🔙✨ Come ho affrontato la mia prima diagnosi di artrite: superare il passato e la depressione 🏥🩺💪
<< Ogni cosa sembrava richiedermi uno sforzo così grande che non iniziavo neanche a farla. Sentivo che non ne valeva la pena e non sarei riuscito a completarla. Ogni compito che mi veniva affidato sul lavoro non faceva che alimentare questa sensazione di inadeguatezza, di pesantezza, di impegni che erano sempre più grandi, così tanto grandi da fare paura. E in tutto questo, ovviamente, il dolore non passava. >>
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Nel corso della mia vita mi sono sempre sentito a disagio con tutte le situazioni in cui non riuscivo a venire a capo dei problemi che dovevo risolvere. Sono certo che sia capitato a tutti, ma se anche tu sei un malato invisibile, credo che tu possa capire molto meglio cosa intendo con energie limitate e continui problemi di salute da affrontare. La nostra esistenza si trascina piuttosto che svolgersi.
Ci sono poi eventi che non è possibile controllare, come quelli che ti raccontavo nell'episodio precedente. Prima di scoprire che la mia vita stava procedendo verso un abisso, mi era molto più facile riprendermi dalle difficoltà. Non credo che sia stato semplice superare tutto quello che ti ho raccontato, ma in qualche modo credevo che fosse una specie di allenamento. Ho sempre creduto che la vita mi stesse lentamente spronando a lasciare andare, accettare lo scorrere del tempo. Ricorda che in quegli anni non ero cosciente delle mie patologie ed ero ancora convinto che i problemi dipendessero solo dal normale invecchiamento.
Negli anni precedenti alla perdita del lavoro avevo regalato a Samuele, mio nipote, la chitarra nera che avevo comprato nell'estate del '96. Me l'ero sudata tutta e aveva un valore anche sentimentale particolare per me, essendo stata la mia compagna di tanti momenti memorabili e belli, ma effettivamente non ne avevo più bisogno e gliel'avevo regalata molto volentieri. D'altra parte, io avevo la chitarra di Steve in mano.
Giusto a gennaio del 2017, però, non riuscivo più a suonare. Ci avevo provato tanto, ma già l'anno precedente mi ero reso conto che le dita, anche se si spaccavano meno rispetto a tanti anni prima, ormai mi facevano male continuamente. Un male diverso da quello superficiale della pelle, un dolore profondo, diffuso a tutte le articolazioni della mano e molto molto intenso. Le medicine indiane che prendevo mi aiutavano molto in questo senso. Ti ricordi quelle di cui ti avevo parlato e che mi aveva consigliato il medico ayurvedico nel mio viaggio in India? Ma rispetto al passato mi ero ritrovato a prenderle tutti i giorni anziché sporadicamente. Nonostante questo, le dita non avevano più forza e non si muovevano in accordo con quello che il mio cervello diceva loro di fare e suonare era dolorosissimo. Mi piangeva il cuore, ma suonare in quelle condizioni era impossibile.
Più ci provavo, più il dolore aumentava, fino a impedirmi di muovere le mani. La precisione, l'agilità e la flessibilità delle mie mani erano sparite. Dall'amplificatore uscivano suoni senza senso, note stonate, gracchianti, che non comunicavano nessuna emozione se non lo schifo che provavo io ascoltandole.
Nel corso del tempo avevo accumulato vari strumenti, cinque chitarre elettriche e una acustica. Li avevo acquistati con molta fatica, a parte la chitarra di Steve by che, per un colpo di fortuna, mi ritrovavo tra le mani. Ma ora tutti quegli strumenti restavano in un angolo a prendere della polvere, ricordandomi a ogni sguardo quello che era stato e che non poteva essere più, quello che io ero stato e che non avrei mai più potuto essere. Era evidente che i tempi andati non sarebbero tornati. Avevo perso tutto. Dissi a mio nipote Samuele che avrebbe potuto prenderli tutti lui, se lo desiderava, un prestito a tempo indeterminato. Non lo ringrazierò mai abbastanza per avere dato nuova vita a quegli strumenti. Samuele suonava già la chitarra in quegli anni. Gli avevo forse attaccato io questa malattia? Oggi ho la consapevolezza che quelle chitarre ora stanno facendo quello per cui sono nate: dare gioia. Ne stanno dando a lui e quindi ne stanno dando dieci volte di più a me.
C'era anche un'altra situazione senza via d'uscita che sentivo di dovere risolvere in qualche modo. Avevo un sacco di tempo e niente da fare per riempirlo se non cercare lavoro. Il mio istinto mi diceva che avrei dovuto studiare, finire quella laurea che avevo lasciato in sospeso, ma non ne avevo più le energie. Faticavo a tenere le penne in mano e a scrivere più di qualche parola, ma anche a reggere qualcosa di così pesante come un corso di laurea in ingegneria. Nel giro di due mesi avrei compiuto 40 anni, 40 anni e non avevo neanche terminato il primo anno di studi. Di questo passo avrei finito magari a 50 anni, troppo tardi. Cosa avevo combinato nella vita? Sarebbe stato del tutto inutile insistere, avrei solo perso altri soldi. Quindi chiusi anche con l'università. Mi sentivo triste perché avevo perso un'altra delle cose che ero stato, un altro pezzo di me, ma mi sentivo anche più leggero. Due situazioni stagnanti che per me erano diventate solo un rimpianto e un peso ora non c'erano più. In un modo o nell'altro si erano chiuse, non dovevo pensarci mai più. Non so come, ma questo pensiero mi aiutava. Avevo preso la decisione che era tempo di guardare avanti. La vita mi aveva sferrato un brutto colpo tra la perdita del lavoro e tutto il resto, ma il rovescio della medaglia era che pensavo di averlo superato e di essere finalmente più resistente. Credevo di esserne uscito più forte e in effetti mi sentivo davvero più forte. Avevo superato tante situazioni difficili nella vita e alla fine ne ero sempre uscito, quindi che ne arrivasse pure un'altra, ormai non c'era più niente che potesse fermarmi. O quasi.
Con questo spirito, a marzo del 2017 avevo deciso di non pensare più al passato e dare un nuovo corso alla mia esistenza, finalmente libero dalla morsa della procedura di fallimento. Avevo iniziato un corso professionale su un argomento che mi affascinava da sempre. Sto parlando della virtualizzazione dei server, parolone che se non sei un informatico esperto ti dirà poco, ma in sostanza si tratta di mettere i server uno dentro l'altro, come si fa con le matriosche. Grazie a queste tecnologie, al giorno d'oggi si riescono a risparmiare tantissimi soldi rispetto al passato, ma anche a migliorare l'efficienza delle macchine e ridurne l'impatto ambientale, soprattutto per i grandi data center. Io credo che sia affascinante. Avevo già capito che l'unico modo per restare a galla in questa società è quello di cambiare, di evolvere, di espandere la propria conoscenza. La società della performance, d'altra parte, ci vuole così. Il corso che iniziai a fare trattava di informatica avanzata e, al di là del fascino, mi sembrava che fosse una via saggia da intraprendere, soprattutto per chi come me aveva dovuto accantonare anche il sogno di una laurea. Sicuramente mi avrebbe aiutato a trovare un nuovo lavoro, magari anche più appagante. Poi, questo tipo di tecnologie rappresentava un po' la somma e l'espansione di tutto quello che già conoscevo nell'informatica, quindi la mia conoscenza si sarebbe nuovamente ampliata notevolmente. Sarei diventato finalmente più interessante per le aziende. Quando avevo iniziato a lavorare tanti anni prima, avevo idea che a un certo punto, dopo avere accumulato tanta esperienza, tutto sarebbe stato più semplice. Niente di più lontano dalla verità. Il mondo del lavoro è un mostro con migliaia di teste, una specie di Cerbero dei giorni nostri che è impossibile da domare, salvo in rari casi. Anche se non sei un malato invisibile, non sarai mai abbastanza, non farai mai abbastanza, chiederai sempre uno stipendio troppo alto perché si pretende il meglio da tutti e ci sarà sempre qualcuno più bravo di te o disposto a lavorare per uno stipendio più basso. Cerbero considera tutto questo, le tue aspirazioni e le tue attitudini saranno quasi sempre ignorate, ed è un vero peccato questo, perché è proprio quando si valorizzano i talenti che le persone danno il meglio di sé. Questa miopia tutta italiana è qualcosa che ci sta rovinando, a mio parere, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. In questo contesto è impossibile venire a capo, anche da sani. Figuriamoci quando hai una spada di Damocle sulla testa, come accade a me e a tutti gli altri malati invisibili. Quello che speravo nel 2017 si è realizzato solo in parte. Dopo il corso sulla virtualizzazione, un nuovo lavoro era arrivato molto presto e anche in famiglia c'erano belle notizie. Mio papà poteva finalmente tornare a casa dopo un lungo ricovero in ospedale e un intervento che lo aveva messo a durissima prova. Sembrava che io fossi riuscito ad evitare l'abisso, ma non avevo capito che ci stavo finendo direttamente dentro.
Apparentemente filava tutto liscio. Il nuovo lavoro mi piaceva, anche se era molto diverso da qualsiasi altra cosa avessi mai fatto prima. Era faticoso inserirsi in un'azienda molto grande in cui quasi tutto era nuovo e i problemi dell'informatica si risolvevano in maniera molto diversa rispetto alle altre aziende in cui avevo lavorato. Ma è anche vero che c'erano tanti stimoli e il corso sulla virtualizzazione che avevo appena fatto aveva finalmente un impiego pratico. Avevo ripreso a viaggiare, mosso dal desiderio di rivedere le Canarie. Ci volevo tornare, come ti dicevo, non passava giorno senza che ci pensassi. Avevo già maturato l'idea che avrei voluto trascorrere lì il resto della mia vita, se avessi potuto. Iniziai a sognare Fuerteventura già molto tempo prima di arrivarci. A gennaio del 2018 finalmente partii per scoprire quest'isola fantastica delle Canarie, emozionato come un bambino piccolo a Natale. Volevo capire quanto fosse diversa da Tenerife, l'isola che mi aveva fatto innamorare, e volevo anche vedere come avrei reagito davanti ai suoi paesaggi desertici, così particolari. Devi sapere che a Fuerteventura non cresce neanche un alberello. Raccontata così potrebbe sembrare un posto bruttissimo, ma ti assicuro che trovarsi lì a contemplare le sue distese che sembrano quasi marziane, così vuote come sono e color pastello, il suo deserto dorato con le sue dune che si gettano in un oceano turchese, è qualcosa di veramente magico. Ho avuto la fortuna di vederla in un momento in cui non c'era nessuno e mi ritrovavo spesso da solo ad ammirare una spiaggia così grande che non si riusciva neanche a vedere dove finisse all'orizzonte. Fuerteventura però non mi aveva fatto venire la voglia di viverci. Dopo qualche giorno il paesaggio continuavo a vederlo bello e interessante, scattavo tantissime fotografie, ma l'isola era pressoché vuota e tutto quel vuoto mi metteva un po' di angoscia e di tristezza. Fuerteventura non era calda e vitale come mi aspettavo, ma in ogni caso sempre meglio che rientrare nel buio dell'inverno emiliano, nel freddo della pianura. Sarei rimasto lì molto volentieri. Su, nella peggiore delle ipotesi, avrei trovato 18° al ritorno a casa. Un'altra influenza terribile mi costrinse a letto per settimane. Pensare che il mio sistema immunitario fosse indebolito e imbot mi dava do, ma allo stesso tempo mi ammalavo tanto spesso e questa cosa per me era inspiegabile.
Con il passare dei mesi mi ritrovai sempre più spesso esausto, a digrignare i denti e cercare di sopravvivere in quel posto di lavoro che aveva a che fare con il mondo sanitario e di conseguenza mi dava tanta tanta ansia. Ormai tutto è informatizzato e se non avessi svolto bene il mio lavoro avrebbero potuto esserci delle conseguenze dirette sulla vita dei pazienti. Non ero certo che avrei potuto tollerare a lungo questo stato di cose, anche perché non si perdeva occasione per ricordare a me e ai miei colleghi quanto fossimo inadeguati per questo ruolo. Le dita delle mani mi facevano male sempre di più, così come le articolazioni e le dita dei piedi. Andando in palestra avevo messo su nel corso degli anni tanta massa magra e poi ero anche ingrassato un po', e ora i 90 kg abbondanti si facevano sentire ad ogni passo. Per questi dolori ai piedi il medico mi mandò da un fisiatra, ma la visita fu del tutto inutile. Mi venne detto che avevo 41 anni e, come tutti i quarantenni, avrei dovuto riconsiderare il mio abbigliamento: via le scarpe rigide, benvenute le scarpe alte e gommose. Mi era anche stato suggerito di mettere dei plantari ortopedici. A me questa proposta convinceva veramente pochissimo, tanto più che nonostante li avessi presi non stavano risolvendo il problema. E per quanto riguardava le mani, beh, ormai facevano proprio male anche lavorando sulla tastiera tutto il giorno, così come i polsi, il collo, gli avambracci. Davo la colpa alla palestra e all'età, ma una parte di me sapeva che non era così.
Verso fine anno fu la sostituta del medico di base a prendere in mano la situazione. “Quella che ha sulle mani è psoriasi, lo sa?” mi disse. Mi era già stata detta questa cosa, ma continuavo a non crederci. “No, no,” le risposi, “è allergia, sono allergico al nichel.” “Io non ci giurerei,” disse la dottoressa. “Facciamo una cosa, andiamo da un dermatologo.” Ci andai subito e il verdetto venne confermato: psoriasi. Questa roba strana e pruriginosa che mi aveva devastato le mani e le altre parti del corpo per anni era sempre stata psoriasi e io non l'avevo mai saputo, o meglio, avevo fatto finta di non saperlo. Ora non potevo più ignorarla.
Quando tornai dalla dottoressa le parlai del verdetto e, visto che ero lì per l'ennesimo mal di schiena, lei fece uno più uno. Mi chiese se avessi mai fatto una visita in reumatologia, notando anche il colore rosso della mia barba. Mi suonava veramente strana questa domanda: perché sarei dovuto andare in reumatologia? Ero mica un vecchio! E poi, cosa c'entrava il colore della mia barba? Ma siamo impazziti?
Nel corso dell'anno le cose cominciarono a peggiorare, però. Nel 2019 tutti i dolori aumentarono e non c'era volta che andassi in palestra senza tornare con qualche dolore pesante. Ricordo che una volta, per circa un mese, non fui neanche in grado di infilarmi la giacca a causa di un dolore alla spalla estremamente forte. Il reumatologo mi fece mille domande, ma una in particolare mi fece gelare il sangue. “I dolori che sente aumentano o diminuiscono di notte?” Risposi che aumentavano, e anzi, alcuni uscivano fuori proprio di notte o comunque non appena mi risvegliavo. Mi visitarono tante volte nel corso dell'anno e all'ultimo incontro mi dissero che la diagnosi non poteva essere ancora certa. Avrei dovuto prendere degli antinfiammatori eventualmente più forti, specifici per chi ha l'artrite o problemi simili, poi avremmo visto come andava, se il dolore poteva essere gestibile. Col senno di poi, quel medico aveva capito tutto, ma probabilmente non aveva ancora degli elementi certi per fare la sua diagnosi e non si sbilanciò. Mi visitarono tante volte nel corso di quell'anno a intervalli regolari e mi fecero tantissime domande ogni volta. Soltanto verso la fine dell'anno mi fecero fare una risonanza al bacino, visto che il dolore nella zona lombare era tornato e si era fatto costante. La risonanza mise in evidenza delle calcificazioni dolorose e molto caratteristiche che si trovavano sulle creste iliache e in altre zone del bacino. Il medico mi fece anche delle ecografie estremamente approfondite a mani e piedi. Ci volle quasi un'ora e alla fine mi disse che l'ipotesi dell'artrite prendeva forma con più corpo. Era probabile.
Non riuscivo ad accettare questo verdetto e nemmeno a parlarne con nessuno. La cosa non era ancora certa, ma il verdetto mi aveva colpito profondamente. Era qualcosa di troppo grande, troppo importante per poterlo elaborare in poco tempo. Avere questa cosa aumentava e mi sembrava che ci fosse un peso enorme sopra di me, quello di un mostro che aspettava soltanto il momento giusto per saltarmi addosso e togliermi tutte le cose belle. Anzi, ora cominciava a essere molto chiaro che il mostro era già saltato sopra di me e mi aveva già tolto tutte le cose belle. Non potevo crederci, non ero così vecchio. Non sapevo bene cosa significasse questa cosa, ma mi era chiaro che era qualcosa di degenerativo e che il dolore sarebbe aumentato per sempre, fino a manifestarsi dappertutto. Avevo tanta tanta paura. Pensavo che la vita fosse finita. Avevo letto infatti che esistono forme di artrite che colpiscono solo alcune parti del corpo, ma l'artrite psoriasica colpisce le articolazioni e i tendini, potenzialmente tutte le articolazioni e tutti i tendini. Riesci a immaginarlo? Tende a creare calcificazioni, gonfiore e anche effetti peggiori.
Mi tenevo tutto dentro, cercando di non cedere al richiamo di un futuro oscuro che sembrava dietro l'angolo. Non sapevo cosa fare. Mi tenevo tutto dentro, non ne parlavo con nessuno. Tanto non avrebbero capito. Poi, per dire che cosa? Per descrivere che cosa? Non sarei riuscito neanche a spiegarlo. Non sapevo come fare allora, a malapena ci riesco oggi. Figurati. Questo non toglie che stessi sempre peggio. Avevo iniziato a prendere antinfiammatori molto più spesso di prima. Era l'unico modo per tirare il fiato, per togliersi di dosso tutto quel dolore e tornare a ragionare lucidamente, con chiarezza, anche solo per potere lavorare. Ed era anche l'unico modo a volte per andare in palestra, diversamente il troppo dolore non me lo avrebbe consentito. Sì, stavo invecchiando, certo, ma non tutto era perduto. Un po' di palestra, un antinfiammatorio qua e là e il dolore spariva o almeno non arrivava mai in maniera troppo intensa. Forse anche per merito delle erbe ayurvediche che prendevo di tanto in tanto riuscivo ancora a fare una vita normalissima, tutto sommato. Antinfiammatoria parte, la palestra, i viaggi e tutto il resto. E nel frattempo non ne parlavo. Mi tenevo tutto dentro di me. Nessuno doveva sapere. Gli uomini non piangono, non devono farsi vedere deboli.
Però il lavoro mi parve insopportabile. Era continuato ad aumentare nei mesi precedenti, tante cose, sempre di più, sempre più in fretta, sempre più intense. Mi ritrovai ben presto ad avere più cose da fare di quante potessi finirne ogni giorno. L'elenco delle cose da fare cresceva come una montagna che ogni giorno diventava più alta da scalare, senza che si riuscisse ad arrivare alla cima e nemmeno a vederla mai. Senza rendermene neanche conto, andai in un burnout pesantissimo che stava quasi per diventare depressione. Sì, perché al contrario di quanto credevo non era vero che ogni colpo mi rendeva più forte. Oggi credo che noi esseri umani somigliamo a dei fiori stupendi, che ogni raffica di vento perdono più petali di quanti riescano a farne ricrescere. Prima o poi, a forza di raffiche di vento, rimaniamo senza petali, senza colore, chiniamo il nostro stelo e rischiamo di seccare e non alzarci più.
Ero profondamente infelice, non facevo che piangere e sentivo tutto il peso del mondo sopra le mie spalle. Ogni cosa era pesante: mangiare, fare la spesa, uscire a cena, andare dai miei, al cinema, in palestra, leggere un libro o prendersi cura del gatto.
Ogni cosa sembrava richiedermi uno sforzo così grande che non iniziavo neanche a farla. Sentivo che non ne valeva la pena e non sarei riuscito a completarla. Ogni compito che mi veniva affidato sul lavoro non faceva che alimentare questa sensazione di inadeguatezza, di pesantezza, di impegni che erano sempre più grandi, così tanto grandi da fare paura. E in tutto questo, ovviamente, il dolore non passava. Anzi, aumentava sempre di più, dappertutto. Una situazione senza via d'uscita, come tutte le altre che avevo affrontato nella vita. Dal 2019 non sono ancora riuscito a liberarmi di questa sensazione. Il tempo passa, ma le raffiche di vento continuano ad arrivare, ogni giorno gli impegni aumentano sempre più e le energie per farvi fronte diminuiscono, anche per colpa delle patologie che ti sto raccontando. La depressione, come altre malattie invisibili, è una brutta bestia e mi è bastato assaggiarla, vederla soltanto da lontano, per capirlo. Allora me ne sono liberato per un po', e nel prossimo episodio te lo racconterò meglio, ma so che non se n'è andata per sempre. Con tutto il dolore che provo e le scarse energie so che è sempre lì in agguato, ogni tanto fa capolino e cerco di mandarla via facendo cose che mi piacciono o che mi fanno stare bene, ma so che non se ne andrà mai del tutto. Visto come procede la mia vita è facile dire “è tutto nella tua testa” a chi soffre di malattie invisibili, ma è anche tanto, tanto sbagliato. Non aiuta e non è neanche vero, purtroppo. Solo chi vive certe esperienze può dire se stiano accadendo oppure no. E dovremmo tutti imparare a fidarci di più di quanto ci viene raccontato e sicuramente dovremmo imparare a giudicare di meno. Non dobbiamo pensare che la nostra percezione della realtà possa valere anche per un'altra persona. Fidiamoci di quello che ci dice, perché a nessuno piace aprirsi su argomenti come questi, credimi. Io lo sto facendo adesso ed è veramente difficile, è doloroso persino parlarne, ricordarli, doversi spiegare. Quindi, se una persona arriva a farlo, è molto, molto probabile che ti stia dicendo la verità. Una volta ho visto una vignetta divertente che però faceva anche riflettere. Mostrava cosa sarebbe successo se all'improvviso tutte le malattie fossero state considerate come le persone che non soffrono di depressione considerano la depressione. In una parte della vignetta c'era un tizio che andava a trovare un amico all'ospedale, un amico che stava a letto con la flebo piantata nel braccio, e il tizio gli diceva: “Stare lì sdraiato non ti aiuterà, devi fare qualcosa,” come se il solo fatto di volerlo fosse sufficiente a guarire. In un'altra sezione una persona si era completamente mozzata una mano, con il polso che diciamo sgocciola ancora di sangue, e l'altra persona gli diceva: “Devi solo smettere di pensarci, vedrai che ti passa.” Ovviamente erano tutte situazioni surreali, ma che non si discostano troppo dalla mia esperienza del mondo reale. Ti sembrerà strano, forse, ma sono le stesse cose che dicono anche a me fin troppo spesso, ormai ne ho la nausea, come credo anche tutti gli altri ammalati invisibili. Le malattie, se invisibili, esistono e non deve essere una vergogna esserne colpiti, perché capita a tutti. Con quale presunzione le persone ci danno consigli di questo tipo, ammesso poi che si possano chiamare consigli? Sono davvero queste le persone che vogliamo avere con noi durante il nostro cammino, già così difficile per conto suo? Pensiamoci bene. Per ora ti lascio con il buon proposito di fidarti di chi ti dice di soffrire, anche se la sua sofferenza non è così evidente o non esiste nella forma che pensi tu. Stammi bene.
Questo podcast è pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia. Non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.
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