Casa Giulia Grignani

ANGELI

Angeli, creature celesti dalle impalpabili ali delicati come farfalle. Esseri soprannaturali fatti di luce, prisma di colori presi a prestito dall’arcobaleno. Essenza di bontà, compassione e gentilezza. Spiriti gioiosi che danzano volteggiando al suono dell’infinito universo rincorrendosi fra le selle. Voci argentine in armonia di suoni, soavi melodie che si diffondono nell’immensa volta celeste, sublime incanto ed estasi dei sensi. Dolci sorrisi che scaldano il cuore, avvolgenti abbracci che proteggono, un amore sconfinato che rincuora perché non chiede nulla in cambio. Un sogno, un’idea, un’impressione che accompagna lungo il percorso dell’esistenza, che fa bene all’anima, che allevia il cuore e che dona serenità allo spirito. Questo immagino siate voi Angeli Celesti.

Giulia Grignani ©

IL PORTALE

Un giorno come tanti, un giorno buono per portare a spasso la vita, per trascorrere momenti senza dare adito a pensieri, mi ritrovo immersa in secoli di storia; decido di fermarmi. Davanti a me si stagliano nella loro magnificenza sedici bianche colonne, dedicate a San Lorenzo, vestigia d’antico splendore e dal fascino millenario al tempo di Mediolanum capitale. Alzo gli occhi al cielo per incontrare quella maestosità sentendomi piccola nella mia umana imperfezione, insignificante al solo pensiero di chi fondò le civiltà del mondo. Osservo il colonnato prendendomi il mio tempo con la calma che permette alla mente di capire e agli occhi di vedere. Al centro delle colonne c’è una sorta d’apertura, in quel preciso momento si fa luogo d’entrata verso qualcosa che non dovrebbe essere, sembra un passar di porta che forse al nulla conduce. Mi avvicino, appare come un deforme specchio, mi guardo attorno per vedere se qualcun altro se n’è accorto, ma la gente passeggia incurante, ignara di quel che sta accadendo. Stranamente nessuno fa caso a me e a quella cosa apparsa immantinente. Solo io la vedo? Possibile? Sono forse quegli strani sogni a occhi aperti, oppure quelli soliti concessi da Morfeo? O potrebbe forse essere un’evasione inventata dalla mente a destare preoccupazione? Non so che cosa fare, vorrei chiedere aiuto, ma il coraggio mi viene meno, perciò rimango lì ferma, immobile allo sguardo, indecisa sul da farsi in balia d’incontrollabili eventi. Tergiverso basita nel timor panico che inspiegabilmente dilaga attratta comunque da ciò che mi si è parato innanzi. Ma che cos’è? Non capisco, sembra quasi un portale spazio-tempo. Le certezze vengono meno se di fiducia in se stessi si tratta. Decido di fare un respiro profondo che immancabilmente non dà alcun frutto, certe idee si sa, se non sono supportate da un credo, non danno risultato alcuno, perciò, con tutta la tensione di cui sono capace faccio qualche passo e mi avvicino alla strana apparizione. Tendo la mano con l’intenzione di toccare quel che a parere mio ha l’apparenza di un informe vetro, la superficie, un po’ opaca e un poco trasparente, è mutevole di forma, sembra inquieta, mi viene quasi da pensare che non sia soddisfatta di sé. Mi specchio deformandomi, inseguendo visioni distorte che per niente appagano il mio stato. Decido di toccare. Nell’esatto punto del tocco immediatamente s’allargano innumerevoli cerchi concentrici come goccia che cade nell’acqua e d’imperitura forza ondeggiando avanza. Incantata, incredula e alquanto impressionata rimango in silenzio e osservo. Al tatto non ho sentito nulla. Come spiegarlo? Com’è fatta questa cosa che all’apparenza sembra impalpabile niente? Perché apparire proprio davanti a me? Lo specchio sembra chiamarmi, mi attrae, ancora una volta non mi tiro indietro, mi faccio coraggio e varco il passo. Il senso del perdersi nell’aria immota, quasi lattiginosa, mi destabilizza sgretolando rimasugli d’esigue certezze. È un salto nel buio, nel consapevole timore del non tornare, ma con la speranza e il desiderio di sapere, di poter vedere l’ingombrante e scomodo passato troppo spesso opportunamente dimenticato. Un dono dunque. Cerco risposte alle mille e più domande sul creato e sul privilegio dell’esistere. Spero di poter osservare il tempo nel suo evolversi e nel costante dipanarsi. Strano questo retrocedere lento che pare quasi immoto, osservo il ritorno delle lancette dell’ora e quelle dei minuti, non lo percepisco questo ripensamento dell’incedere. Dimentica d’impossibilità preconcette grata accolgo il diverso e inusuale che mi attende e che cede il passo all’eccezione portando in palmo di mano il seducente e inquieto ignoto. Com’è strana la misurazione di stelle e giri di pianeti, del battere e levare del cielo e degli astri che fan di vita l’uomo. Tempo, entità astratta priva di materia, ma credibile metamorfosi che in vecchiaia avanza. Così ritorno all’antico, al tempo lontano, che pare quasi battito di ciglia, tempo che si fa tempo. Il mio sguardo da attonito muta attento, da timoroso diventa audace, la mente trepida nel vuoto che ovatta nell’attesa d’esistenza aspettando ciò che potrà essere in corsi e ricorsi rincorrendo eventi. Il nulla sembra nulla, ma in un modo che colma e in un silenzio che pare lontananza. Sa d’abbandono questo spazio-tempo. Mutevole l’opaca trasparenza risulta ancora impalpabile, m’impressionano i prismi di colore, i bagliori di luce e le oscure ombre che inquiete avanzano facendosi tormento. La realtà travalica la ragion d’essere del mutevole tempo ordinario. Interessante questa smaterializzazione di confini in un evadere che sa d’infinito silente e d’ignoto deforme. Vacillo nell’attimo stesso di un ripensamento, poi però la brama di sapere si fa pressante invadendo cuore e ragione facendosi esistenza che già mi appartiene. Procedo in timorosi passi, lasciandomi levitare in leggerezza, come in etereo sogno dimentico me stessa in un rilassamento di corpo e mente. Improvvisamente tutto si dipana come impalpabile nebbia che si scioglie scomponendosi e disvelando immagini che si fanno storie di passato. Un muro di basse case intonacate in bianco appare dal nulla e mi ritrovo fuori dallo spazio-tempo in una stretta via di pietra lastricata. Dove andare? Osservo inquieta, forse a mano manca? All’improvviso da quella parte uno scalpitare di zoccoli avanza vorticosamente rimbombando feroce sul selciato. Un uomo a cavallo lanciato arramba senza intenzione alcuna di fermarsi. Faccio un passo indietro cercando di sottrarmi al furore del galoppo, percepisco l’intento dell’uomo di travolgermi nell’implacabile indifferenza della vita umana. I miei passi retrocedono nella paura in cerca di salvezza ed ecco sono di nuovo nel portale, inghiottita nell’ignoto senza possibilità alcuna di sapere, di conoscere ciò che è stato. Fortunatamente nella nebbia ritrovo l’equilibrio evitando di cadere. Palpita ancora il cuore nella gola, mi faccio forza avanzando di alcuni passi, mi perdo, per un attimo, ma già sono fuori nel mio tempo, quello familiare. Osservo le colonne che fanno da spalla al traffico di una città in veloce mutamento, nessuno sembra accorgersi di nulla, nessuno mi guarda. Ritorno in me. Sollievo, delusione e rimpianto d’occasioni perse s’affacciano sul mio animo al triste evaporare di un sogno. Mi volgo a osservare nuovamente il portale per cogliere un’altra occasione, non c’è più tempo, scomparso, dissolto come neve al sole ben attento a non lasciare traccia! Non saprò mai se fu onirico sogno o desiderio d’evasione o forse più semplicemente un’opportunità che nel bel mezzo della vita non ho saputo, potuto, voluto cogliere.

Giulia Grignani ©

LA VIA DELLA SETA (…e di tutti i miei vorrei)

Vorrei viaggiare verso luoghi lontani, esotici, attraversare regioni e territori inesplorati. Vorrei percorrere le rotte carovaniere della Via della Seta e della Via dell’Incenso; antiche rotte commerciali: punti d’incontro di civiltà, mescolanze di lingue, usanze, tradizioni e religioni. Vorrei vedere ciò che resta delle antiche città di Petra e Palmira: vestigia di un lontano passato ormai dimentico, un viaggio a ritroso nel tempo per ritrovare posti d’indiscutibile fascino e d’incredibile varietà culturale. Vorrei sentire sotto i piedi la sabbia del deserto e sulla pelle il caldo torrido del sole. Trovare sollievo dall’arsura presso un’oasi, dissetarmi alla fresca acqua di un pozzo e godere dell’amabile ospitalità dei beduini. Vorrei camminare seguendo le orme del grande esploratore Marco Polo, attraversare il Medio Oriente e l’Asia Centrale, raggiungere la Cina, passare la Grande Muraglia, arrivare a Pechino, la Città Proibita, che porta su di sé il peso di secoli di storia. Vorrei seguire le rotte marittime aperte dagli esploratori portoghesi, come l’indimenticabile Vasco de Gama, navigare facendo rotta verso il golfo del Bengala, lo Stretto della Malacca e veleggiare fino a raggiungere le rinomate Isole delle Spezie. Sentire il profumo dei chiodi di garofano, della noce moscata, della cannella, della mirra e dell’incenso. Vorrei percorrere la tratta carovaniera attraverso il Mediterraneo e vedere l’Oman e lo Yemen, le vie che hanno favorito la diffusione dei tesori d’Oriente, che hanno permesso la divulgazione d’idee e conoscenze e che hanno contribuito a creare la civiltà permettendo a noi d’essere quello che oggi siamo.

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IL PASSO

Osservai stupita la nuova via che mi si parava innanzi e che in un tripudio di colori s’apriva all’orizzonte. Feci un passo timorosa. D’acciottolato rivestita la strada m’invitava su un terreno accidentato, sconnesso come l’animo che appresso mi portavo. Arrivò il passo più sicuro, la forza mi rinvenne e la testa alzò lo sguardo. Un arco in pietra scura prometteva nuova vita, guardando nell’altrove verdeggiando si stagliava solitario l’albero che rigoglioso e d’ampia chioma orgogliosamente si mostrava. Torreggiava nell’azzurro e ritrovandomi inondata da quella luce così eterea finalmente respirai. Inteso avevo allora che un dono m’aspettava perché la SPERANZA di verde è rivestita e di LIBERTÀ n’è pieno il cielo.

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LA SIRENA

Sole perché ti nascondi alla preziosa incantevole luna avvampando d’amore dietro a soffici nuvole? Luna perché volgi lo sguardo incapace di nascondere ancora il rossore alle numerose stelle? Dolce e inconsapevole la sensuale danza, allegoria di un amore che nasce destreggiandosi giocoso nell’infinito mare del cielo che ondeggiando incanta. Così si compie ciò che è scritto nel destino, così ogni cosa trova attuazione nella sostanza di un sentimento del bene che porta all’abbraccio che si fa casa. …e così la sirena si tramuta in donna intonando il meraviglioso canto d’amore e nel supremo idillio la voce si fa silente permettendo all’anima di danzare.

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IL RICORDO DI ULISSE

Vagar per desolate lande ricercando l’ignoto sperduto tra pensieri e ameni luoghi, quieto lo smarrirsi. Viaggiare, osservare per poi scoprire e nel profondo abisso riconoscersi. Nostalgia a scandire il ricordo, chimere d’antichi fasti ormai sbiaditi, consunte immagini cullate tra nuvole e mare. Il presente scomponendosi memore stato d’abbandono lento scorre e come sabbia scivola tra le dita. Ammaliator si fa il canto tra caparbie onde. Chi sei, soave fanciulla che irretisci i sensi? Perché travolgi i cuor degli uomini? La mente inganna opache parole di pensieri contorti nell’oblio della ragione, disperato l’invoco del ritorno …lontano il perdersi, flebile il sentire lacrime che dilavano a inondar stagioni, nell’assordante silenzio il non detto dell’anima.

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MEMORIALE DI UN GENOCIDIO BINARIO 21 – STAZIONE CENTRALE DI MILANO

La banalità del male mi annienta in un ricordo doloroso che non ho vissuto stretto tra oscurità e indifferenza. Mi opprime questa fabbrica di morte senza senso, di campi di sterminio e d’ideologia dell’odio tra pagine di vergogna e grida di dolore che come monito qui giacciono. Pezzi disumanizzati caricati a forza su convogli d’ignoto massacro in veloci rantoli, urla e strepiti affogati con violenza nel terrore. Sono serrati al petto gli affetti rimasti tra bieche grida d’assassini e latrati di cani. Percosse su inermi corpi, sassi come macigni scagliati su silenzi d’orrore e d’imperitura infamia inesorabilmente dilaniano il mio cuore. Posso solo immaginare gli agghiacciati, impauriti sguardi, le implorazioni al cielo e lo sferragliare imperterrito di un treno che senza requie famelico divora la sua strada. Non c’è ritorno, non c’è speranza, solo certezza di un’immancabile fine, inutile supplicare chi di pietra ha il cuore, poiché l’odio fomenta l’odio in bramoso divorare d’anime. Come si guarda in faccia la morte? Con la consumata vigliaccheria dei carnefici, con l’indifferenza o l’ignominia di chi soggiace al brutale potere oppure con la racimolata dignità di sei milioni di vittime? Auschwitz, Birkenau, Mathausen, Treblinka, Buchenwald, Dachau… la stretta al petto si serra ogni volta che pronuncio un luogo di barbarie, fatico a continuare. Dove sono i nomi di chi non c’è più? Misericordiosamente li declamo in dolce e sofferta preghiera che si fa ricordo e monito, compassione e sofferenza, luce che si fa strada nelle tenebre a reclamare l’eterno perdono.

Giulia Grignani ©