Bigoulìn e la caccia al camoscio bianco

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Mi chiamo Bigoulìn, il custode della fantasia. Non mi meraviglio se non vi ricordate di me, poiché esisto solo se qualcuno racconta o immagina le mie avventure. Ma io ricordo bene la storia, l'ho vissuta in prima persona, anche se non come il protagonista. Ero un amico di vecchia data di Gioacchino, il cacciatore dell'alta Valle di Ala di Stura.

A vedermi, sembro un eterno ragazzo, forse tra i dieci e i tredici anni, con i capelli sempre spettinati e uno sguardo vivace. Gioacchino, che mi conosceva fin da bambino, mi rispettava e mi ascoltava come si ascolta un personaggio delle fiabe. Io, d’altro canto, ero un profondo conoscitore della natura e dei confini netti che la demarcano nell'ambiente montano. E sapevo che certi confini, come quelli tra il mondo reale e i rifugi di animali mitici o fantastici, non andavano superati.

Il guaio nacque lassù, sulle balze dell'Uia di Ciaramella.

Non ero con Gioacchino quando vide l'animale la prima volta, ma stavo esplorando i segreti della montagna. Siccome io posso comunicare con le creature naturali, e sentivo che qualcosa di oscuro e anomalo si muoveva tra le rocce.

Infatti, quando ci incontrammo in paese, Gioacchino mi raccontò di come aveva inseguito per ore quell'animale che sembrava volersi prendere gioco di lui. Era rimasto scosso e persino spaventato. Mi disse che si era fermato a mangiare, e che l'animale era tornato indietro, mettendosi in bella vista. Ricordo i suoi occhi sbarrati quando mi confessò: “È bianco! È un camoscio bianco! Può essere una creatura malefica... meglio lasciar perdere... me ne torno a casa”.

La paura, però, è il mio nemico simbolico. E purtroppo, quando Gioacchino tornò a casa con il carniere pieno di piccole prede, l'avidità di suo padre soffocò il suo timore.

“Non raccontare storie! Un'altra volta la zucca riempila d'acqua e non di grappa!” gli aveva risposto il vecchio. Ma Gioacchino insistette e quando confermò di aver visto il camoscio bianco, il padre si illuminò. Non gli importava che fossero circolate storie tristi sull'albino; vedeva solo carne da vendere e un trofeo raro da commerciare a Torino.

Intanto io ero rimasto in paese, sentendo il rischio che incombeva sull'anima del mio amico. Avrei voluto ricordargli l'importanza di preservare la bellezza e i segreti della natura, ma il padre aveva imposto la regola: il camoscio bianco andava ucciso, ma si poteva fare solo di domenica e tornare in paese in tempo per la messa.

Ero lì, in cima alla mulattiera, prima dell'alba della domenica, con le mie robuste scarpe da sentiero. Potevo viaggiare tra luoghi reali e luoghi magici, e sentivo che il confine stava per essere infranto. Ero li come osservatore, in quanto il mio ruolo prevede la risoluzione di misteri e rivelazioni.

Quando il primo raggio di sole illuminò il camoscio bianco, rimasi agghiacciato. Era proprio vero: un'immagine spettrale e Gioacchino pensava solo ai soldi.

“Eccoti, sei proprio bianco come una toma fresca,” lo sentii dire.

Gioacchino sparò. Due colpi in rapida successione, ma il camoscio riapparve più in alto, vivo e vegeto. Il mio amico lo inseguì esasperato, sparando a vuoto, mentre le ore volavano e il mezzogiorno si avvicinava. Io restavo indietro, pronto per ogni evenienza, curioso, ma anche terrorizzato: temevo che, se Gioacchino fosse caduto, l'oblio avrebbe inghiottito non solo la sua anima, ma forse anche la mia stessa esistenza.

Infine, Gioacchino sparò l'ultimo colpo, a distanza minima. Il camoscio cadde, colpito a morte. a quel punto il mio amico si caricò la preda sulle spalle per tornare in paese, ma le campane del mezzogiorno suonarono. La messa era finita. “Che Dio mi protegga!” disse.

Mentre Gioacchino si affrettava, mi resi conto che il peso dell'animale lo stava schiacciando inesorabilmente. Potevo percepire il male aumentare. “Basta, non ti reggo più. Pesi come il diavolo,” disse Gioacchino.

Appena buttò la preda a terra, una tremenda risata ruppe il silenzio. L’animale si rialzò da solo. Era successo: il mistero si era rivelato. Il camoscio bianco non era un animale, ma il diavolo, e lo fissava con uno sguardo fiammeggiante.

“Tu mi hai voluto portare fin qui e ora ti porterò io all'Inferno!!!” gli disse con una voce tonante.

Gioacchino invocò disperatamente San Giorgio, il suo protettore. In quel momento, ho assistito a un fatto strabiliante, una vera manifestazione della fantasia che io, Bigoulìn, custodisco. San Giorgio apparve con la sua corazza e la spada lucente.

Lo scontro fu rapido. “Non sarà tuo! Io lo proteggo!” urlò San Giorgio al diavolo. La spada tagliò corna e coda al camoscio, che, rabbioso, sprofondò all'Inferno.

Gioacchino era salvo, grazie alla sua fede disperata. Quando San Giorgio scomparve, io potei avvicinarmi e tirare un sospiro di sollievo, non solo per il mio amico, ma anche per me stesso. Gioacchino aveva perso il camoscio, ma aveva salvato l'anima e la vita.

Da quel giorno, Gioacchino non andò più in cerca di guai. Mantenne la promessa: fece dipingere quanto era successo, affinché tutti sapessero. Ricordate che, se chiedete a chiunque, i veri montanari lasciano in pace i rarissimi camosci bianchi.

Io, Bigoulìn, continuerò a viaggiare nel tempo e nello spazio per assicurarmi che la gente non smetta mai di immaginare, perché finché questa storia viene raccontata, il camoscio bianco e la vittoria di San Giorgio rimangono un enigma e una rivelazione, e io non correrò il rischio di essere dimenticato.



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