Postfazione
Leggere Percorsi di Felice Serino è come percorrere una serie di stazioni intime: ogni poesia è un binario breve, un fermarsi e ripartire, un segno lasciato con discrezione. Qui la parola non pretende di spiegare il mondo, lo sfiora; non pretende di trattenere il lettore, lo invita a proseguire. Questa silloge mi ha colpito per la sua economia espressiva e per la capacità di trasformare il frammento in esperienza: pochi versi che spalancano orizzonti, immagini che restano come piccoli fari nella memoria.
Serino pratica una forma di «non agire» poetico: scrive per sottrazione, per scavo, eppure ogni parola è misurata, carica di una musica interna. Si avverte una tensione tra il sacro e il quotidiano, tra il respiro del mondo e il respiro dell’anima; la presenza del divino non è mai retorica, ma si insinua nei gesti più semplici — una forchetta, una penna, il volto in una fotografia — e li rende portatori di senso. Questa commistione di sacro e profano rende la raccolta sorprendentemente moderna e insieme antica, come se il tempo si piegasse per lasciare passare una verità minima.
Molti testi giocano con la luce e il silenzio: il «fiat» della creazione, i respiri di cielo, la parusia come visione che incrina il vetro opaco. Ma non si tratta di metafisica astratta; la spiritualità di Serino è incarnata, fatta di corpi, di rughe, di gabbiani che planano su solitudini d’anime. È una poesia che sa essere tenera e severa, che non evita il dolore ma lo trasforma in canto. Nei momenti più intimi — le poesie dedicate, i ricordi di famiglia, le storielline che profumano di vita vissuta — emerge un tono personale che avvicina il lettore all’autore senza filtri.
La lingua di Serino è essenziale ma ricca di invenzioni: neologismi, scarti sintattici, pause che funzionano come respiri. Questa scelta stilistica non è mai gratuita; serve a creare un ritmo che somiglia al battito del cuore, a una musica che non si impone ma accompagna. La brevità dei testi non è limite ma forza: ogni componimento è un piccolo laboratorio di senso, un invito a tornare sul verso per coglierne sfumature nascoste.
Infine, Percorsi è un libro che parla di continuità: tra nascita e morte, tra memoria e attesa, tra il dire e il tacere. È una raccolta che lascia spazio al lettore, che chiede di essere completata nella mente di chi legge. Felice Serino non pretende di chiudere i significati; li semina. E in questo gesto di generosità poetica sta la sua più grande conquista: consegnarci versi che restano, che accompagnano, che aprono altre strade.