Giulia Grignani OMICIDIO AL MANIERO La seconda indagine di Giada Rubino Pontecorvo Romanzo Giallo Amazon.it
PROLOGO
Albese, 274 d.C.
Aveva lasciato il contingente di cui faceva parte in Gallia, in quell’estremo baluardo di frontiera lui e i suoi compagni, quasi tutti veterani, avevano combattuto contro le orde barbariche che avevano osato sfidare l’impero, certo non avevano partecipato a imprese memorabili, ma si erano comportati valorosamente sconfiggendo i nemici permettendo così l’espansione dei confini.
Aurelio Proculo, soldato di Roma della I legione Minerva, durante una di quelle sanguinose battaglie era stato gravemente ferito al fianco. Non potendo più essere utile in combattimento aveva preso congedo dall’esercito e ora stava tornando a casa. Prima però doveva portare a termine un’ultima missione, avrebbe tenuto fede alla promessa che era stato costretto a fare.
Quella notte la luna era parzialmente coperta dalle nubi e si vedeva a mala pena, ma Aurelio doveva finire quello che aveva cominciato, perciò colpì forte con il coltello più e più volte, fortunatamente il terreno era abbastanza friabile. Continuò a scavare aiutandosi anche con le mani, la buca doveva essere abbastanza profonda per poter nascondere il sacchetto di monete che l’uomo, trovato agonizzante sulla strada, gli aveva affidato.
Qualche giorno prima percorrendo a cavallo un sentiero poco battuto che si snodava attraverso la boscaglia, indicatogli come via più veloce per raggiungere il fiume Adda, s’imbatté in un gruppo di persone. Fermatosi a una certa distanza per non farsi scorgere scese da cavallo e si nascose dietro la folta vegetazione. Non riuscendo a capire che cosa stesse succedendo avanzò silenziosamente sempre attento a non farsi scoprire. Un uomo cercava, con scarso successo, di trattenere per le briglie un cavallo recalcitrante, vicino a lui il compare sporco di sangue continuava a inveire contro l’amico e la bestia.
I due presi a domare il destriero, che si agitava inquieto, non si accorsero della presenza del soldato romano. Aurelio si avvicinò ulteriormente e quando vide l’uomo riverso a terra estrasse la spada dal fodero. Non ci pensò due volte a intervenire lanciandosi all’attacco con la lama sguainata. Combatté contro uno degli assalitori poiché l’altro era impegnato a trattenere l’animale. Fu facile per il soldato avere la meglio e con un ultimo affondo riuscì a ferirlo in modo non grave a un braccio. L’altro malintenzionato, visto ciò che stava succedendo, pensò bene di darsela a gambe, saltò in groppa al cavallo e scappò in preda al panico nel fitto della vegetazione; Aurelio, in quegli attimi concitati e frenetici e distratto dalla mossa del secondo nemico, non si avvide che quello che aveva ferito, approfittando della situazione, si stava allontanando in tutta fretta nella direzione opposta. Aurelio lo inseguì per un breve tratto, ma l’intricata boscaglia e soprattutto la ferita al fianco, non ancora del tutto guarita, ebbero la meglio e a lui non restò che desistere.
Tornò indietro per prestare soccorso alla vittima dell’aggressione, avvicinandosi si rese conto della gravità in cui versava l’uomo: respirava a fatica, era chiaro che stava morendo, non restava altro da fare che rimanergli accanto in quegli ultimi momenti d’agonia.
Osservandolo notò che indossava abiti di ricercata fattura, probabilmente si trattava di un ricco mercante; nelle vicinanze però non c’era neanche l’ombra di un servitore, il soldato pensò che forse il vile se la fosse data a gambe al primo accenno di pericolo. Reputò poco saggia la decisione dell’uomo di viaggiare da solo, se avesse avuto più buon senso si sarebbe aggregato a qualche convoglio per evitare il rischio di essere derubato. Il carro, fermo poco distante, era desolatamente vuoto, nella migliore delle ipotesi il mercante era riuscito a fare una buona vendita, ma in quel caso la fortuna non gli aveva di certo arriso.
Riportò l’attenzione sull’uomo morente, aveva i capelli grigi, parecchie rughe sul viso ed era abbastanza vecchio da poter essere suo padre. A un tratto il mercante aprì lentamente gli occhi e a fatica cercò di parlare, Aurelio gli prese la mano per trasmettergli un po’ di conforto, l’uomo dopo qualche tentativo e facendo uno sforzo immane flebilmente riuscì a dire «…mi chiamo Valerio Metronio… porta questo sacchetto alla mia famiglia…» poi la voce si fece poco più di un sussurro «…passa il fiume… dieci giorni di cammino…» infine in un rantolo aggiunse «…ti prego» dopodiché spirò.
«Lo farò» disse il soldato romano non sentendosi di rifiutare quell’ultima richiesta. Gli chiuse gli occhi e sebbene non avesse attrezzi per scavare una fossa trascinò il corpo nella boscaglia cercando comunque di dargli degna sepoltura. Lo tumulò ricoprendolo di pietre per evitare che le bestie selvatiche potessero sbranarlo, poi pregò gli dei che l’accogliessero nei Campi Elisi. Terminato il triste compito aprì il sacchetto di pelle che aveva recuperato dal cadavere e vide che era pieno di monete, ne contò più di mille, erano tutte d’argento e di rame; le sue supposizioni trovarono così conferma.
Per questo Aurelio stava scavando a mani nude nel terreno, per tenere fede alla parola data. Era sempre più convinto che fosse stato il fato a farli incontrare, probabilmente faceva tutto parte di un disegno molto più grande a lui incomprensibile.
Quello stesso giorno era arrivato in un villaggio vicino alla riva dell’Adda costituito da case e conglomerati di capanne, purtroppo la ferita al fianco aveva ricominciato a dolere e aveva bisogno di cure, perciò aveva deciso di fermarsi a riposare. Fortunatamente aveva trovato posto per dormire in una locanda. Osservando gli avventori del locale e sapendo che la campagna si trovava in territorio ostile, dove le scorrerie di feroci e disperati uomini dediti al saccheggio erano all’ordine del giorno, decise di cercare un luogo isolato dove nascondere il tesoro che gli era stato affidato: la rupe e il fiume sarebbero state le coordinate ideali e necessarie per poterlo recuperare in seguito.
Mise il sacchetto di pelle nel terreno e ricoprì la buca. Prima di tornare alla locanda scese verso l’argine del fiume per dare un’occhiata, doveva accertarsi che esistessero punti d’approdo per poterlo attraversare. Se voleva raggiungere il villaggio della famiglia di Valerio Metronio avrebbe dovuto proseguire per la strada che si snodava oltre il fiume e ci sarebbero voluti dieci giorni di cammino, stando a quello che gli aveva detto l’uomo negli ultimi momenti d’agonia. Completata la missione sarebbe tornato in quel villaggio; il posto non era male e la figlia dei proprietari della locanda gli piaceva parecchio, era una donna giovane, graziosa e soprattutto procace, l’avrebbe chiesta in moglie così finalmente avrebbe messo su famiglia.
Certo che quei mille denari d’argento e di rame gli avrebbero fatto proprio comodo, purtroppo la misera paga da soldato non gli aveva permesso di mettere via molto e la tentazione d’appropriarsene era forte, ma lui era un uomo di parola e di sicuro non era un ladro.
Si avventurò lungo la sponda verdeggiante d’arbusti proprio dove il fiume faceva un’insenatura, proseguì addentrandosi nella boscaglia tra la fitta e intricata vegetazione. C’era parecchia umidità in quel luogo e una leggera foschia si alzava dall’acqua lungo l’argine. Da lontano sentì il grido di una civetta, lo considerò come un presagio di morte, forse il destino stava per presentargli il conto, il solo pensiero lo fece rabbrividire. Continuò a procedere facendosi largo tra gli arbusti spinosi nonostante i rovi che gli graffiavano i polpacci, i calzari chiodati da soldato, decisamente utili in battaglia, non lo proteggevano affatto.
Si fermò, in quel momento sentì un rumore di rami spezzati e un frusciare di foglie… non era solo. Tre figure sbucarono dal buio sbarrandogli il passo, a quell’ora della notte potevano essere solo briganti, Alemanni forse, la loro superiorità numerica era un grave svantaggio, tenuto conto che era anche ferito. Quello era proprio il posto ideale per un’imboscata e lui era stato tanto stupido da non averci pensato.
«Dove credi di andare?» l’apostrofò l’uomo con la cicatrice sul volto.
Non rispose, non scappò, un soldato romano non indietreggiava, non fuggiva di fronte al nemico. Con i sensi allertati, la spada nella mano destra e il pugnale nella sinistra era pronto a sferrare l’attacco. Li scrutò con attenzione per capire da che parte potesse venire il maggiore pericolo.
«Non lo sai che c’è un pedaggio da pagare se si vuole attraversare il fiume?» lo minacciò uno dei tre mettendo mano al pugnale.
«Non ho denaro con me.»
«Questo lo vedremo.»
«Sono un soldato di Roma.»
«Soldato, se cercavi rogne le hai trovate» disse il brigante senza una mano.
Aurelio fece un passo avanti brandendo la spada, gli aggressori indietreggiarono, prese fiducia pensando che forse avevano timore per ciò che lui rappresentava, purtroppo però non si avvide dell’uomo che gli era sopraggiunto silenziosamente alle spalle mentre gli altri compari avevano il compito di distrarlo. Il quarto assalitore lo colpì violentemente sul capo con un bastone, il soldato sentì un forte dolore, all’improvviso tutto si fece buio, crollò a terra con un gemito mentre la vita l’abbandonava. Il colpo mortale, inferto con violenza, gli aveva fratturato il cranio.
L’infausto presagio si era avverato.
Il brigante che l’aveva ammazzato lo girò e cominciò a frugarlo in cerca di monete, ne trovò alcune. Un magro bottino per una vita spezzata.
All’improvviso sentirono dei rumori.
«Presto sbrigatevi, sta arrivando qualcuno.»
Uno dei complici prese la spada che Aurelio teneva ancora nella mano.
«Il coltello, aveva anche un coltello, ma dove è finito?»
«Dai scappiamo, non c’è più tempo.»
Lo lasciarono sul terreno privo di vita. Il corpo nascosto tra i rovi, il coltello, che era caduto lì vicino, rimase sotto a un cespuglio e un paio di monete dimenticate dagli assalitori finirono poco distante tra la vegetazione.
Un cane si avvicinò ad annusarlo, poi più nessuno si curò di lui.
Giulia Grignani ©