AION
1.
chi ti ha fatto sapere ch'eri nudo?
l'entrare della morte nel morso
della mela
(si erano creduti il Sole
scordando di essere riflessi)
1.a
il serpente mi diede dell'albero e…
eva la porta
di sangue
per dove passa la storia
2.
nell'incrocio dei legni
la conciliazione degli
opposti (lo scheletro del mondo)
2.a
è il Figlio che pende
dai chiodi
la risposta a giobbe
3.
ancora l'assordare dei martelli ancora
un giuda che fa il cappio abbraccia un albero di morte
-sulle labbra il fuoco del bacio
Felice Serino
Da La difficile luce, 2005
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Critica di Luca Rossi. Luglio 2002
L' identità, la conoscenza della morte, il riscatto tramite il dolore altrui, la scoperta di Dio, il ricordo: ecco gli elementi principali, i titoli attraverso i quali si snoda il componimento di Serino.
La presa di coscienza del peccato apre la prima strofa, dove la mela (simbolo del divieto divino, del non andare oltre, del sapere che la libertà offerta avrebbe potuto avere un limite per la salvezza stessa dell'essere) ora è stata consumata e ha riempito l'uomo di ogni tempo compreso quello del terzo millennio, della stessa onnipotenza di Adamo.
E' forse cambiata la storia? No; Qohelet, il sapientissimo, ci dice che non c'è nulla di diverso sotto il sole che ancora oggi non accada.
L'uomo che è, già è stato.
L'umiltà è l'arma attraverso la quale riprendere coscienza del ricordo del Padre, della memoria della morte e dell'immagine di quella polvere che alla fine, se racchiusa nelle mani di Dio, per essere trasfigurata, riplasmata, tornerà ad essere semplicemente terra che alimenterà nuovamente le radici di quell'albero sul quale è maturata la mela, se non ci si lascerà trapassare da un Sole da cui piovono raggi di luce, che sono verità di un universo che non si espande secondo le leggi della fisica, ma dell'amore; di quell'amore che viene tentato dal serpente che scese dall'albero per allontanare da noi l' idea della fine, la lontananza della morte attraverso l'inganno di una bellezza che ognuno vorrebbe possedere a qualsiasi costo.
Eva apre la via ad una libertà secondo la quale il valore dell'estetica e della provocazione nasconde il suo doppio senso, la perversione di volere fagocitare ogni cosa perché ogni cosa debba essere nostra, debba necessariamente appartenerci, coinvolgendoci in un delirio che oscura la vista per distogliere lo sguardo da ciò che risiede oltre le nebbie.
Da qui passa la storia che il poeta descrive, passa l'azione dell'uomo che cade prigioniero per non avere saputo riconoscere all'angolo delle vie quegli angeli perduti e mai redenti, che offrono immagini fantasmagoriche di un finto benessere e di una strada che non sembra avere alcuna via d'uscita.
Ma il poeta, dopo avere dichiarato con forza che l'idea della morte eterna è propria di chi sa di non svegliarsi dalla notte che ci investe, suggerisce attraverso le ultime righe un percorso che potrebbe essere il più giusto: quello della conciliazione con Dio, del sapere del dolore di chi si fece trafiggere perché l'uomo capisse che da solo non si sarebbe mai potuto salvare e del riconoscersi ancora una volta in fuga da quell'Eden che ogni epoca ripropone, perché la benevolenza di Dio è sempre presente, sempre attuale, sempre nuova.
Un Eden che mette in evidenza le regioni sconfinate del bene e dell'amore da cui, chi è ancora in grado di ascoltare, dopo i fragori del giorno, sente il battere del martello sul chiodo che penetra la carne ed il legno.
Davanti a noi sta la morte di sempre.
Più in là una morte che detiene invece un senso più ampio: l'uomo che prende coscienza dell'Eterno.
E la poesia di Serino vuole essere un monito, forse l'ultimo, di un uomo che ancora ascolta e ci induce a riflettere su quanto la storia ha avuto da dirci.
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