Anna e Marco (4)

(colonna sonora del quarto episodio: POE – Hey Pretty Drive-By 2001 Mix with Mark Z. Danielewski)

Poi, prevedibile, l’accelerazione. Buongiorno. Cuoricino. Buonanotte. Bacio. Video. Bacio, ancora. «E se ci vedessimo, una di queste sere? Per un incontro bollente droga sesso e rock’n roll?» «Ih ih ih, ma dai, va bene la droga e il rock, ma lo sai che sono una ragazza pudica… (faccia che ride, faccia che pensa)» «Eh, ma anch’io sono un ragazzo timido…» «No no no, sei una cattiva persona che tenta le brave ragazze… (risata, faccina timida)» «Ma che dici? Sai che sono serissimo, non approfitterei mai». «Sì sì, dicono tutti così…» «Potrei venirti a prendere, si va al fondo dove proviamo, procuro la birra…» «Ehi ehi, piano piano… vedremo…»

Mi barcameno, svio, cambio discorso, mi rimetto a parlare di musica libri film. Ma gli assalti si ripetono, e diventano sempre più espliciti. «Mi sei sempre piaciuta, anche quando eravamo ragazzini, t’avrei trombato volentieri allora, ti tromberei volentieri anche subito…» Un momento! Alla faccia della delicatezza. Alla faccia del corteggiamento. Quando si dice parlare chiaro. Eppure, per quanto la parola stessa trombare – non, romanticamente, fare l’amore, nemmeno, laicamente, fare sesso, ma una parola con tutta la sfacciata, cruda corporeità del vernacolo – associata alla mia persona, ormai casta da anni, mi faccia addirittura arrossire (e arrossisco poi del fatto di arrossire: non sono una figlia degli anni Settanta? Possibile sia ancora così repressa?), sono tentata. «Portami in questo dannato posto dove provate. Sia quel che sia, se mi zompi addosso senza preliminari, tanto meglio. Si possono pure saltare le chiacchiere sul rock ‘n roll, o rimandarle a dopo. Facciamo quel che dobbiamo fare, e amen».

Mi ferma, se Dio vuole, il senso del ridicolo. La testa mi si apre come fosse il sipario di un teatro, e vedo chiara la scena. Gli ansimi, i grugniti, le mani che toccano, frugano, palpano, prima contro un muro, là dove si può, e dopo, magari per terra o su una branda, le cosce che si spalancano, i piedi che si intrecciano, le pance che si strofinano, lo sguardo che si rovescia, si appanna, si perde, il sudore che ci inzuppa, e succhiare, e mordere, e leccare, e poi godere… godere godere godere, fra un gemito, uno strillo e un sospiro. Trombare. Fottere. Scopare. In un tripudio di carne tremolante, di seni penduli, di testicoli avvizziti, di natiche afflosciate, di pelle moscia, di gelatinosi, umidicci rotoli di ciccia.

E poi? Come guardarsi in faccia, poi? Come sopportare la nudità dell’altro, la mia nudità? Raccattare mutande, reggiseno, maglione, jeans, scarpe, rivestirsi in fretta, «Una sigaretta?», dopo, magari, e però subito vergognarsi, perché lo so che mi vergognerei di aver rivelato così tanto di me, quel corpo che rinnego e non voglio vedere, non voglio ricordare, con il suo carico di anni, di passioni dimenticate, di dolori, malanni e rifiuti?

Insomma, mi agito fra dubbi, paura, vergogna, ma ogni giorno, nonostante tutto, mi ritrovo ad aspettare con segreta impazienza il cuoricino via messenger, il buongiorno, la buonanotte e la consueta domanda: «Allora, quando ci vediamo per questa bollente serata di sesso? Ne ho bisogno, davvero, ne ho bisogno con te».

Poi, di botto, il silenzio.

Poe – Hey Pretty, live on Late Night with Conan O'Brien (2000)