Anna e Marco (7)

(Colonna sonora del settimo episodio: Franco Battiato, La stagione dell'amore)

E adesso, dopo un’ora e quaranta di telefonata durante la quale ho ascoltato, rassicurato, consigliato (e l’ho pure un po’ insultato: «Ma tu guarda che stronzo, ma non lo avrei mai detto, ma che poveraccio…»), mi ritrovo da sola con le gatte che mi fissano beffarde, la televisione accesa su qualche improbabile serie Netflix, l’audio per il momento disattivato, e un pacchetto di sigarette a metà.

Penso alla mia città, a questo borgo di provincia cresciuto male, dove, più o meno rassegnata, mi sono adattata a vivere negli ultimi trent’anni. Ho una specie di allucinazione. Mi pare che mi trascini con sé, spingendomi a forza sul piano inclinato della sua inesorabile caduta: un paese di vecchi, e io, vecchia fra gli altri, che tuttavia mi ribello, scalcio, cerco di risalire la china in qualche modo, di agguantare, mentre una corrente melmosa mi spinge nella palude, un qualche appiglio, un ramo spezzato, una corda sfilacciata che mi metta in salvo.

E mi sembra pure di riuscirci, talvolta, ma, porca miseria, ci pensano gli altri a riportarmi alla realtà. Di tutti, mi ricordo com’erano stati: nella mia testa restano così, i ragazzi e le ragazze che decenni fa avevo incrociato, pallidi, inquieti e vagamente maledetti, davanti al portone sbrecciato della scuola, agli angoli delle nostre strade ventose, nei parcheggi lividi di discoteche ormai chiuse da decenni. Li vedo ancora, a ubriacarsi e fumare e toccarsi e scopare e straparlare come straparlano i giovani, mentre dalle auto nascoste fra i cespugli le nostre musiche oggi fuori moda si spandevano in sordina nelle afose notti estive di un’adolescenza dimenticata. Ma no, figurarsi. Qualcuno è morto. Gli altri posso incontrarli, ingrigiti, imbolsiti, inebetiti nell’insopportabile apatia della loro maturità soddisfatta.

Lo so che non vale la pena sprecare troppe parole sulla storia di Marco, di Amelia, di Anna. O magari, no. MI accendo una sigaretta, l’ennesima. Penso che domani andrò al mare, mi accoccolerò sulla battigia, a un passo dal pigro rifluire della risacca, e ancora mi metterò a pensare: dopotutto, pensare molto è una garanzia. Mi vedo mentre lancio un sassolino dopo l’altro nelle acque appena increspate.

E di botto scoppio in una grande risata. Non è una risata cattiva, non è nemmeno una risata amara. Non rido ad alta voce, casomai disturbassi i vicini. È piuttosto una risata che rotola rumorosamente nella mia testa, spazza via ogni pentimento, rimpianto, risentimento. Risentimento per cosa, poi? Alla fine, serve a poco compiangersi, o compiangere gli altri. Vogliamo scrivere la nostra vita come fosse un romanzo, e ci escono fuori narrazioni sbilenche, sceneggiature zoppicanti. Siamo tutti pessimi autori, e personaggi ancora peggiori. Del resto, ognuno abita le illusioni che vuole. Chi si immagina fascinoso e irresistibile dongiovanni, chi si traveste da cattiva ragazza tormentata. E chi, semplicemente, sta alla finestra.

Sospiro, schiaccio la sigaretta nel portacenere troppo pieno, alzo il volume della tv.

Franco Battiato – La Stagione dell'Amore (Live @ Pirelli Hangar Bicocca, 2016)