LA “CASA DI MARE APERTO” SPIRITUALE
NELLA PIÙ RECENTE RACCOLTA DI VERSI DI FELICE SERINO
di GIORDANO GENGHINI
Recentemente, edita dal Centro Studi Tindari di Patti, è uscita la raccolta di versi “Casa di mare aperto”, che riunisce tre diversi gruppi di brevi liriche scritte fra il 2009 e il 2011 dal poeta Felice Serino, noto – anche se non quanto meriterebbe – in Italia e anche all'estero (le sue poesie, pubblicate a partire dal 1978, sono state tradotte in sei lingue).
Il titolo della raccolta – lo si chiarisce all'interno del volumetto – è una citazione da Piernico Fè, e in qualche modo, a mio avviso, è la chiave per interpretare l'intera opera, caratterizzata da una lirica intrisa di spiritualità intensa che si irradia in molteplici direzioni: un “mare aperto” spirituale, dunque.
La lettura delle pagine – poco meno di cento - è un'esperienza straordinaria e irripetibile.
Il tessuto dei versi è coerente e ha un tono e un timbro inconfondibili. I temi toccati ruotano attorno a una ricerca spirituale intima del poeta ma nel contempo rivolta ad ogni uomo. I versi, come nei grandi artisti mistici del Medioevo, esprimono l'inesprimibile del mistero divino soprattuttoattraverso il simbolo della luce. La spiritualità del poeta è però modernissima perché inquieta, mobile, non univoca.
Alcune immagini, metafore e parole-chiave sono ricorrenti nella raccolta. in primo luogo, la figura dell'angelo (o, meglio, degli “angeli / caduti / mendichi di amore”), simboli di aspirazione alla purezza assoluta. Ancora più rinvia a questa ricerca di purezza e verità assolute la metafora – che riappare in varie forme – del “corpo di vetro” o del “vetro del cuore”, cui si affianca la prevalenza di un altro emblema di purezza: il candore, che culmina nel “silenzio” di chi ha già lasciato la vita: l' “immacolato manto / comeun'immensa pagina bianca” che si identifica con l' “Altrove”, ossia con il mistero occulto di “questa casa di vetro / eretta sulle nuvole”, a cui il poeta aspira – e alla cui rappresentazione concorre anche la suggestione generata dall'uso mai casuale o irrilevante degli spazi bianchi fra i versi o nelle pagine.
Oltre alla luce, altri simboli ricorrenti nei versi di Serino per esprimere l'inesprimibile – l' “Oltre” – sono il sogno e l'azzurro, che si intrecciano con la musica nel tentativo di dare corpo (come nel “Paradiso” dantesco, di cui talora si avverte l'eco) al divino. Tuttavia, i versi di Serino non hanno certo caratteristiche tradizionali e meno che mai “cantabili”, in quanto nel loro originale ritmo si manifesta la presenza della realtà umana fatta di carne e sangue, dei “veleni del mondo” e, in particolare, del mondo contemporaneo in cui “l'autentico” è “violentato dal mediatico”.
All'interno di questa antitesi decisa fra l' Altrove e il male del mondo (per il quale però, uscendo dal coro, la lirica del poeta non cerca espliciti capri espiatori, politici o di siffattogenere, cui attribuire ogni colpa) determinante è la funzione della poesia, che definirei profetica ma, anche, casa in cui rifugiarsi per distaccarsi dal male di vivere. L'autore infatti scrive: “nascosto starò nella rosa / azzurra della poesia”, evocando per analogia nel lettore anche il ricordo della “candida rosa” dantesca dei beati.
La spiritualità di Serino e la sua fede nell'Altrove non è mai incerta: “quando il mondo continuerà / dopo di me // a chi vi dirà lui non c'è più / fategli uno sberleffo”. Il suo misticismo non trascura le vicende della storia e degli ignorati “santi del nostro tempo”, di non pochi dei qualiviene fattoesplicitamente il nome ( un esempio fra tanti: Oscar Romero, nel cui sacrificio, credo, il poeta vede il “rigenerarsi dell'urlo della croce” evocato in un'altra lirica).
La cultura su cui fioriscono i versi dell'autore è estremamente ricca: le stelle che la illuminano (lo si comprende da citazioni dirette o indirette, e soprattutto dalla ripresa rielaborata, nei versi, di altri versi, secondo una tecnica già presente in grandi poeti, da Dante a Luzi, ma usata in modo originale da Serino. Tale ripresa non è mai sfoggio di conoscenze: è invece indispensabile al disegno lirico dell'autore. Le stelle che rilucono nel cosmo intellettuale del poeta possono per alcuni aspetti essere forse accomunate, ma fra loro sono anche estremamente diverse: oltre al Gesù dei Vangeli e ad antiche (come Paolo e Agostino) e recenti (come, ad esempio, David Maria Turoldo) figure della spiritualità cristiana, figurano anche maestri di diverse spiritualità: da Steiner a Swedenborg a Paulo Coelho, per non ricordare che alcuni nomi. Né si possono dimenticare i riferimenti ai grandi poeti dello spirito: dal già menzionato Dante (alcune delle cuiimmagini, come quella del paradisiaco fiume di luce, sono rielaborate e riproposte in modo affascinante) ai più recenti Mallarmé, Borges, Pessoa, Ungaretti fino a poeti a noi vicinissimi come Giovanni Giudici e Andrea Zanzotto.
La lirica di Serino si colloca nel panorama estremamente vasto di questa sorta di ideale “empireo della poesia” che si contrappone – almeno come possibilità di difesa – ai mali della storia. L'ampiezza dei punti di riferimento negli orizzonti culturali e letterari del poeta spiega anche perché la sua raccolta non rappresenta un tentativo – che sarebbe impossibile – di ricomposizione di tutti i punti di riferimento, ma una esplorazione spirituale, un moderno viaggio, termine ancora una volta da intendersi in senso dantesco.
A livello stilistico, il poeta dà vita a una lirica di grandeintensità, che fa tesoro della lezione poetica del Novecento (in particolare, nell'abolizione della punteggiatura e della iniziali maiuscole) e del verso libero per creare un proprio originale timbro, spesso caratterizzato da affascinanti creazioni in miniatura, nelle singole liriche, di “opere aperte” che lasciano possibilità di diverse interpretazioni: né potrebbe essere altrimenti, dati i temi affrontati nella raccolta.
In versi densi di fratture e ricomposizioni, Serino ci propone – per rifarsi al “suo” Agostino - una “città dell'uomo” in cui abbondano le asprezze (“le viscere nelle mani”) e una “città di Dio” in cui risplende l'armonia dell'Altrove (“un cielo bianco di silenzi” in cui è protagonista disincarnato il “fiume di luce che / ci prenderà”).
Non è il caso che aggiunga altro a queste mie modeste note, perché ogni tentativo – come questo mio – di presentare nell'ambito di un discorso logico-razionale una poesia che tale ambito travalica, non può che essere povera cosa rispetto all'esperienza della lettura dei versi del poeta. E concludo proprio con un invito alla lettura e con un'ultima osservazione: la raccolta di Felice Serino è un “mare aperto” al cui interno si muovono potenti correnti di luce. Credo che, per renderci conto di ciò, basti rileggere la bellissima breve lirica che, non a caso, chiude la raccolta, e che qui riporto: “d'un presentito chiaro d'armonie // d'un trasognato dove // vivi e scrivi // – tuo credo – // tua casa di mare aperto”.
Non è un caso, credo, che il primo verso sia un armonioso endecasillabo e che il secondo e il terzo, uniti, a loro volta siano uno stupendo endecasillabo, come non è un caso che l'ultimo verso coincida con il titolo della raccolta.
La “casa di mare aperto” rappresenta infatti, come ho detto all'inizio di queste note, la spiritualità del poeta: ma anche, io credo, la meta di un approdo cercato già in questo modo e, infine, la prefigurazione della “casa di vetro” nell'Altrove, cui – come l'autore – più o meno consapevolmente a partire dai poeti, tendiamo noi tutti. O, credo direbbe l'autore, tendono consapevolmente coloro che, come scrive in un'altra sua lirica l'autore, fra l'affidarsi principalmente a Freud (o ad altre “divinità terrene” del mondo d'oggi) e l'affidarsi al vangelo di Giovanni hanno già compiuto una scelta.