BENVENUTI AL GETSÈMANI

“L’anima mia è addolorata a morte: trattenetevi qui e vegliate.” (Marco, XIV – 32)

Il sipario lentamente s’apre sull’incontaminata natura che ignara non s’avvede dell’uomo che cammina tra gli ulivi. Sospira e prega. È Gesù. I rami contorti degli alberi gli ostruiscono la visuale, forse incespica tra le radici, ma si risolleva, raggiunge uno spiazzo senz’alberi e si ferma, contempla per un’ultima volta la bellezza creata. Una mano al volto per asciugare una lacrima solitaria che rotolando solca l’angoscia e le preoccupazioni. Dove volge lo sguardo nella notte? Osserva il cielo fatto di stelle? Orione, Sirio, Cassiopea… La luna illumina l’imponenza del Tempio di Gerusalemme… quanto dispiacere Gesù porta nell’animo a causa del dio denaro simulacro d’estrema cupidigia. Fatto qualche passo, in quel posto che ben conosce, trova un masso e sedutosi si mette ad ascoltare. Sente lo scorrere impetuoso del torrente Cedron, in quel luogo dove tutto il resto tace. Un ribollir che rimbomba al ritmo accelerato del suo cuore. Solo l’aria è immota e fremente nell’attesa carica del peso dell’esistere che ammanta l’animo d’enorme dolore. Ecco la scenografia è pronta, la natura indifferente ha svolto il suo preciso compito tra la quiete che fa da sfondo all’addormentato Orto degli Ulivi fulcro dell’importante snodo, crocevia del libero arbitrio, di una scelta che vede i principali attori: Nostro Signore e l’Apostolo Giuda, muoversi sull’inaspettato, decisivo proscenio affinché ogni cosa possa compiersi. Terminata la Cena, l’Ultima purtroppo, Gesù si è recato in questo podere che è di proprietà di un amico, com’è solito fare per ritirarsi in preghiera seguito dagli amati Discepoli. Con il passare delle ore i compagni pian piano si sono addormentati, cullati dalla tranquillità del luogo e dal fascino scontroso della notte, ignari di quel che sta per accadere. Nostro Signore è qui, nel Getsèmani, e così lo immagino: la pelle ambrata bruciata dal sole, i capelli corvini lunghi e ondulati, con la barba, gli occhi intensi e scuri a far lo sguardo serio e severo su un volto decisamente affilato e duro. Brusco nei modi e nella parola, determinato, concentrato nel riflettere, rassegnato nella fine, all’elevato sacrificio che lo attende. È un uomo e ha paura. Paura di un destino che si deve compiere, per forza e purtroppo, perché il Padre così ha deciso, ha stabilito che Suo Figlio dovrà morire, un estremo sacrificio che dev’essere compiuto anche per il bene di chi non se lo merita. Un Figlio, un uomo diverso dagli altri proprio per la sua bontà. Triste, disperato in quelle ore d’abbandono, d’angoscia e d’agonia. Solo, solo tra la gente che non l’ha compreso, solo nella disperazione di giorni bui, solo nella desolazione di una vita fatta di discorsi che portano bontà inconcepibile però all’umana gente. Povero tra i poveri, ultimo tra gli ultimi, scartato da chi, perso tra egoismi fratricidi e accecato da insormontabili cattiverie, bieche meschinità e latenti avidità, non gli ha permesso di continuare a insegnare l’amore. È sempre stato tra loro, le parole inascoltate, travisate. Un uomo di carne e sangue, ma non l’hanno voluto vedere, miopi, ciechi di fronte all’Altissimo, all’Alfa e all’Omega, all’inizio e alla fine di tutte le cose. Sono gli ultimi momenti di libertà, ora si è inginocchiato vicino a quella pietra, prostrato nel buio con gli occhi lucidi, lo sguardo perso e con la paura che gli attanaglia il cuore, prega, prega Suo Padre che sembra proprio averlo abbandonato. Non gli resta che un’unica cosa da fare: accettare la Passione. Ci vuole coraggio, un’incredibile forza d’animo, sospira e con voce che par quasi un sussurro dice:

“…Padre, è giunta l’ora…” (Giovanni, XVII – 1)

Da dietro le quinte, dal buio che ammanta la notte arriva l’Apostolo designato: Giuda, non è solo, un manipolo di soldati è con lui, le armature e le spade mandano bagliori alla luce della luna. Giuda gli si fa vicino, lo bacia sulla guancia ispida, è il culmine della scena, l’atto conclusivo, è il segno del tradimento. L’Iscariota dal volto arcigno segnato dal destino e dalla bramosia profonda si fa menzognero tra le ombre che a fatica e controvoglia nascondono il vil gesto. Preso da quel voler per sé ciò che è profondamente indegno abbassa infine lo sguardo sui trenta miseri denari che lo fan schiavo condannandolo per sempre all’ignominia. Quale sguardo si scambiano? Sicuramente intenso, carico di significati, occhi negli occhi, in quelle pozze nere e profonde. Che cosa vedono? Giuda che cosa comprende? La decisione è dettata dall’avidità o sa d’esser stato scelto per mandare a morte il Figlio di Dio perché tutto si possa avverare? Gesù prende definitivamente atto del suo atroce destino? Riesce a vedere la cattiveria, la cupidigia negli occhi dell’Apostolo oppure vede la tristezza per essere costretto a sacrificare l’Agnello di Dio all’umano bene? In quel Getsèmani, che si fa teatro di un dramma, i due uomini si sono capiti e perdonati? Questo mi chiedo dopo tanto riflettere. La risposta è sì, credo proprio di sì, perché il bene portato è ciò che fa da sfondo alla triste, inumana e ingiusta storia. Ed è così che il sipario si chiude sul fulcro delle scelte facendosi snodo tra le fronde nodose degli ulivi, su una vicenda che si perde nella notte dei tempi, ma che al contempo si fa vita d’ogni giorno ricordando che l’amore è un dono e a volte purtroppo anche sacrificio. E quel teatro è lì, è lì che aspetta, accessibile a chiunque, ciascuno può aprire il sipario e ognuno può riscrivere e ripensare a ciò che nel Getsèmani è avvenuto, può sentirlo nel proprio animo perché è una scelta, si tratta sempre di una scelta.

Giulia Grignani ©