Il lento declino del videogioco verso la sua malinconica fine

Prima di mettermi a scrivere per questo blog, ho voluto caricare almeno un videogioco. Si tratta di un videogame piuttosto classico nella forma e nella sostanza, con uno stile un po' retrò (è in pixel art) e con delle meccaniche già viste in centinaia di altri giochi (è un platform). Si chiama Zombie Hams e, a parte il fatto che non si tratta di zombie interi ma solo di prosciutti, non ci vedo molte novità. Ne ho di più originali ma questo secondo me è il più bello e quello che mi è costato più fatica: ci sono una decina di quadri giocabili, un boss finale, un level design un minino “studiato” e una discreta curva di difficoltà. La grafica è così così. Scrivo ciò non per dire quanto sia 'cool' il gioco ma per spiegare come faccia parte anche io di quanto andrò ad analizzare in questo post: insomma, mi sono sporcato le mani e, prima di predicare bene, ho razzolato. Bene o male non so, ma ho razzolato. Facciamo allora un passo indietro.

Un passo indietro

Si può scrivere una storia dei videogiochi attraverso la successione temporale delle console e i progressi tecnici del PC. Avendo vissuto soprattutto il gaming sul PC, sono però maggiormente titolato per narrare quest'ultimo lato di storia videoludica. Il primo lato (le console) si articola in salti tecnologici coincidenti con l'uscita delle varie macchine da gioco che si sono succedute sul mercato. Solo in apparenza la storia del gioco su PC sembra più lineare ma le discontinuità e i salti tecnologici non sono stati certo assenti (il più clamoroso è dato dall'avvento delle schede grafiche 3D) pur se talvolta fanno riferimento alle singole pietre miliari del videogame che si sono rivelate in grado di “sfruttare la potenza di calcolo del PC”. Per questo talvolta il software sembra avere il ruolo principale. Se però guardiamo più attentamente il quadro generale, notiamo come sia sempre l'hardware a giocare, nel lungo periodo, il ruolo di primo piano nell'innovazione. Quando smette di innovarsi l'hardware, generalmente finisce anche la novità sul lato software, specie per quanto concerne il videogame. Talvolta però, come vedremo, ci sono innovazioni hardware che non possono essere convenientemente sfruttate. Internet, social media e applicazioni web evolutesi fra addictiveness e colonizzazione commerciale sono un altro par di maniche che non tratteremo.

Un passo di lato

Facciamo ora un passo di lato. Forse sarà capitato a tutti di sentire l'aggettivo 'postmoderno'. Postmoderno vuol dire: il declino del moderno. L'era postmoderna non riesce ormai più a produrre nulla di nuovo e allora celebra il revival, il ricordo, il tributo e ciò che il miei amati blog di sincromisticismo chiamano “il risaputo storico”. In quest'ottica il film “Ritorno al futuro parte 2” assume valenza profetica: l'ennesimo seguito del film “Lo squalo” e il bar del futuro in cui Marty McFly ritrova la celebrazione delle icone del passato (cioè il suo presente) sono proprio un simbolo del postmoderno così come descritto in precedenza.

Un saltino sul posto

Ad un certo punto nell'evoluzione tecnologica del PC, lo sviluppo hardware, pur non arrestandosi, è giunto ad un vicolo cieco per via del software: sviluppare giochi mainstream AAA era diventato sempre più complesso, quindi costoso. Il livello di dettaglio richiesto dal 3D aveva raggiunto proporzioni impressionanti. La meraviglia data dallo sfruttamento delle nuove tecnologie si era affievolita. Ok, gli oggetti, finemente modellati e ricoperti di texture fantastiche, si potevano muovere con una fisica ultrarealistica... ma non era lo stesso senso di meraviglia del passaggio dal 2D al 3D. E, come insegnano gli esperti di marketing, l'unica qualità che conta è la qualità percepita. Se non è percepita (oltre che, nel caso del gioco, funzionale al gioco stesso) allora non conta. In questo clima 'postmoderno', in cui la novità pare essersi eclissata, spunta fuori il fenomeno indie.

Un (falso) passo in avanti

Quando esce il fenomeno indie nel mondo dei videogiochi, è già ormai prepotentemente avviato il declino dei videogiochi stessi. Era già diventato chiaro che l'hardware poteva fare ancora passi avanti ma il software non li poteva sfruttare più in ambito videoludico. Il videogioco era sempre stato uno dei motori dell'innovazione tecnologica; ad un tratto dimostrava di non stare più al passo. Per cui, arrivano i “giochini indie”. Sono le persone a partecipare alla creazione del gioco e a cercare di rivitalizzare l'industria. E laddove non ci riescono per limiti tecnici, le persone devono diventare il gioco attraverso la fruizione: è così che il multiplayer prende il sopravvento sul singleplayer. I giochi (post)moderni, per tagliare i costi e creare dipendenza, puntano tutti sul mettere a confronto (o uno contro l'altro) gli utenti. Non tutti, intendiamoci, ma il successo del multiplayer è innegabile. E dal punto di vista creativo, ovvero quello del gamedev indie? Beh, anche lì si è cercato, ad un certo punto di creare delle success stories o meglio, si è partiti dai prodotti più validi creati nell'ecosistema indie per promuovere un culto della personalità dell'indie developer. Ciò che ne è originato è stato quanto segue: – Molti hanno pensato di innovare le meccaniche di gioco ma non sono riusciti a sfuggire ad un'estetica che omaggiasse il revival, il remake e il 'risaputo storico': in quest'ottica si inseriscono tutti i lavori bidimensionali, specie in pixel art, specie quelli che si richiamano all'estetica delle vecchie console. E sappiamo quanto lo sguardo al passato sia indice di postmoderno. – In tanti hanno preso d'assalto i portali e i market (Steam in testa) e hanno svenduto il videogioco ad una logica subalterna a Youtube che imponeva di fare spettacolo in modo classico, con il gioco 'per ridere o scioccare'. Oppure si sono buttati sui temi alla moda: zombie, survival, open world non rifiniti ecc. In parole povere la perdita definitiva del concetto di videogioco come 'frontiera del possibile'. – Alla fine qualcuno è rimasto ma molti hanno capito che creare un videogioco non è come scrivere un romanzetto o fare un video su Youtube. Mancando un introito, tanto valeva allora giungere direttamente al video su Youtube senza passare per il contenuto. – La promessa di un mercato di massa dei creatori si è infranta contro le intrinseche difficoltà tecniche del videogame (quindi tempo e spesa) e contro un mercato saturatosi in fretta in cui emergere e ottenere visibilità era diventato un lavoro a parte (quindi era estremamente arduo metterci tecnica e autopromozione assieme).

Tutto questo mi fa talvolta pensare che il fenomeno indie non sia stato altro che un grande epitaffio del videogioco che fu. Videogioco che sembra aver trovato la sua forma definitiva, i suoi generi, le sue meccaniche base, nonostante la presenza di qualche scappatella indie simpatica. Sì, simpatica ma della stessa valenza di un addio al celibato prima del matrimonio combinato con le regole di una industria ipersatura. Per cui possiamo tranquillamente dire che, dopo l'ultimo sussulto di vitalità indie, il videogioco è irrimediabilmente defunto.

Questa è la conclusione logica a cui vi ho condotto e con la quale spero vi troviate d'accordo. E quindi? Quindi niente, ho già in mente il mio nuovo gioco, retrò e postmoderno al punto giusto.

Purtroppo quando si scrive un blog si devono fare affermazioni definitive, spero che almeno apprezziate che non abbia profetizzato la fine del capitalismo.

Nel prossimo post parlerò di come rivoluzionare il mondo del videogioco, oppure recensirò Clash Royale.

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