Arti marziali, guerra e pacifismo

Le arti marziali – e chi le pratica – sono spesso fraintese: nemmeno conto più le volte in cui, facendo conoscenza con qualcuno e dicendo che pratico e insegno arti marziali, mi vengono rivolte frasi del tipo “Allora sei pericolosa!” o “Starò attento a non farti arrabbiare”… Buona parte della colpa va addossata al nome: marziale infatti significa di Marte, il più casinista, collerico e guerrafondaio tra le divinità latine e, a essere onesti, le arti marziali erano nate proprio per questo, per portare a casa la pellaccia da un campo di battaglia, quando ancora si combatteva corpo a corpo, e per difendersi in caso di attacco fisico. Non a caso alcune discipline, come il Wing Chun, vengono fatte risalire a una donna (nello specifico la monaca Shaolin Ng Mui), strutturalmente più minute e deboli degli uomini. La parte artistica si è probabilmente sviluppata in un secondo momento, quando l’armonia del movimento e la gradevolezza visiva ha iniziato ad accompagnarsi a tecniche di tipo guerriero.

È possibile praticare arti marziali ed essere pacifisti? In realtà, assolutamente sì! L’arte marziale – qualunque arte marziale degna di questo nome, dal Karate al Wushu, dal Kendo al Brazilian Jiu Jitsu, dal Silat alla Muai Thai e così via – insegna innanzi tutto la conoscenza e il dominio di sé, il rispetto di sé stessi e dell’avversario (anche per questo, quando sui campi di battaglia si usavano le arti marziali, al nemico sconfitto veniva concessa una morte rapida e onorevole. Oggi naturalmente tutto questo ci appare barbaro e incivile, ma non dobbiamo mai dimenticare il contesto storico e sociale di cui stiamo parlando). Se considero il pacifismo come rifiuto della guerra, rifiuto di recare danno o peggio ancora morte a un altro essere umano, rifiuto di qualunque motivazione economica, sociale, politica o religiosa che porti allo scontro con una diversa nazione, popolazione o individuo, allora la pratica delle arti marziali è perfettamente compatibile con il pacifismo.

Discorso (in parte) diverso, la non violenza: difficilmente un praticante arti marziali riuscirebbe a rimanere impassibile davanti a un attacco fisico e questo perché per anni, se non decenni, ha allenato sé stesso proprio per reagire e neutralizzare questo tipo di attacchi (a questo proposito, forse è opportuno ricordare che le arti marziali sono difensive e non offensive). Questo, però, non implica che non si possa fare ricorso a tutti i sistemi possibili – discussione, mantenimento della distanza interpersonale, eventualmente anche la fuga – per evitare che si giunga allo scontro fisico.

Viviana B.