare definitivamente il pensiero debole e il relativismo che caratterizza quest'era diabolica e rispondere puntellandomi ad una sana, vigorosa presa di coscienza: il vero custode della Tradizione, la persona a cui fare riferimento per condurvi fuori da questo buio ideologico ed esistenzale SONO IO. Fate riferimento a ME. La divinità ha preso contatti con ME. Non con Putin, Trump, Bolsonaro, monsignor Viganò, nè tantomeno con il generale Pappalardo che continua bellamente a percepire una pensione da quello stesso staterello che ha diffuso i perniciosi e satanici valori liberali. Sono IO il rappresentante in Terra dell'essenza divina che vi restituirà il Sacro Romano Impero. Fidatevi. Credere, obbedire, combattere. Primo comando: infilatevi un grosso dildo nel sedere. Bisogna ripartire da un'idea di sacrificio che, amici della destra, avete troppo facilmente dimenticato. Poi ne cominciamo a parlare. Anzi, no, voi non dovete nemmeno cominciare a parlare o fare dibattiti o primarie o assemblee. Dovrete tornar usi ad obbedir tacendo, eseguendo solo quello che dico IO. Sennò va a finire come l'altra volta che era stata introdotta per il vostro bene la dittatura sanitaria e invece voi frignavate che volevate la democrazia dove Rosa Chemical si bacia con Fedez (che con la mascherina non sarebbe successo).

Gippo for Comitato Yamashita

Vi confesso una cosa: non sono uno sviluppatore di software. Però mi piace giocare a fare lo sviluppatore di videogiochi indie quindi ho pensato: “Perché non fare un bel diario di sviluppo di ciò a cui sto lavorando in questo momento?” Ebbene, in questo momento non sto lavorando a nulla. Vi parlerò quindi di questo nulla.

Per il gioco che sto sviluppando non ho assolutamente nessuna idea né, tantomeno, alcuna intenzione di completarlo e di ricavarne un prodotto finito. Per assolvere questo compito, ho scelto Love2d, un framework basato su Lua, linguaggio che da sempre associo al Vaticano, essendo stato sviluppato inizialmente in un'università pontificia del Brasile (non so se è vero, ma è importante che questo rimanga vero nella mia testa, affiché si creino inconsci puntelli mentali del genere “Dio è con me”).
Avevo già conosciuto le bontà di questo framework ma la cosa più importante di tutte riguardo questo framework è che pesa meno di 10 Mb e somiglia vagamente al Python (sempre nella mia testa) ma senza la necessità di indentare. Ci sono le tabelle, o tables, e si possono creare tabelle di tabelle di tabelle, se si vuole e si è virtuosi. Comunque una delle cose più importanti di questo framework è che lo conoscevo quindi ero già capace di: – Far comparire a schermo “Hello world”; – Sostituire eventualmente “Hello world” con un'altra stringa di testo più significativa; – Far apparire (dal nulla!) un'immagine jpg o png; – Qualche suono; – Cambiare stato, con un'apposita libreria che associa ciascun file di codice con uno stato a parte, stato richiamabile con appositi parametri tipo una funzione; – Salvare con un'altra apposita libreria; – Esportare una cosa potenzialmente inferiore ai 10 Mb.

Finora avevo fatto sempre tutto con il Notepad++ ma adesso mi sono trovato di fronte a nuove sfide, difatti non avevo alcuna idea né progetto per concludere alcunché, quindi ho dovuto sopperire alla carenza di motivazione con un paio di sterili stimoli tipici dei programmatori onanisti. Essi sono stati: 1) Un nuovo Ide che ho trovato in Zerobrane Studio. E' gratis o opensource (lo so che c'è una differenza ma non nel mio caso, specie per le mie poco significative motivazioni per le quali basterebbe una demo di ide che non salva manco il codice); 2) Una nuova libreria per interfacce grafiche in grado di semplificare enormemente (appunto) le interfacce grafiche, che ho individuato in SUIT.

Forte di questi due giocattolini/novità ma debole per l'assenza di idee e moventi interiori, ho creato una interfaccia menù con un titolo (“Fattoria Mallory”) e due pulsanti (“Comincia” e “Esci” che poi ho presto trasformato, un po' a malincuore, in “Start” e “Quit”).

Siccome non avevo un gioco in mente, ho pensato di proseguire con una specie di motore per introduzioni, roba con immagini e descrizioni prese da un file di testo che, una volta letto, crea una apposita tabella da scorrere per modificare la roba a schermo.

Poi ho pensato che forse dovevo adottare un concetto di gioco. Mi era venuto in mente di fare una roba tipo “Trova l'oggetto” dove lo scopo era individuare una sferetta verde piazzata casualmente in mezzo a un mare di sfere sgargianti e delle stesse dimensioni. Ma poi ho detto a me stesso: “Mah...”. Quindi sono tornato ad un mio pallino, una dinamica in grado oltretutto di sfruttare al meglio la libreria grafica SUIT: ho pensato così al gioco di carte. Adesso dovrei inventare il meccanismo del gioco di carte e implementarlo. Ma non ho la motivazione necessaria, nè (indovinate?) alcuna idea. Quindi?

Niente, questo era un diario di sviluppo, o devlog. Spero di non essere sembrato troppo autoreferenziale ma è tutto vero ciò che ho scritto, quindi mi auguro comunque di essere stato utile e di ispirazione.

P.S.: non è tutto, su Wikihow ho letto un tutorial su come creare un gioco di carte collezionabili. Lo sapevate che bisogna partire dall'ambientazione e non dalla meccanica di gioco? Peccato che non ho nessuna idea né sull'una né sull'altra...

Gippo for Comitato Yamashita

Cari amici del blog, come avrete notato il blog non è aggiornato molto regolarmente negli ultimi tempi.

Una lunga e inutile introduzione

Un paio di post fa ho scritto che respiravo un’atmosfera apocalittica, il che forse vuol dire che anziché parlare di ultimi tempi, sarebbe forse il caso di dire “tempi ultimi”. No, non è quella classica boccata di ottimismo che accompagna ogni fine d’anno... Semplicemente esistono tante apocalissi. La sapete no, quella storia del bruco e della farfalla e il discorso che ciò che il bruco chiama apocalisse il resto del mondo chiama farfalla, sì, insomma quella storia che dovrebbe farvi accettare più di buon grado i cambiamenti, tipo una riduzione oraria di stipendio, nuove “sfide” ecc. Esistono tante apocalissi, dicevo, e ne sto vivendo una. Ma la stanno vivendo in tanti. Quando dicevano che dopo il Covid “nulla sarà più come prima”, beh, c’avevano ragione. Quando lo dicevano dell’11 settembre c’avevano ragione. Come amo ripetere, è un po’ come quei film in cui due persone sembrano innamoratissime ma poi lui di punto in bianco dà un bel manrovescio a lei perché non allinea in modo giusto le bottigliette nella mensola del bagno. Da lì in poi è chiaro che il film cambia registro. Non è che potrà descrivere la domenica al luna park, sarà un’escalescion perché, diciamocelo chiaro e tondo, nelle coppie che funzionano, lui non tira schiaffi in assoluto, men che meno per la disposizione delle bottigliette del bagno. Ora voi direte: eh, ma lei se ne poteva accorgere prima che lui era un maniaco ossessivo! Eh, ma la coppia era destinata a scoppiare per dei presupposti sbagliati a livello caratteriale! Eh, ma (motivazione che preferite). Tutto vero ma vedete, uno può anche essere cosciente dei limiti, dei difetti ma sa anche che esistono delle soglie che non vanno superate, che esistono dei rischi da correre e si fa un’analisi costi-benefici dicendo: ok, questo rischio lo corro, speriamo che le soglie suddette non vadano infrante. Uh, sto divagando, parliamo di Doom 2.

Doom 2

Doom 2 è un gran gioco. Ai suoi tempi era troppo difficile per me ma oggi l’ho finito. Gran gioco, davvero. Non l’avevo apprezzato per la curva di difficoltà ripidissima ma avere dalla propria parte il “mouse look” anziché la sola tastiera ha aiutato tantissimo. Ha aiutato molto anche l’esperienza pluriennale in sparatutto di ogni genere. Vorrei fare una considerazione filosofica-psicologica su Doom 2 ma temo di averle esaurite tutte nell’introduzione. Quindi parliamo di “Altri robot: insolita famiglia”

Altri robot: insolita famiglia.

Ho disegnato e colorato un’intera kinetic novel (in realtà un racconto dalla forma più simile ad una sceneggiatura) di Uriel Fanelli. E’ stato un po’ come completare Doom 2, una soddisfazione. Due parole sul disegno. Era la fine del 2020 quando lessi “Disegnare con la parte destra del cervello”, libro che mi diede una prospettiva sul disegno inedita. Da allora ho introdotto nell’attività di disegnatore (che è più o meno il contrario dei miei studi e del mio mestiere attuale) pochi semplici accorgimenti: – Fare una bozza molto leggera con una matita di colore blu; – Ripassare con matita morbida e molto decisa sulla bozza; – Scansionare in scala di grigi; – Aumentare il contrasto; – Applicare il filtro “Stamp” di Photoshop; – Colorare con Fire Alpaca su più livelli dopo aver applicato il filtro che estrae le linee.

Ecco, questo è tutto. Va detto che disegnare è diventato il mio hobby e il mio antistress e che la pratica costante rende migliori a vista d’occhio. Del tipo: i disegni di un mese fa mi sembrano fatti male rispetto a quelli attuali. Ma parliamo di Fediverso.

Fediverso

Alla fine di questo 2022 faccio tre anni di Fediverso. Che sarebbero poi tre anni Mastodon, Pixelfed e Writefreely. Ho creato il blog in un periodo in cui avevo molto bisogno di scrivere. Oggi potrei tornare ad aver bisogno di scrivere come un tempo ma molte cose sono cambiate. Certo, questo blog andrebbe aggiornato un po’ più spesso! Dovrei aggiungere altro ma non mi va.

Conclusioni

Che dire in conclusione? Apocalisse vuol dire “rivelazione” quindi non un meteorite che distrugge la Terra tipo “Deep impact” ma capire che le cose che sono state fatte sinora in un certo modo, non possono più andare avanti com’era prima e quindi comportarsi di conseguenza se non si vuole soffrire troppo. Ad esempio, nella storia della coppia in cui lui picchia lei per le bottigliette sulla mensola del bagno, lei dovrebbe fare a lui il seguente discorso:

Il discorso della schiaffeggiata

Caro marito mio, io so come vanno a finire questi film. Si comincia con uno schiaffo, poi tu chiedi perdono e dici che non lo farai mai più, poi ci ricaschi e ci ricaschi e ci ricaschi di nuovo fino al punto in cui non proverai più alcuna vergogna o rimorso. E io avrò il viso massacrato ed ematomi vari finché ad un certo punto non andrò al pronto soccorso e dirò “Sono caduta dalle scale” e allora un operatore sanitario gentile e vagamente attratto da me comincerà ad avere sospetti, cercherà il mio indirizzo e scoprirà che viviamo in una villetta bifamiliare che ha solo un piano e non ha alcuna scala. A quel punto, con molta delicatezza mi inviterà a denunciarti e io dapprima ribadirò che sono caduta dalle scale, poi dirò che, sì, è vero, mi hai picchiato ma è stato un episodio isolato, poi le prenderò di brutto da te perché tu ti sei ingelosito dell’operatore sanitario gentile. E a quel punto potrà terminare solo in due modi: o finisci in galera, o muori, per suicidio o mia legittima difesa. E’ questo che vuoi? Perché é proprio questo che prevede il copione. L’unica cosa che può salvarci da questi ruoli è cambiare il copione. Invertirlo. Stravolgerlo. Io sarò la dominatrice e tu il dominato. Ti camminerò sopra coi tacchi a spillo e tu mi leccherai i piedi. E posteremo il tutto su Onlyfans. Facendoci i soldi. Ecco, solo questo può salvarci dagli sceneggiatori hollywoodiani e spiazzarli, convincendoli a seguire una nuova storia, nuovi cliché, un nuovo genere.

Conclusione 2

Esco dalla metafora per fare a tutti gli auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo! E, se lo desiderate, vi auguro di cambiare ruolo e copione.

Gippo for Comitato Yamashita

Questa estate ho letto un libro di racconti di Haruki Murakami intitolato “Tutti i figli di Dio danzano”. Ora, è molto strano che io legga romanzi, racconti o narrativa in generale e ancor più strano che la narrativa sia opera di autori famosi, affermati, di un certo livello.

Parbleu!

Per vari anni, forse a causa di un personale sentimento di inadeguatezza o insoddisfazione, ho letto saggi, manuali, guide. Anche autoaiuto. Ma anche argomenti di nicchia, quasi a cercare una via di fuga concreta da una situazione difficile. Inoltre ho snobbato la narrativa d'autore, sin dai primordi delle mie letture, quindi dalla mia preadolescenza. In famiglia c'era una piccola biblioteca ma ciò che mi interessava erano per lo più i romanzi di genere e in particolare quelli di genere giallo: andavo matto per Hercule Poirot e le avventure da me preferite erano quelle in cui c'era anche il capitano Hastings perché erano narrate in prima persona. Io pensavo inizialmente che il capitano Hastings non fosse tanto stupido e sentimentale (d'altronde ero poco più di un bambino) ma poi crescendo capii che, in effetti era davvero stupido e sentimentale, anche se aiutava il senso di immedesimazione permettendo, appunto, il racconto in prima persona. Ma tant'è.

Primo incontro con Murakami

Haruki Murakami l'avevo già letto. Avevo sempre avuto una certa passione per il Giappone per il solito motivo per cui ce l'abbiamo noi occidentali: i cartoni animati (o anime) prima e i fumetti (o manga) poi. Ebbene, sempre per questo motivo avevo letto Banana Yoshimoto ma non mi era piaciuta per niente. In effetti, oggi che la terminologia giapponese sta diventando mainstream, direi che Banana Yoshimoto è l'equivalente di un anime/manga di genere Shojo/slice of life, insomma, roba da femmine. Invece quando avevo letto Haruki Murakami erano gli anni Zero di questo millennio e mi ricordo perfettamente che lavoravo al mio primo impiego e che durante la lettura del romanzo (che era il famoso “Norvegian wood”) avevamo avuto in ditta un controllo della Guardia di Finanza, tanto che ho pensato: “Non è che questo fottuto muso giallo di Murakami porta un po' sfiga?”. A parte questa riflessione razzista, superstiziosa e, in definitiva, regrograda, il romanzo mi era piaciuto abbastanza. Alcuni lo descrivevano come il Giovane Holden giapponese. Il Giovane Holden lo avevo letto qualche anno prima e relativamente al romanzo di Salinger ricordo sempre la riflessione prodotta da un mio amico universitario il quale mi rivelò che lui lo leggeva ogni tot anni per vedere “a che punto passava”. Io l'avevo letto e lì per lì mi era piaciuto ma non al punto da rileggerlo. Difatti non ne sentii mai la necessità, lo prestai ad un altro mio amico assieme a una copia di PC Calcio originale e non mi venne mai più restituito, nè l'Holden nè il gestionale calcistico. Ma lo scrivo senza rancori o rimpianti: vuoi mettere PC Calcio con Scudetto o Football Manager? Vabbè. Di Norvegian Wood, o Tokyo Blues (sì perché ci sono 'sti due titoli) ricordo abbastanza bene due cose. La prima è il protagonista. Il protagonista è un campione di “humble bragging”, cioè si fa lo svelto, si spara le pose, fa il saputo buttandole là come se niente fosse. Un po' come quelli che vanno nei forum per gli utenti che hanno problemi con le grosse dimensioni del pene chiedendo, con apparente umiltà: “ragazzi, ho un pene di 26 centimetri, am I big?”. Ecco, il protagonista tromba come se non ci fosse un domani perché gli si buttano tutte addosso ma lo racconta come se nulla fosse, quasi un po' scocciato, quantomeno indifferente. Le questioni principali sono altre, il mistero della vita ecc. ecc. ma intanto tromba come un riccio, non è che oppone un'inazione filosofica alle profferte femminili. Ma voi direte: sì ma non è il protagonista che descrive le sue vicende ma l'autore, il protagonista è un semplice personaggio. Sarà, ma quando narri in prima persona (ricordate il capitano Hastings?) a me dà una certa sensazione di autoreferenzialità. La seconda cosa che mi è rimasta impressa del romanzo è invece una scena pedo-lesbica con la maestra di piano e la giovanissima allieva che la seduce e che la “lecca come una dannata”. Non vi spiego perché mi è rimasta impressa, comunque sappiate che negli anni Zero ero più giovane e testosteronico.

Tutti i figli di Dio danzano

Detto questo arriviamo alla raccolta di racconti che ho letto questa estate cioè “Tutti i figli di Dio danzano”. All'inizio della raccolta c'è un racconto che mi ha dato la sensazione di deja-vu di Norvegian Wood (humble bragging), sensazione che si è ripetuta in seguito in un paio di occasioni, ma in linea di massima direi che da questa lettura Murakami esce rafforzato nella mia considerazione. Insomma, mi è piaciuto. Tutto qui? Sì, tutto qui. Ero indeciso se indicare o meno quale fosse il piccolo filo conduttore dei racconti con contorno di considerazioni psicosociologiche sul Giappone e le sue sciagure collettive ma ci ho rinunciato.

Le recensioni sono pericolose

Scrivo questo commento così laconico sulla raccolta perché mi sono reso conto che recensire un libro di narrativa è una cosa che non si dovrebbe fare. Internet bisognerebbe lasciarlo perdere se si vuole scoprire com'è un'opera romanzata. E' più utile qualche citazione, come quella che mi ha portato a leggere, prima di Murakami, “Le particelle elementari” di Michel Houellebecq. Ho cominciato il romanzo dello scrittore francese e mi ha preso tantissimo ma poi ho commesso un errore: ho cercato delle recensioni, per capire se era davvero quel capolavoro che sembrava a me. Fortunatamente mi sono fermato ma... Vedete, il fatto è che m'ero fatto l'idea che Houellebecq avesse più o meno l'aspetto dell'ex primo ministro Francois Hollande (quello beccato mentre andava dall'amante in motorino) cioè un intellettuale serioso e un po' anonimo. Invece, girando per ricerche mi sono imbattuto in una sua foto e ho scoperto che ha proprio l'aspetto di un pervertito francese un po' in là con gli anni (per favore, non cercate l'immagine se non volete rovinarvi i suoi romanzi). Questo fatto mi ha bloccato nella lettura di Houellebecq per una settimana. Per questo motivo ho deciso di non scrivere nulla che assomigli ad una recensione.

In conclusione

Quest'anno, dopo i citati anni di astinenza dalla narrativa d'autore, ho letto Don DeLillo, Italo Calvino, Michel Houellebecq e Haruki Murakami. Però magari è una tendenza perché anche alla fine dell'anno scorso avevo letto Roberto Bolano e Jack London. Mi rendo conto oggi che è stato un po' troppo per la mia intellettualità da tenere sempre rigorosamente a freno. In questo momento ho deciso perciò di fare un'altra cosa per me inedita: rileggere un romanzo molto leggero che avevo già affrontato in anni apparentemente più facili. Non vi rivelo però quale, perché è una cosa solo mia. Esiste anche questo, nella lettura: lo speciale ed esclusivo rapporto con se stessi. Se si riesce a condividere è bello, se non si riesce pazienza, è bello lo stesso. E poi, a dire di che roba si tratta, confesso che mi vergogno un po'. Buona lettura a tutti!

Gippo for Comitato Yamashita

Pecorine 1

Pecorine 2

Pecorine 3

Pecorine 4

FINE

Gippo for Comitato Yamashita

Avete notato? Molti blog che un tempo erano attivi stanno oggi diradando i loro post. Altri hanno abbandonato. Altri si sono limitati a chiudere i commenti. Chiudere i commenti... dov'è finito l'engagement? Cosa dice il signor SEO? Sarà un'impressione e spesso ho imparato a non fidarmi delle impressioni personali, anche quando poi si sono dimostrate corrette (e avviene più spesso di quel che la mia modestia ammette) e soprattutto ho imparato a non trarre generalizzazioni da esse... ma si respira una strana aria in rete. Ci sono quelli che continuano imperterriti a dire tutto e il contrario di tutto restando però saldamente legati alla loro linea e alla loro identità (tipo gli integralisti cattolici filoputiniani, oppure i renziani, oppure i comunisti ottocenteschi, oppure i novax, oppure gli economisti della scuola austriaca) e poi ci sono quelli che un tempo provavano a ragionare e a esprimere un'opinione slegata da una particolare fazione e che oggi rimangono silenziosi. Ecco, io dividerei il mondo del web, ma non solo, in due categorie: gli attivisti e i silenziosi. Ma silenziosi perché? Provo a dare alcune spiegazioni plausibili dei due lati di questo fenomeno.

Gli attivisti continuano a scrivere perché vengono pagati

Gli attivisti hanno un compenso in denaro. La propaganda paga. I soldi ti fanno muovere. E' un po' il motivo per il quale mi alzo presto la mattina. Gli attivisti hanno, come lavoro, quello di scrivere per il web e, poiché non credo che Adsense sia sufficiente a dare il giusto stimolo di questi tempi, sono convinto che molti di loro abbiano una paga e un committente. Solo che, adesso che i silenziosi stanno aumentando, la cosa si nota molto di più. Intendiamoci: io sto scrivendo gratis e in passato l'ho fatto con una regolarità molto maggiore dell'attuale. Ma oggi chi scrive gratis come me ha perso molte motivazioni. Parleremo più avanti del possibile perché ma basti dire che oggi è un po' come quel racconto di Gianni Rodari in cui due allenatori maghi si affrontavano in una partita di calcio e alla fine, a forza di prodigi e incantesimi, il pallone restava dimenticato in un angolo e calciatori e pubblico se ne andavano dallo stadio. Ecco, oggi sul web è un po' così: le persone normali stanno scomparendo per lasciare il posto ai fenomeni prodigiosi che c'hanno la verità in tasca.

I silenziosi hanno percepito qualcosa

I silenziosi, che sono proverbialmente la maggioranza, hanno intuito che c'è qualcosa di storto, di sbagliato, di losco nella situazione attuale. Hanno capito che non serve a un cazzo fare campagne di sensibilizzazione o di convincimento se poi il capo della Russia va avanti di testa sua come se i bei discorsi di Fabio Fazio non fossero mai esistiti, come se si ignorasse la massima di Isaac Asimov (un russo) il quale affermava che “la violenza è l'ultima risorsa degli incapaci”. Dovremmo stanziare più fondi del PNNR per convincere Putin con un bel documentario antiviolenza girato da un promettente regista dei Parioli? Dovremmo scrivere un bel post potenzialmente virale in Russia che giunga al nostro Mad Vlad, “sensibilizzandolo”? Dovremmo far dimettere l'Academy degli Oscar per dare un segnale forte e annullare tutti gli Oscar da essa assegnati per farli riassegnare al club della briscola di Pietrabbondante che, possiamo dirlo senza timore di smentita, non ha mai dato premi a persone violente come Will Smith? C'è un certo logorio nell'aria e sta per accadere come in quel post in cui dico che un giorno Ruby non sarà più la nipote di Mubarak, però ancora è la nipote di Mubarak anche se non ci crede nessuno ma non si può dire. E allora si sta zitti.

I silenziosi stanno osservando oppure stanno guardando altrove

I silenziosi restano in silenzio per non distrarsi. Oppure hanno optato per la soluzione “quant'è bella la 'gnoranza che te fa sta be' di testa, di core e di panza!”. E allora dicono: ma io me ne vado a fare una gita fuori porta! Ma io mi termino “Tomb Raider 1” di metà anni 90 con la nude patch! Ma io mi guardo i film di Pieraccioni! Insomma, sono delusi dal dibattito (?) in rete e ritornano a guardare altrove. Magari talvolta alla realtà che, ricordiamolo, va sempre presa a piccole dosi: l'overdose di realtà è molto più pericolosa dell'overdose di virtuale. Se quest'ultima affermazione non fosse vera, non dedicheremmo così tante ore della nostra giornata al sonno. Anche quelli che hanno scelto di distrarsi gettano (o hanno gettato) un occhio alla realtà e alla possibile evoluzione futura della situazione. E la loro distrazione ha più o meno ampi gradi di “Fiato sospeso”. Sì, perché è questo il nuovo metro di misura di questa maggioranza silenziosa dei blogger, dei pensatori della rete: il “Fiato sospeso ™”. Chi riesce a sospendere meno fiato è già diventato un maestro zen. Gli altri guardano con apprensione e non hanno la forza, la voglia, l'idea di ragionare online, in post strutturati, in spazi organizzati. Vabbè, i social come al solito raccolgono i frammenti patologici di pseudoopinione ma i veri pensatori decidono di star zitti, ansiosi o fatalisti. Col “Fiato sospeso ™”, appunto. Con questo post, oltre ad aver parzialmente giustificato la mia pigrizia, vorrei trovare anche un riscontro in altri per la definizione di questa strana sensazione.

Gippo for Comitato Yamashita