Commento alla poesia di Felice Serino “La tua poesia”
Di Luca Rossi. Giugno 2003
LA TUA POESIA
quando un capriolare nel mare prenatale
ti avrà fatto ripercorrere a ritroso
la vita (tutta d'un fiato) azzerando l'Io spaziotempo –
allora leggerai la vera sola poesia aprendo
gli occhi sul Sogno infinito: la tua
Poesia cavalcherà in un' albazzurra i marosi
del sangue fiorirà negli occhi di un'eterna giovinezza
Da La difficile luce, 2005
*
La poesia scritta da Serino è tutta un inno alla giovinezza, ma non alla giovinezza in generale, bensì a quella dell'anima, la quale non si consuma ma resta sempre uguale, e che il tempo non dissipa con il suo correre inarrestabile; è un'indicazione sul modo di come fare per riappropriarsene, quando ormai i giorni sembrano non averne più memoria ed è pure un canto alla verità su cui si basa l'esistenza.
Aprendo la prima strofa con un verbo “montaliano”*, il poeta immerge fin da subito il lettore nelle acque di un mare che è origine, inizio, ora zero, epifania della vita, cioè quello del grembo materno, in cui la madre è ricordata, in modo traslato, un po' come la madre Terra, da cui tutto è generato. E non potrebbe essere altrimenti.
Per un attimo sembra che a un punto esatto dell'esistenza, facendo capriole, come è tipico dell'età infantile, colui che legge faccia ritorno a quel tempo originario, primordiale. E la vita rapidamente inverte il conteggio delle sue ore, dei suoi giorni, dei suoi anni fino a pochi istanti prima del suo nascere; un ritorno che è segnato dalla corsa rapida del pensiero che si fa viaggio, perché il “pensiero” è sinonimo per eccellenza di velocità che brucia lo “spaziotempo”, come lo definisce Serino, in cui l'essere vi si trova immerso.
Ed è in questo preciso punto che il poeta ci fornisce la chiave di lettura del testo; nel momento in cui dice (con parole che hanno un che di sapienziale e dal fascino indiscutibilmente bello, nel senso più ampio del termine) che solo allora “leggerai la sola vera poesia aprendo gli occhi sul Sogno infinito”.
Eleganza del verso e simbolismo indiscusso di tutta una rappresentazione di segni e concetti. E non è un caso se la parola poesia riportata nel procedere della lettura è scritta in carattere minuscolo la prima volta ed in maiuscolo la seconda; non si tratta di un errore, non è una distrazione di chi scrive e neppure una “licenza poetica”, in quanto la prima raccoglie la vita nel suo significato generale, quella sociale, magari vissuta superficialmente, banalmente, senza prestare attenzione ai segni criptati che ci provengono da un destino già scritto, mentre nel secondo si vuole fare esplicitamente riferimento alla vita del singolo, quella del lettore che diviene il vero protagonista del messaggio a cui il poeta vuole indirizzare il suo pensiero.
Meriterebbero questi primi due aggettivi e il sostantivo che ne segue alcuni approfondimenti, percepire il pensiero di chi scrive.
Il primo, vera, in quanto autentica, coerente con il proprio Io, con il proprio credo, che forse è andato perduto con l'avanzare degli anni. Ma è solo una percezione, un'intuizione a cui il poeta ci dice di porre attenzione.
Dopo tutta una vita spesa per “farci notare”, per non essere esclusi dal progresso nel quale se non si lascia un segno non si è nessuno, la riflessione stessa a cui siamo stati chiamati ci porta a fare un'analisi storica del nostro vissuto, interrogandoci sul fatto che sia stata proprio quella la via che volevamo percorrere,e che siamo stati costretti a calpestare, per fare “sentire” la nostra voce in mezzo alle voci di coloro che hanno voluto gridare di più per apparire, per sembrare, per affermarsi.
Ed è in quel momento che la verità si fa strada e si rivela per quella che è, nuda, scarna, senz'ombra, gettando quasi un alone di colpevolezza sulla propria coscienza che ci portava a credere di essere nella verità.
Sola, perché non ne esiste un'altra. Non esiste un'altra verità che può essere uguale alla nostra, confrontabile, similare, un io uguale all'altro col quale porre limiti e infiniti orizzonti da cui trascendono i progetti.
Non è confrontabile un vissuto con l'altro, per quanti errori o cose positive abbiamo compiuto all'interno della nostra vita.
Portiamo con noi una serie di prove da superare che forse non riusciremo a portare a termine, un'infinità di progetti che vedremo fallire, ma anche la speranza che forse qualcuno un giorno, fosse anche il fratello che proviene da lontano, il pellegrino per eccellenza (inteso in senso cosmopolita) possa comprenderle (nel senso etimologico del termine, prendere-con-sé).
Portiamo con noi anche le cose belle, compiute, quelle positive, costruttive, dalle quali però il più delle volte ci aspettiamo riconoscenza, e non dovremmo, perché la vera Poesia, e qui il sostantivo inevitabilmente viene riportato in caratteri maiuscoli, deve rimanere anonimo, noto solo agli occhi di Colui che tutto vede e di cui noi abbiamo conoscenza per fede e testimonianza teologica.
Qui il sostantivo acquista il suo vero significato, insindacabile, indiscutibile della creazione.
Difficoltà estrema quest'ultima (indicata dal poeta con riferimento ai marosi) dell'uomo, di cui la parola sangue ne rievoca chiaramente l'immagine e ne sottolinea l'unicità, quasi fosse una carta d'identità, e con la quale è chiamato a vivere senza mai perdere la sua vera bellezza, che il poeta recupera prima della chiusura, in direzione di un azzurro verso il quale cavalcare; colore di una giovinezza che fu, che continuò a essere e che sarà, ogni qual volta l'eternità ci chiamerà a volgere lo sguardo verso un mondo che adesso non è più, ma nel quale fino a un attimo prima eravamo vissuti.
- Capriolare.