Bigoulin e l’ombra del cavaliere

(La leggenda del fantasma della Tesoriera di Torino)

Bigoulin e l'ombra del cavaliere

Amici miei,

non tutte le avventure iniziano con un arcobaleno o un portale incantato. Alcune si insinuano tra le pieghe del tempo come nebbia tra gli alberi, silenziose e leggere. Così accadde quella notte, quando fui richiamato da una brezza che sapeva di foglie antiche e parole non dette.


Mi trovavo sul confine tra i mondi, pronto a varcare una soglia che mi avrebbe condotto in un luogo sospeso tra la storia e la leggenda: il parco della Tesoriera, a Torino.

Era tardi, l’aria carica di mistero. Alberi secolari gettavano ombre lunghe come racconti dimenticati, e i lampioni tremolavano, incerti se illuminare o nascondere. Appena giunto, seppi che qualcosa non andava: il silenzio era troppo perfetto.

Mi mossi con cautela lungo i sentieri, finché lo vidi.

Un cavaliere. Solo. Immobile. Il suo mantello nero bordato di rosso ondeggiava come se avesse vita propria. Non aveva occhi, o forse li teneva nascosti nell’oscurità del cappuccio. Sapevo chi era: l’antico tesoriere del re, condannato a vagare tra questi alberi per un peccato mai espiato.

Ma io non avevo paura. Perché io sono Bigoulin, e il mio compito è attraversare mondi e racconti, per dar voce a ciò che non osa più parlare.

Mi avvicinai. Il cavaliere si voltò, lentamente, come chi non vede un volto umano da secoli. E mi parlò.

“La mia colpa pesa ancora sul tempo… ma chi sei tu, che cammini tra i vivi e i morti?”

“Io ascolto le storie,” risposi. “E le porto alla luce, perché ogni ombra possa trovare il proprio giorno.”

Fu allora che, per la prima volta da secoli, il cavaliere chinò il capo. Dal suo petto, una luce fievole iniziò a brillare: era un medaglione. Al suo interno, la miniatura di una giovane donna.

“La mia amata… l’ho tradita per il potere. E da allora, non conosco riposo.”

Un soffio di vento attraversò il parco. E in quel momento, accanto a me, apparve una figura lieve, luminosa. La giovane ragazza che da anni aleggiava tra le sale della villa. Non disse nulla. Posò solo la mano sul petto del cavaliere.

Lui svanì, come fumo al sole del mattino.

Lei mi guardò e sorrise. Poi scomparve tra le fronde, libera.

E io… io rimasi lì, a contemplare il silenzio ritrovato.

Quando tornai nel mio mondo, portai con me il ricordo di quella notte. E ora, cari amici, lo condivido con voi. Così che sappiate: anche nei luoghi dove il Diavolo sembra aver piantato radici, a volte è l’amore — o il perdono — a chiudere il cerchio.



Tutto il mio mondo on line...

cliccate qui