IL PORTALE

Un giorno come tanti, un giorno buono per portare a spasso la vita, per trascorrere momenti senza dare adito a pensieri, mi ritrovo immersa in secoli di storia; decido di fermarmi. Davanti a me si stagliano nella loro magnificenza sedici bianche colonne, dedicate a San Lorenzo, vestigia d’antico splendore e dal fascino millenario al tempo di Mediolanum capitale. Alzo gli occhi al cielo per incontrare quella maestosità sentendomi piccola nella mia umana imperfezione, insignificante al solo pensiero di chi fondò le civiltà del mondo. Osservo il colonnato prendendomi il mio tempo con la calma che permette alla mente di capire e agli occhi di vedere. Al centro delle colonne c’è una sorta d’apertura, in quel preciso momento si fa luogo d’entrata verso qualcosa che non dovrebbe essere, sembra un passar di porta che forse al nulla conduce. Mi avvicino, appare come un deforme specchio, mi guardo attorno per vedere se qualcun altro se n’è accorto, ma la gente passeggia incurante, ignara di quel che sta accadendo. Stranamente nessuno fa caso a me e a quella cosa apparsa immantinente. Solo io la vedo? Possibile? Sono forse quegli strani sogni a occhi aperti, oppure quelli soliti concessi da Morfeo? O potrebbe forse essere un’evasione inventata dalla mente a destare preoccupazione? Non so che cosa fare, vorrei chiedere aiuto, ma il coraggio mi viene meno, perciò rimango lì ferma, immobile allo sguardo, indecisa sul da farsi in balia d’incontrollabili eventi. Tergiverso basita nel timor panico che inspiegabilmente dilaga attratta comunque da ciò che mi si è parato innanzi. Ma che cos’è? Non capisco, sembra quasi un portale spazio-tempo. Le certezze vengono meno se di fiducia in se stessi si tratta. Decido di fare un respiro profondo che immancabilmente non dà alcun frutto, certe idee si sa, se non sono supportate da un credo, non danno risultato alcuno, perciò, con tutta la tensione di cui sono capace faccio qualche passo e mi avvicino alla strana apparizione. Tendo la mano con l’intenzione di toccare quel che a parere mio ha l’apparenza di un informe vetro, la superficie, un po’ opaca e un poco trasparente, è mutevole di forma, sembra inquieta, mi viene quasi da pensare che non sia soddisfatta di sé. Mi specchio deformandomi, inseguendo visioni distorte che per niente appagano il mio stato. Decido di toccare. Nell’esatto punto del tocco immediatamente s’allargano innumerevoli cerchi concentrici come goccia che cade nell’acqua e d’imperitura forza ondeggiando avanza. Incantata, incredula e alquanto impressionata rimango in silenzio e osservo. Al tatto non ho sentito nulla. Come spiegarlo? Com’è fatta questa cosa che all’apparenza sembra impalpabile niente? Perché apparire proprio davanti a me? Lo specchio sembra chiamarmi, mi attrae, ancora una volta non mi tiro indietro, mi faccio coraggio e varco il passo. Il senso del perdersi nell’aria immota, quasi lattiginosa, mi destabilizza sgretolando rimasugli d’esigue certezze. È un salto nel buio, nel consapevole timore del non tornare, ma con la speranza e il desiderio di sapere, di poter vedere l’ingombrante e scomodo passato troppo spesso opportunamente dimenticato. Un dono dunque. Cerco risposte alle mille e più domande sul creato e sul privilegio dell’esistere. Spero di poter osservare il tempo nel suo evolversi e nel costante dipanarsi. Strano questo retrocedere lento che pare quasi immoto, osservo il ritorno delle lancette dell’ora e quelle dei minuti, non lo percepisco questo ripensamento dell’incedere. Dimentica d’impossibilità preconcette grata accolgo il diverso e inusuale che mi attende e che cede il passo all’eccezione portando in palmo di mano il seducente e inquieto ignoto. Com’è strana la misurazione di stelle e giri di pianeti, del battere e levare del cielo e degli astri che fan di vita l’uomo. Tempo, entità astratta priva di materia, ma credibile metamorfosi che in vecchiaia avanza. Così ritorno all’antico, al tempo lontano, che pare quasi battito di ciglia, tempo che si fa tempo. Il mio sguardo da attonito muta attento, da timoroso diventa audace, la mente trepida nel vuoto che ovatta nell’attesa d’esistenza aspettando ciò che potrà essere in corsi e ricorsi rincorrendo eventi. Il nulla sembra nulla, ma in un modo che colma e in un silenzio che pare lontananza. Sa d’abbandono questo spazio-tempo. Mutevole l’opaca trasparenza risulta ancora impalpabile, m’impressionano i prismi di colore, i bagliori di luce e le oscure ombre che inquiete avanzano facendosi tormento. La realtà travalica la ragion d’essere del mutevole tempo ordinario. Interessante questa smaterializzazione di confini in un evadere che sa d’infinito silente e d’ignoto deforme. Vacillo nell’attimo stesso di un ripensamento, poi però la brama di sapere si fa pressante invadendo cuore e ragione facendosi esistenza che già mi appartiene. Procedo in timorosi passi, lasciandomi levitare in leggerezza, come in etereo sogno dimentico me stessa in un rilassamento di corpo e mente. Improvvisamente tutto si dipana come impalpabile nebbia che si scioglie scomponendosi e disvelando immagini che si fanno storie di passato. Un muro di basse case intonacate in bianco appare dal nulla e mi ritrovo fuori dallo spazio-tempo in una stretta via di pietra lastricata. Dove andare? Osservo inquieta, forse a mano manca? All’improvviso da quella parte uno scalpitare di zoccoli avanza vorticosamente rimbombando feroce sul selciato. Un uomo a cavallo lanciato arramba senza intenzione alcuna di fermarsi. Faccio un passo indietro cercando di sottrarmi al furore del galoppo, percepisco l’intento dell’uomo di travolgermi nell’implacabile indifferenza della vita umana. I miei passi retrocedono nella paura in cerca di salvezza ed ecco sono di nuovo nel portale, inghiottita nell’ignoto senza possibilità alcuna di sapere, di conoscere ciò che è stato. Fortunatamente nella nebbia ritrovo l’equilibrio evitando di cadere. Palpita ancora il cuore nella gola, mi faccio forza avanzando di alcuni passi, mi perdo, per un attimo, ma già sono fuori nel mio tempo, quello familiare. Osservo le colonne che fanno da spalla al traffico di una città in veloce mutamento, nessuno sembra accorgersi di nulla, nessuno mi guarda. Ritorno in me. Sollievo, delusione e rimpianto d’occasioni perse s’affacciano sul mio animo al triste evaporare di un sogno. Mi volgo a osservare nuovamente il portale per cogliere un’altra occasione, non c’è più tempo, scomparso, dissolto come neve al sole ben attento a non lasciare traccia! Non saprò mai se fu onirico sogno o desiderio d’evasione o forse più semplicemente un’opportunità che nel bel mezzo della vita non ho saputo, potuto, voluto cogliere.

Giulia Grignani ©