Una mia nota di lettura alla silloge di Felice Serino “Orizzonti di palpiti”

Poeta presente ma appartato, silenzioso, distinto, Felice Serino raccoglie in questo suo ultimo lavoro “Orizzonti di palpiti” (www.poesieinversi.it 2018/19), gli ultimi testi prodotti in ordine di tempo nei quali appare sempre riconoscibile la traccia dei suoi precedenti lavori; giocati con medesima grazia e perizia nel vivissimo campionario di illuminazioni profonde e pulsanti; nel variare consueto di tensioni ontologiche, nel dilemma inconcluso della soglia e del fine, nell'arte di incidere amore e dolore, delusione, speranza, perdono, col solo taglio di un lemma, con la sola scintilla della lingua, Serino descrive, o finge di descrivere, un'alba visionaria dove una luce quieta ti accoglie in un suo grembo sorgivo.

Ancora una volta vediamo il poeta salire da quella stessa luce che lo genera e da un interno ne sentiamo la voce, quell'espansa poesia degli interrogativi e dei silenzi che rendono possibili

gli approdi, li toccano appena in punta di vertigine, ne liberano il suono e il senso.

Più che una poesia del vedere mi pare di riconoscere dunque una poesia del sentire; un avvertire a distanze altissime il più piccolo rumore di fondo dell'universo mondo, e in quel rumore toccare il nudo stupore di un'origine.

C'è sempre in Serino l'inclinazione al racconto mondano ma esso è reso filosoficamente aereo, plana cioè sui campi lirici di un sogno che è possibile sentire o immaginare come attraverso una musica,

un ultratempo, un ultramondo, e come attraverso un gioco di associazioni melodiche produce impulsi invisibili che finiscono per catturare nella figura di un uomo il senso più autentico della sua intera esistenza.

Il Poeta che vediamo è la sua stessa poesia, il luogo concreto dell'anima; quel camminare sempre in bilico tra la vita e la morte, sempre col piede nel mistero, come se i versi fossero tradotti paesi immaginari, passi prodotti dall'incontro della luce e del buio, estensioni miracolose, meravigliose, dell'unica grande incognita che ci spinge alla vita e all'arte. Così procede, in Serino, la gioia del verso, ovvero la tensione nella quale spinge il lettore a comprendere, in senso etimologico, gli affanni e le paure, gli inganni e le afflizioni, ogni minima pulsione, ogni minimo palpito di verità.

Giovanni Perri

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Per stupirti

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in extrema ratio

ti aggrappi a curve di sguardi

per poterti ancora stupire

conoscenza è dall'alba dell'uomo

il primo anelito

in un cielo di silenzi

il tuo richiamo si spezza

Nell'ultimo sangue

ora nell'ultimo sangue

è il vuoto delle braccia

ma sai non è difficile

far rivivere

la tua figura dall'ali recise:

un po' mi consola

la visione

di te languida riversa

sull'amaca

mentre gli uccelli ti cantano

sulla testa

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