norise

un pò ti cerchi un pò ti butti via…

GIOVINEZZA

Prati teneri, intenso verde,

caviglie agili, snelle

dal venticello gaio frustate…

palpiti e sussurri, risa;

acqua di ruscello

fresca, tersa

come i miei pensieri:

una tenera ansia da consumare.

Un altro Io era quello…

Lasciai lì le mie ceneri

sparse al vento.

_ _ _

Questa mia poesia è dell'anno 1967 e chiude una breve raccolta pubblicata sotto pseudonimo (da me ripudiata). Delle altre, è quella non da salvare ma che mi fa meno 'sorridere'…

Ma devo confessare che della mia giovinezza ho poco da sorridere: rivedo un ragazzo piegato sulla solitudine, forse un pò voluta (una vita incolore, un pò ti cerchi un pò ti butti via), preso nella spirale di una mania depressiva che mi spinse a un tentativo di suicidio.

Sono gli anni più belli? Dicono. Mah!; difficile la maturazione in quel periodo acerbo, età definita 'ingrata', quando non si hanno punti precisi di riferimento e manca l' affetto familiare, manca l'amore, un amore vero e pulito per cui ti alzi la mattina e ringrazi Dio di essere vivo… Un'età avvolta di fragilità esistenziale mascherata di aggressività; – tiri fuori le unghie anche se spesso te le rivolti ad affondarle nell'anima…

Pensare di morire a quell'età! Sta di fatto che il mio pensiero fisso sulla morte si rispecchiava in quelle poesie giovanili.

.

Commento alla poesia di Felice Serino “La tua poesia”

Di Luca Rossi. Giugno 2003

LA TUA POESIA

quando un capriolare nel mare prenatale

ti avrà fatto ripercorrere a ritroso

la vita (tutta d'un fiato) azzerando l'Io spaziotempo –

allora leggerai la vera sola poesia aprendo

gli occhi sul Sogno infinito: la tua

Poesia cavalcherà in un' albazzurra i marosi

del sangue fiorirà negli occhi di un'eterna giovinezza

Da La difficile luce, 2005

*

La poesia scritta da Serino è tutta un inno alla giovinezza, ma non alla giovinezza in generale, bensì a quella dell'anima, la quale non si consuma ma resta sempre uguale, e che il tempo non dissipa con il suo correre inarrestabile; è un'indicazione sul modo di come fare per riappropriarsene, quando ormai i giorni sembrano non averne più memoria ed è pure un canto alla verità su cui si basa l'esistenza.

Aprendo la prima strofa con un verbo “montaliano”*, il poeta immerge fin da subito il lettore nelle acque di un mare che è origine, inizio, ora zero, epifania della vita, cioè quello del grembo materno, in cui la madre è ricordata, in modo traslato, un po' come la madre Terra, da cui tutto è generato. E non potrebbe essere altrimenti.

Per un attimo sembra che a un punto esatto dell'esistenza, facendo capriole, come è tipico dell'età infantile, colui che legge faccia ritorno a quel tempo originario, primordiale. E la vita rapidamente inverte il conteggio delle sue ore, dei suoi giorni, dei suoi anni fino a pochi istanti prima del suo nascere; un ritorno che è segnato dalla corsa rapida del pensiero che si fa viaggio, perché il “pensiero” è sinonimo per eccellenza di velocità che brucia lo “spaziotempo”, come lo definisce Serino, in cui l'essere vi si trova immerso.

Ed è in questo preciso punto che il poeta ci fornisce la chiave di lettura del testo; nel momento in cui dice (con parole che hanno un che di sapienziale e dal fascino indiscutibilmente bello, nel senso più ampio del termine) che solo allora “leggerai la sola vera poesia aprendo gli occhi sul Sogno infinito”.

Eleganza del verso e simbolismo indiscusso di tutta una rappresentazione di segni e concetti. E non è un caso se la parola poesia riportata nel procedere della lettura è scritta in carattere minuscolo la prima volta ed in maiuscolo la seconda; non si tratta di un errore, non è una distrazione di chi scrive e neppure una “licenza poetica”, in quanto la prima raccoglie la vita nel suo significato generale, quella sociale, magari vissuta superficialmente, banalmente, senza prestare attenzione ai segni criptati che ci provengono da un destino già scritto, mentre nel secondo si vuole fare esplicitamente riferimento alla vita del singolo, quella del lettore che diviene il vero protagonista del messaggio a cui il poeta vuole indirizzare il suo pensiero.

Meriterebbero questi primi due aggettivi e il sostantivo che ne segue alcuni approfondimenti, percepire il pensiero di chi scrive.

Il primo, vera, in quanto autentica, coerente con il proprio Io, con il proprio credo, che forse è andato perduto con l'avanzare degli anni. Ma è solo una percezione, un'intuizione a cui il poeta ci dice di porre attenzione.

Dopo tutta una vita spesa per “farci notare”, per non essere esclusi dal progresso nel quale se non si lascia un segno non si è nessuno, la riflessione stessa a cui siamo stati chiamati ci porta a fare un'analisi storica del nostro vissuto, interrogandoci sul fatto che sia stata proprio quella la via che volevamo percorrere,e che siamo stati costretti a calpestare, per fare “sentire” la nostra voce in mezzo alle voci di coloro che hanno voluto gridare di più per apparire, per sembrare, per affermarsi.

Ed è in quel momento che la verità si fa strada e si rivela per quella che è, nuda, scarna, senz'ombra, gettando quasi un alone di colpevolezza sulla propria coscienza che ci portava a credere di essere nella verità.

Sola, perché non ne esiste un'altra. Non esiste un'altra verità che può essere uguale alla nostra, confrontabile, similare, un io uguale all'altro col quale porre limiti e infiniti orizzonti da cui trascendono i progetti.

Non è confrontabile un vissuto con l'altro, per quanti errori o cose positive abbiamo compiuto all'interno della nostra vita.

Portiamo con noi una serie di prove da superare che forse non riusciremo a portare a termine, un'infinità di progetti che vedremo fallire, ma anche la speranza che forse qualcuno un giorno, fosse anche il fratello che proviene da lontano, il pellegrino per eccellenza (inteso in senso cosmopolita) possa comprenderle (nel senso etimologico del termine, prendere-con-sé).

Portiamo con noi anche le cose belle, compiute, quelle positive, costruttive, dalle quali però il più delle volte ci aspettiamo riconoscenza, e non dovremmo, perché la vera Poesia, e qui il sostantivo inevitabilmente viene riportato in caratteri maiuscoli, deve rimanere anonimo, noto solo agli occhi di Colui che tutto vede e di cui noi abbiamo conoscenza per fede e testimonianza teologica.

Qui il sostantivo acquista il suo vero significato, insindacabile, indiscutibile della creazione.

Difficoltà estrema quest'ultima (indicata dal poeta con riferimento ai marosi) dell'uomo, di cui la parola sangue ne rievoca chiaramente l'immagine e ne sottolinea l'unicità, quasi fosse una carta d'identità, e con la quale è chiamato a vivere senza mai perdere la sua vera bellezza, che il poeta recupera prima della chiusura, in direzione di un azzurro verso il quale cavalcare; colore di una giovinezza che fu, che continuò a essere e che sarà, ogni qual volta l'eternità ci chiamerà a volgere lo sguardo verso un mondo che adesso non è più, ma nel quale fino a un attimo prima eravamo vissuti.

  • Capriolare.

Considerazione sulla poesia “Lacera trasparenza”

Lacera trasparenza

insaziata parte

di cielo

vertigine della prima

immagine

e somiglianza

vita

lacera trasparenza

sostanza di luce e silenzio

sapore dell'origine

fuoco e sangue del nascere

da La bellezza dell'essere

*

“Lacera trasparenza” la vita. Quanto fa pensare da solo questo verso. La vita sporca le vesti pulite (trasparenti) del bambino che viene al mondo…

Andrea Crostelli

COMMENTO ALLA POESIA DI FELICE SERINO “RICORDA”

Ricorda

[ispirandomi a David Maria Turoldo]

sei granello di clessidra

grumo di sogni

peccato che cammina

ma

s e i a m a t o

immergiti

nella luminosa scia di chi

ti usa misericordia

ritorna a volare:

ti attende la madre al suo

nido

ricorda: sei parte

della sua infinita

Essenza

nato

per la terra

da uno sputo nella polvere

da La bellezza dell'essere, 2007

*

“Ricorda”, ispirata a David Maria Turoldo, alla sua schiettezza, alla sua decisione di dire le cose senza addolcirle (con tutta la loro drammaticità).

“Ricorda” ripercorre il cammino dell'uomo su questa terra nelle sue fasi essenziali (meno seccamente di Turoldo), fasi che confluiscono nella visione futura dell'Eternità.

Il peccatore, il sognatore non sa quanto sia stretto il buco nella clessidra che lo proietterà dall'altra parte, oltre il tempo, oltre quel tempo che non può calcolare perché è all'oscuro della fattezza di quel buco… Quel buco è la mano di Dio che dopo aver soffiato la vita e con la saliva impastato la terra per la nostra natura, decide che sia giunta l'ora che ritorni secca; come sabbia scivoli dal suo pugno. “Ma sei amato” e quindi ti riprenderà trasformato a sua immagine e questa volta senza parentesi.

Andrea Crostelli

Commento alla poesia Sospensione, di Felice Serino

Sospensione

un camminare nella morte dicevi

come su vetri non conti le ferite

aspettare di nascere uscire

da una vita-a-rovescio

riconoscersi enigma dicevi

di un Eterno nel suo pensarsi

*

In Sospensione vedo un saltimbanco che cammina ad occhi chiusi su un filo.

Cammina senza sapere quando il filo terminerà all'altro capo, al capo opposto da cui è partito. Sa che l'attende il vuoto, ma non ha paura. D'altronde camminare sulla terra ha provocato in lui tante ferite, ferite che lo tagliuzzano fino a spezzargli la vita.

Prima il saltimbanco faceva sul suo filo (per lo spettacolo) un breve tragitto e poi tornava all'ovile iniziale. Aveva provato ad aumentare le distanze di un pochino, mantenendosi però a misure di sicurezza, con occhi aperti che potevano inquadrare la scala che lo aveva fatto salire e l'avrebbe fatto scendere. Ora, invece, non cerca più gli applausi ma la libertà, e viaggia ad occhi chiusi senza più fermarsi affidandosi, affidandosi a uno sguardo eterno che non si distoglie da lui e lo rassicura.

Più va avanti e più in quello sguardo sente di riconoscersi e di confondersi fino a che non farà alcuna differenza tra i due e quell'unisono sarà l'eterno.

Secondo l'occhio dell'uomo la vita non materiale è una vita-a-rovescio, solo così può chiamarsi per lui una vita che inquadra come piena di privazioni; tutt'altro è per l'uomo spirituale: il rovescio è spendere la vita nelle cose che finiscono.

Riconoscersi enigma, mistero, eleva la nostra natura. L'indecifrabile, il non ancora decifrabile pienamente, in noi e in quello sguardo, è la vera attrattiva.

Il vero scopo di questa traversata è la caduta nel vuoto per affondare tra le mani del Pensiero eterno nel pensarsi in noi (così a Lui piace, anche).

CRITICA ALLA POESIA DI FELICE SERINO: “PARUSIA”

Di Luca Rossi

Settembre 2003

PARUSIA

(nell'ultimo giorno: scaduto il tempo osceno)

sporgersi sull'oltretempo ai bordi

della luce

presenze

evanescenti in chiarità

di cielo: farsi

corpi di luce

Da La difficile luce, 2005

*

Il tema di ciò che sarà dopo, di ciò che noi saremo dopo, e di come il tutto accadrà, sembra essere uno tra gli aspetti più ricorrenti e forse ossessivi del Poeta.

Serino intraprende ancora una volta, attraverso questi versi, un viaggio al centro della fede in modo del tutto impersonale (o forse a lato, per paura di fare troppo rumore con il suo raccontarsi).

“Perché?”, mi domando.

Probabilmente perché la fede pur legando le masse lascia comunque gli individui vincolati ad una propria identità, quella stessa che non è omologazione, ma che trova il suo spazio in una terra comune “sull'oltretempo”, come dice il Poeta, dove la luce rimane come unico elemento quale comune denominatore che confonde le anime, ma non le riduce ad un unico sistema di contatto.

Ai bordi della luce queste presenze evanescenti si rendono visibili solamente dove comincia il cielo mentre, come corpi, definiti, delimitati da un proprio involucro apparente, l'ultima luce riveste l'individuo di una nuova essenza prima dell'ultimo giorno, dove scaduto sarà il tempo osceno, dove scaduto sarà il tempo vissuto.

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QUALE AMORE

(a cura di Luca Rossi)

nell'amore sai non c'è ricetta

che tenga: è buona regola giocare di

rimessa / vuoi

possedere l'oggetto d'amore e

resistere all'amore Quello-che-si

dona

tu cuore diviso tra cielo e

terra carne/amore non più che sparso

seme

[da Fuoco dipinto – 2002, edizione dell'Autore]

*

Il nostro incurabile istinto di possedere, di assimilare nel senso più crudo del termine, è il mezzo attraverso cui passa gran parte della nostra esperienza estetica.

Noi ci abbracciamo premendo un corpo contro l'altro, e così riduciamo a zero quella bellezza umana che è fisica solo nel senso che la superficie del corpo è animata da uno spirito che il nostro tatto in quanto senso non può raggiungere.

(Dag Hammerskjold – da DIARIO – Vagmarken: Piste)

*

La poesia sonda un territorio così vasto e profondo che potrebbe essere considerato la prima e l'ultima sfida dell'esistenza prima di giungere ai confini di una verità che renderà l'uomo finalmente libero dalle proprie passioni.

L'amore è confronto perché ci porta non solo a relazionarci con gli altri, ma anche a conoscere noi stessi, a metterci in gioco.

Quali comportamenti siano più indicati quando vogliamo che l'altra persona divenga per noi nessuno ce lo può dire, perché il cuore detta legge a un uomo nuovo che porta dentro di sé un sentimento forse mai sperimentato prima.

“Non c'è ricetta che tenga”, dice chi scrive.

Eppure ci può essere una sorta di “educazione”, capire che l'oggetto del nostro amore è dunque per noi e non nostro nel senso possessivo del termine.

C'è chi vorrebbe fagocitare, ingoiare questo amore perché non si dilegui e c'è invece chi mantiene le distanze per la paura di non essere corrisposti. Entrambi comportamenti sbagliati che la poesia non cerca di correggere ma solamente di sottolineare (vuoi / possedere l'oggetto d'amore e / resistere all'amore Quello-che-si- / dona).

Bisogna imparare a gestire le proprie passioni cercando una nuova linea d'orizzonte dove il cuore rimane libero di decidere (tu cuore diviso tra cielo e / terra carne/amore) sapendo che l'amore che vuole possedere è un amore che rende prigionieri, che soffoca, che non permette alcuna realizzazione, nessuna crescita.

Nutrire poi la terra con il proprio seme perché produca frutto, perché dia senso a questo bisogno di donarsi.

Liberi dall'incertezza che il cuore non sia una prigione dove rinchiudersi e dove rinchiudere, ma una terza terra di frontiera da esplorare in due, in ogni istante.

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ONNIAMORE

accettare di farsi

trasparenza (libro aperto)

lasciarsi attraversare

dalla vita – da morte-vita (rosa

e croce) –

da Colui-che-è: l' Onniamorevole

di fronte all'Assoluto

…immersi

nell'Assoluto –

quando il R a g g i o

assorbirà le ombre

Felice Serino

*

Commento di Luca Rossi. Maggio 2002

La vita come apertura all'Assoluto, a ciò che è disciolto dalle cose terrene, per confessare fin da subito la propria sincerità,quella sincerità che si fa trasparenza dell'anima, ma anche del corpo: libro aperto che può essere sfogliato da chiunque abbia volontà di leggerlo.

Ecco il senso dell'opera di chi scrive: rimettere la propria esistenza, il suo senso, la sua durata, nelle mani di chi ci lascia liberi di chiuderci in noi stessi senza confrontarci con il Mistero o di rapportarci con ciò che potrebbe dare senso a quello che siamo.

Periodo di transizione difficile da vivere è la riflessione, soprattutto quando si mette in gioco tutta una filosofia di vita, una morale che sentiamo appartenerci, ma che è, lì, subito pronta a sfuggirci di mano.

“Onniamore” è una poesia a carattere fortemente religioso, interessante nella forma, viva nel contenuto. “Viva” in senso di “sentita”, di portare cioè chi legge a porsi degli interrogativi, perché la fede in fondo non è che una continua domanda che non trova risposta, se non nell'accettazione, come dice il poeta, di lasciarci attraversare dalla vita e, subito dopo, dal ricordo inestinguibile della morte.

Di forte impatto è la chiusura con il riferimento a quel “Raggio che assorbirà le ombre”: noi, nient'altro che esseri inconsistenti che per un attimo proiettiamo la nostra figura sul suolo, quando il nostro corpo si interpone tra l'astro che brilla e la terra sulla quale viene a definirsi l'immagine sempre distorta di ciò che siamo.

Inconsistenti fino a quando ci libereremo del peso della nostra esistenza per essere attraversati dalla Verità che libererà l'ombra dal suo oscuro colore per essere luce, per essere consistenza di ciò che prima era solo labile fede.

NOTE DI ANDREA CROSTELLI A 3 POESIE

L' INDICIBILE PARTE DI CIELO

indicibile la parte di cielo

ch'è in te e ignori – dice steiner

l'uomo in sé cela un altro

uomo: testimone che ti osserva e

sperimenti ogni ora:

basta che solo

un verso o poche note ti richiamino

a una strana forza interiore:

e cessi

di sentirti mortale

*

RIEMPIRE I VUOTI

riempire i tuoi vuoti di cielo

e un angelo che ti corre nelle vene

come sangue e il bianco grido

del vento che sfiora

i contorni del cuore a smussarne

gli angoli vivi il dono

di una parola (cara

e rara non di circostanza)

corredata dalla luce di un

sorriso ad hoc

*

AUNG SAN SUU KYI

(scritta il 22.5.09)

non violentate la primavera

del suo giovane sangue

non pugnalate la colomba

del suo cuore aperto

alla compassione

non schernite la disarmante

verità che proclama

aizzandole contro

i mastini della notte

dal suo sangue si leva alto

il grido d'innocenza

a confondere intrighi di potenti

Felice Serino

*

E' vero, basta che qualcosa “svegli” l'animo – come un verso, qualche nota, una pittura – che improvvisamente saltiamo il guado che fa sentire il pensiero atemporale.

*

“L'angelo corre nelle vene” mi fa pensare a quando faccio difficoltà a gestire quello scoppio d'amore che m' investe di tanto in tanto.

*

“I mastini della notte” non soffrono la sobrietà, il pacifico equilibrio che dà sapore alle cose, per questo vorrebbero azzannarti ma sbattono il muso con lo specchio che li fa vedere deformati al confronto.

Andrea Crostelli

UN DIO CIBERNETICO ?

(a cura di Luca Rossi)

vita asettica: grado

zero del divino Onniforme

(ma la notte del sangue

conserva memoria di volo)

vita sovrapposta alla sfera

celeste regno d'immagini

epifaniche / emozioni

elettroniche

eclissi dell'occhio-pensiero

[da Fuoco dipinto – 2002, edizione dell'Autore]

In un mondo che è immagine, in un mondo dove l'uomo si è innalzato sopra tutto e tutti, come giudice che dà la vita o la toglie, come persona in grado di decidere se fare nascere o meno altri esseri, dove l'attesa del Redentore è diventata solo un lontano ricordo perché già vissuta e non più ripetibile, ecco definirsi l'immagine di un nuovo dio (questa volta con la lettera minuscola – lo dice il poeta) creato dall'uomo per l'uomo, forse senza saperlo, non appena il tempo è divenuto maturo, mentre tutto riparte da zero, a grado zero; dove zero è l'origine di un nuovo universo, di nuove emozioni perdute che devono essere ricostruite o recuperate, di immagini nuove che devono essere fissate nella memoria perché le vecchie appartengono a un mondo che non c'è più, che è andato distrutto.

Eppure, il nuovo dio cibernetico, figlio di un uomo che ha la sua stessa essenza, incontaminato dal passato, sembra conservare sotto le sue spoglie il ricordo di una notte di sangue e di volo, segno di un sacrificio e di una manifestazione di essenza divina di un dio che era Tutto, che era ogni cosa e in ogni cosa.

L'occhio è lo specchio di ciò che è la realtà:ultima terra di conquista di un mondo senza emozioni che hanno dell'umano, di una nascita che contiene nuovi semi di futuro solo cibernetico, di un dio-macchina.

L'occhio-pensiero così si chiude e smette di vedere con i sentimenti della storia e di pensare con l'identità della fede.

Niente più resurrezione della carne, niente più perdono di nuovi peccati verso quelli che commettono crimini di pirateria informatica, niente più reincarnazione in altre caste, ma solamente immagini costruite per un dio su misura in grado di fermare il tempo e i sogni non appena ci si sconnette dalla “rete”.