Dal margine

Margini slabbrati, imprecisi, interrotti. Spazi offuscati, solo intravisti e subito dimenticati. Palcoscenici spogli dove si recitano storie appena abbozzate. Esistenze anonime, che si consumano rapide nella loro desolante insignificanza. Ombre indistinte che sgomitano per raggiungere il centro della scena, inciampano, retrocedono, cadono, scompaiono. Esistono solo per poco, poi si dissolvono, lasciando solo tracce confuse, un'eco flebile che subito si spenge. La memoria che ne abbiamo si appanna, i loro nomi si perdono: ci sono stati, ma non era indispensabile che ci fossero, sono solo accidentali increspature nel fluire costante del tempo, un tempo che si distende pigro e indifferente come una coltre plumbea sul brulicare indistinto di desideri e delusioni. Eppure la vita è lì, nel dettaglio di un sorriso o di uno sguardo, nel mutuo riconoscimento che gli invisibili si donano, nel gesto casuale di saluto, nel bacio o nello schiaffo, nel grido o nel sussurro che si avverte a fatica. E se la vita è lì, ai margini, e non sul podio illusorio che ci dispensa fragili miti presto sconfessati, non varrebbe la pena riconoscerla, ascoltarla, prenderla sul serio? Ricucire quei margini slabbrati, riparare il torto inflitto dalla distrazione, scoprire che forse vale la pena esistere e resistere. Anche se la nebbia è fitta e nessuno ha voglia di fermarsi ad ascoltare.