Commento alla poesia “Maya”, di Felice Serino
Luca Rossi.
Marzo 2007-03-10
Mi riferisco a Maya. Stupende l'apertura e la chiusura che tendono a concentrare il significato dei versi in un indefinibile “status” dell'uomo. La figura geometrica, poliedrica, prismatica, antica, definisce il mondo riflesso che solamente l'asceta è in grado di distinguere. Siamo della terra, ma solo ora: non lo eravamo prima della nostra nascita, non lo saremo più dopo la nostra morte. Ma abbiamo vissuto l'azzurro, nel suo senso simbolico e “nell'azzurro”, nel suo senso materiale, come luogo di sogni e realtà. Di decadente esiste il corpo, effimero, ma non lo spirito racchiuso in esso: sottile fiamma.
Interessante aggettivo che apre a una visione pluridimensionale di significati.
Ognuno cercherà al proprio interno quello che più gli si addice quando dovrà ricercare il contrario di “sottile”.
Forse pochi lo troveranno, ma non sui dizionari.
Lo sapranno i Santi, lo diranno i Martiri. Lo diranno le vittime della guerra, della violenza senza senso, la gente che muore di fame, coloro che avevano una possibilità ed è stata loro negata.
Il poeta si fa interprete dell'asceta. Diviene per un momento esso stesso spirito comune di questi, per poi distaccarsene e ridiventare uomo comune. Per un momento entrambi racchiusi in quel prisma dove la luce si espande in ogni direzione fino a dove l'occhio riesce a distinguere orizzonti di esteriorità cosmica per poi penetrare e scaldarsi a lato di quell'anima che arde, dignità esistenziale dell'uomo vero.
*
Maya
il di qua dice l'asceta
non è che proiezione
nel prisma azzurro del giorno
sentenzia
che perfezione
è la carne che si fa spirito
non si terrà conto
del corpo che si nutre
che è già della terra
si è dunque
del cielo o anelito
d'infinito ancor prima
del primo respiro?
– certa è la fiamma che dentro
ci arde – sottile –
*
Considerazioni sulla poesia “Maya”
“Perfezione è la carne che si fa spirito” è qualcosa che 'parla' (e bene) solo in poesia, in quanto la carne è carne e lo spirito è spirito, e nessuno dei due può diventare l'altro. Possibile invece vivere più che si può di cose spirituali e “abbandonare” (a tratti) la carne. Cioè, essere così leggeri (elevati) di (in) spirito che l'anima fuoriesce dal corpo lasciandolo come un fantoccio fino al suo ritorno in esso, ovvero quando si è esaurita quell'energia soprannaturale.Il centro della poesia, che è la centralità in cui essa ruota, secondo me detta i dettami della riflessione (non a caso si trova in quel posto): “non si terrà conto / del corpo che si nutre / che è già della terra”. Cibarsi di ciò che offre la natura, tingersi della terra, della sabbia, dell'erba rotolandoci sopra per poi un giorno lasciarci le nostre spoglie [non come il cestino del computer nel quale puoi ripescare le cose vecchie, ma come un programma nel quale non puoi più accedere (solo Dio può farlo)]. Il corpo è la scatola, è la custodia temporanea del regalo che c'è dentro: il nostro spirito che a sua volta si rifà regalo al mittente.
Quella “fiamma che dentro ci arde sottile” e sale verso l'Alto, l'Altissimo.
Andrea Crostelli