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Per non dimenticare

Dai racconti dei miei nonni e anche di mio padre, che durante la seconda guerra mondiale era un ragazzino, compresi perchè egli non rinunciava mai al pane sulla tavola.

Soldati a Palermo durante la 2^ guerra mondiale

La foto sottoriportata, scattata a Palermo nel 1943, ritrae le persone davanti ad un panificio, in attesa che fosse sfornato il pane, e, quantunque la guerra e i razionamenti alimentari avessero generato miseria e fame, qualcuno trovava la forza per sorridere, in particolare le "donne coraggio", madri che, oltre al loro ruolo, a causa dell'assenza dei propri uomini partiti in guerra, dovevano fare per i figli anche le veci del padre, ed essere da esempio impartendo loro quegli insegnamenti di vita e soprattutto esortarli ad non abbandonare mai la speranza del cambiamento.

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Palermo, la gente attende speranzosa davanti al panificio (anno 1943)

L’Italia entrò nel secondo conflitto mondiale il 10 giugno 1940, alla fine dello stesso anno la situazione alimentare peggiorò velocemente e si manifestò una crisi dei generi di prima necessità, pertanto in applicazione alla legge sul razionamento dei consumi, la distribuzione dei generi alimentari di più largo consumo, era effettuata esclusivamente attraverso la carta annonaria.

tessera

La tessera annonaria

L’ammontare delle razioni individuali era fissato mensilmente dal ministro delle corporazioni, la tessera era personale e non cedibile, dava diritto a generi alimentari differenziati a seconda della fascia di età.

I generi alimentari dovevano essere prenotati in giorni prestabiliti presso i negozi, ed era vietato il commercio in qualunque altra forma.

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Palermo, la gente attende speranzosa davanti al panificio (anno 1943)

Dagli scatti di queste fotografie somo passati 80 anni, di tutto ciò oggi rimane soltanto un ricordo, indelebile per chi ha vissuto quei giorni terribili e di riflessione per chi appartiene ad una generazione diversa, alla quale il pane sulla tavola non è mai mancato.

Palermo, la gente attende speranzosa davanti al panificio (anno 1943)

Oggi, in un paese che non è il nostro, stiamo assistendo nuovamente all'ennesima guerra, le notizie dai mass media arrivano da tempo filtrate, possiamo soltanto immaginare paura, orrore, morte, fame e sofferenza di tutte quelle persone coinvolte .

Il pensiero va a tutti quegli uomini che stanno combattendo per difendere la propria patria da una guerra assurda, ai civili, a quelle madri coraggio, all'adolescenza rubata a quei bambini che stanno patendo la fame, costretti ad assistere ancora una volta alle violenze ed alla crudeltà di chi, al potere, agisce senza scrupoli nei confronti di innocenti.

40 anni fa la strage in cui furono assassinati il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente di scorta Domenico Russo.

Carlo Alberto Dalla Chiesa

Dall’inizio dell’anno e fino ad agosto del 1982, quella maledetta estate, sulle strade di Palermo e provincia si contarono numerosi morti ammazzati, che arrivarono a 100, a seguito di una vera e propria mattanza, scaturita da una guerra tra cosche mafiose.

Nei cento giorni intercorsi dalla data della nomina di Prefetto al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa fino a quella della sua morte, cento furono i morti ammazzati.

Palermo era prigioniera del piombo, il 30 aprile dello stesso anno era stato assassinato, sempre per mano mafiosa, l'Onorevole Pio La Torre insieme al suo autista.

A quel tempo mio padre acquistava giornalmente il quotidiano "L'ORA", che fu il primo giornale della Sicilia a mettere nero su bianco la parola mafia (inchiostro contro piombo), quando in molti sostenevano che non esistesse alcuna organizzazione criminale. Pertanto ogni giorno leggevamo in prima pagina la conta delle vittime, oltre a vedere le raccapriccianti fotografie dei corpi senza vita martoriati dai proiettili.

Il Generale Dalla Chiesa era più solo che mai in questa guerra di mafia, il dieci agosto del 1982, meno di un mese prima della sua morte, il quotidiano La Repubblica pubblicò un’intervista clamorosa rilasciata al giornalista Giorgio Bocca, titolata: "Un uomo solo contro la mafia".

Si apprese successivamente, da notizie pubblicate su alcune testate giornalistiche, che lo stesso Giorgio Bocca raccontò di essersi reso conto di quanto il Generale fosse un uomo solo, perché quando andò ad intervistarlo, non c’era nessuno in prefettura, non passò nessun controllo, entrò nell’ufficio del Prefetto senza alcuna perquisizione o fermo.

Qui il link dell'intervista al Quotidiano La Repubblica: Intervista

Sono passati 40 anni, era il 3 settembre del 1982, ma quella maledetta sera la ricordo bene, come se fosse ieri, avevo 18 anni, ero in casa e stavo guardando la TV, quando ad un certo punto, dopo le ore 21:15, vi fu un’interruzione delle trasmissioni televisive per un’edizione straordinaria del telegiornale, che annunciava la tragica notizia del barbaro eccidio; la strage in cui furono assassinati dalla mafia il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Prefetto di Palermo, assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all'agente di scorta Domenico Russo.

Quella stessa sera, in una Palermo stretta tra orrore e disperazione, una mano anonima lasciò un cartello sul luogo dell'agguato, sul quale scrisse: "Qui è morta la speranza dei palermitani onesti".

Giornale

Voglio ricordare con Onore un grande servitore dello Stato, che ha lasciato un elevato esempio di lealtà ai valori costituzionali, di coerenza morale e di ineguagliabile coraggio.

#palermo #pernondimenticare #ionondimentico #nomafia

Mi è sempre piaciuto camminare per le vie del centro storico della mia Palermo, una città avvolta da tanti misteri, segreti, leggende, ma anche ricca di fatti e storie vere, affascinanti ed intriganti, una città da scoprire o riscoprire ogni volta che mi addentro nei suoi vicoli, una Palermo a volte sconosciuta anche a me che vi sono nato.

Amo le sue tradizioni, le usanze, le credenze popolari, che si tramandano tra le varie generazioni e che restano sempre vive attraverso i ricordi di chi a sua volta è rimasto inevitabilmente affascinato delle storie raccontate da coloro che le hanno vissute in prima persona.

Cammino e mi soffermo ad ammirare le imponenti e meravigliose opere d'arte e penso a un tempo antico, a quanta vita è passata, alle maestranze che hanno realizzato queste maestose strutture, mettendo in campo tutte le tecniche costruttive di quei tempi, anche rudimentali, eseguite da veri maestri d'arte dalle doti ineguagliabili.

Opere che rappresentano per questa città gli evidenti segni del passaggio delle varie dominazioni che si sono susseguite nel tempo.

E c'è un palazzo, nella grande Piazza Marina, è il palazzo Steri-Chiaramonte che, per le storie drammatiche che l'hanno interessato, viene visto dai palermitani, e non solo, come austero e tenebroso. Ma è un palazzo come tanti altri, segnato purtroppo da avvenimenti tragici, che questa volta non appartengono a leggende metropolitane, ma a fatti realmente accaduti durante la dominazione spagnola.

Palazzo Steri-Chiaramonte

Il palazzo fu costruito all'inizio del 1300 su un edificio arabo, fu la grande dimora di Manfredi di Chiaramonte, esponente di spicco della potente famiglia dei Chiaramonte, conte dell'immenso Feudo di Modica, detto “Regnum in Regno”.

Il potere della famiglia diede presto fastidio agli spagnoli e nel 1392 il re Martino il Giovane, decise di fermare le ambizioni politiche di Andrea di Chiaramonte, discendente ed erede di Manfredi, decapitandolo davanti al suo palazzo e sequestrandogli ogni bene.

Nel 1487 Ferdinando II il Cattolico, Re di Spagna, inviò a Palermo i suoi inquisitori, delegati ad istituire il primo Tribunale dell’Inquisizione in Sicilia.

Il “Santo Uffizio”, così chiamato, inizialmente si stabilì a Palazzo dei Normanni, dove rimase fino al 1551, tuttavia le carceri a disposizione non erano sufficienti e pertanto per questo motivo fu commissionato all’architetto Diego Sànchez la realizzazione di uno spazio carcerario più ampio.

Per la costruzione di tale struttura, venne scelto uno spazio alle spalle di Palazzo Chiaramonte Steri, che dai primi anni del 1600 divenne la nuova sede dell’Inquisizione Spagnola.

È il carcere segreto dell’Inquisizione, il luogo dove per due secoli, dai primi del Seicento al 1782, gli uomini inviati in Sicilia da Torquemada interrogarono e torturarono innocenti in nome di Dio.

Per gli uomini del Sant’Uffizio i carcerati erano eretici, bestemmiatori, streghe, fattucchiere, amici del demonio. In realtà molti erano artisti, intellettuali scomodi, nemici dell’ortodossia politica e religiosa, oppure poveracci finiti negli ingranaggi di una gigantesca macchina di malagiustizia.

Piazza Marina divenne il luogo preferito dove eseguire i roghi e le esecuzioni dei condannati a morte.

rogo

Il 16 Marzo 1782 il tribunale del Sant’Uffizio venne ufficialmente abolito ed il viceré Caracciolo, profondamente contrario alle pratiche inquisitorie, non tardò ad ordinare la scarcerazione immediata dei prigionieri, nonchè purtroppo anche il rogo di tutti gli atti del tribunale, al fine di cancellare qualsiasi traccia dei soprusi, delle violenze, degli orrori delle segrete avvenute a Palazzo Steri.

Durante alcuni lavori di recupero e di restauro del palazzo, Giuseppe Pitrè, famosissimo etnografo palermitano, tra il 1906 e il 1907, dopo aver scavato per oltre sei mesi negli intonaci che avevano coperto tutte le possibili tracce, scoprì i Graffiti dello Steri, disegni e scritte lasciati dai prigionieri.

graffiti

Un breve video che ho realizzato, molto suggestivo, ricostruisce, proprio attraverso la visione di quelle scritte e dei graffiti, la sofferenza di quei penitenziati ingiustamente detenuti la cui sola speranza di uscirne vivi, ritrovando la propria libertà, era solo la fede in Dio.

Written by @panormus

Chista è na storia di fantasia, nu cuntu fasullu, na diciria, ca mi cuntavanu puru a mia, quannu di nicu iava a Vucciria.

S’havi a sapiri, comu dicia u putiaru, ca nè armali nè picciriddi si struppiaru, iddi s’avianu sulu scantatu pi chiddu ca ci fu cuntatu.

Chista è la storia du coccodrillu ca si pistiava i picciriddi da Vucciria, chistu è u cuntu e chista è a diciria.

coccodrillo

Cunta u paliemmitanu ca l’armalu arrivò di luntanu, du ciumi papiritu e nò canaluni natannu, ma nuddu sapieva diri come e quannu.

Natannu natannau, si iu ammucciari né funtani da Vucciria, e chistu u cuntava puru a zza Maria.

Da funtana niscieva quannu avia pitittu, chistu almeno è chiddu c’hannu sempri dittu, si c’era un picciriddu ca iucava nà la vicinanza, l’armalu grapieva a vucca e s’unfilava na panza.

fontana

I picciriddi iavanu spiriennu ma ancora nuddu ci iava cririennu, allura i cristiani da buiggata, cuminciaru a circalli strata strata, ma i picciriddi un si truvaru e patri e matri si ficiru lu sannu amaru.

Sta storia un putia chiù iri avanti e a genti priava tutti i santi, pi fari spiriri l’armalazzu quaiccunu iccannu vuci dicieva “l’ammazzu”.

Cinqu picciotti, i chiù curaggiusi, cu benestari di cristiani religiusi, armati di cutieddi già ammulati, s’ammucciaru nà chiazza e quattru lati.

Quannu l’armalu ebbi pitittu, nisciu da funtana rittu rittu, e fu allura ca i picciotti guerrieri, c’un savutu l’affirraru pi d’arrieri.

U coccodrillu cuminciò a stramazzari, forse capiennu ca u vulianu ammazzari, affierralu pa cura, affierralu pa tiesta, c’un cuoippu i pugnali ci ficiru a fiesta.

L’armalu iccatu ntierra di vita un dava chiù signali, aviennu nà curazza azziccatu u pugnali.

fontana

E mentri i picciotti si nni stavanu iennu e i genti versu a chiazza stavanu curriennu, di na picciridda s’intisi lu chiantu e fra i cristiani ci fu subitu scantu.

Versu la bestia avvicinnanu l’aricchiu, si sintieva chiù fuoitti da picciridda u so picchiu.

Subitu all’armalu ci grapieru la panza, ca era granni quantu na stanza, infila li vrazza e nè vuriedda arriva, scupriennu ca picciridda era sana e viva.

Fra li genti du quaittieri fu subitu fiesta e un ci fu chiù bisognu i sbattirisi a tiesta, i picciriddi turnaru a ghiucari, nà la funtana che era comu lu mari.

bambini

P’un farici scuiddari alla genti di l’armalu da Vucciria, ci pinsò un putiaru da via Argenteria, si fici fari un coccodrillu impagghiatu e u misi rintra a putia nò tiettu appizzatu.

I picciriddi ca trasianu nà putia unn’è ca taliavanu sulu a tia, ca tiesta calata un putievanu stari, senza l’armalu pi fuoizza taliari.

Chista è na storia di fantasia, nu cuntu fasullu, na diciria, ca mi cuntavanu puru a mia quannu di nicu iava a Vucciria.

coccodrillo

Tra le tante leggende palermitane, non mancano le storie legate a fatti misteriosi, intriganti e suggestivi, come quella del coccodrillo che divorava i bambini che giocavano vicino alle fontane del mercato della Vucciria a Palermo.

fontana

Ricordo da bambino, quando mi recavo al mercato della Vucciria con mio Nonno, che egli mi raccontava questa storia del coccodrillo ed io nei miei pensieri cercavo di raffigurare, con tutta l'immaginazione possibile, quelle scene a me narrate.

Peraltro, ad avvalorare questi fatti inquietanti per i bambini di allora, contribuiva la presenza di un coccodrillo imbalsamato e “appizzatu” che si trovava appeso al soffitto di una drogheria in Via Argenteria, la quale rappresenta la via principale del mercato.

coccodrillo

Per rendere l'ambiente ancora più suggestivo, il titolare del negozio mise all'interno del coccodrillo tre lampadine di colore rosso che illuminavano gli occhi e la bocca del grosso rettile, ciò incuteva timore a tutti i bambini che entravano nell'esercizio commerciale e, anche se l'austera figura dell'animale faceva paura, non si poteva fare a meno di alzare gli occhi al soffitto per guardare l'enorme alligatore.

Le credenze popolari di allora, hanno fatto si che questa leggenda fosse tramandata tra le varie generazioni, in particolare fra gli abitanti del quartiere Vucciria, ma anche alla stragrande maggioranza di quei palermitani che, vuoi o non vuoi, nel tempo erano venuti a conoscenza della fantasiosa storia.

Si narra che questo coccodrillo provenisse addirittura dal lontano fiume Nilo, arrivato a nuoto a Palermo attraverso il fiume Papireto e che fosse giunto alla Vucciria nascondendosi all'interno delle fontane di Piazza Caracciolo e del Garraffello. La sera, quando i “picciriddi” (bambini) si attardavano a giocare nelle vicinanze delle fontane, il coccodrillo con uno sbalzo fulmineo usciva fuori dal manufatto e se li mangiava.

coccodrillo
Vista la crescente paura che l’animale diffondeva per le strade, un gruppo di ragazzi coraggiosi decise di affrontarlo ed ucciderlo. Una notte gli tesero una trappola, si appostarono nei pressi di una fontana e aspettarono che il coccodrillo uscisse allo scoperto, una volta fuori lo afferrarono per la coda e tenendolo fermo, mentre l’animale sorpreso si dimenava con tutta la sua forza, uno dei ragazzi prese un coltello e riuscì ad ucciderlo. Terminata la lotta, mentre il coccodrillo giaceva morto, si udì il pianto di una bambina provenire dal suo stomaco. Stupiti i ragazzi aprirono la pancia del rettile ed infilando le braccia ne estrassero una bambina ancora viva, con grande sorpresa di tutto il quartiere che decise di fare una grande festa per celebrare l’evento.

I bambini tornarono così a giocare spensierati nelle fontane del mercato della Vucciria e del coccodrillo rimase solo un lontano ricordo.

bambini

Tra le tante leggende palermitane, non mancano le storie legate a fatti misteriosi, intriganti e suggestivi, come quella del 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗺𝗮 della Suora del Teatro Massimo di Palermo.

Teatro Massimo di Palermo

Pima della costruzione del Teatro furono demolite alcune strutture preesistenti tra cui la Chiesa di San Francesco delle Stimate, compreso il monastero ed il cimitero annessi, consistenti nella Chiesa di San Giuliano e la Chiesa di Sant’Agata che all’interno dei monasteri custodivano anche le tombe di suore, preti e di altri defunti.

Secondo la leggenda palermitana, durante il corso dei lavori di demolizione, pare sia stata profanata la tomba di una suora e da allora la credenza popolare vuole che il suo 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗺𝗮 infesti il Teatro.

tombe

«Mentre scavavano i muratura truvaru 'sta cascia e lu spiddu si svegliò. Sta monaca 'nqueta a tutti picchì idda nun vuleva stu teatro o postu du conventu. (“Mentre scavavano i muratori trovarono questa cassa e lo spirito si svegliò. Questa monaca disturba tutti perché non voleva questo Teatro al posto del convento”)».

Si racconta che in molti hanno visto l’ombra della Suora aggirarsi dietro le quinte e nei sotterranei e, stando alle credenze e alle dicerie della gente, Ella lanci delle vere e proprie maledizioni.

fantasma suora

E si attribuisce proprio alle maledizioni del 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗺𝗮 il fatto che furono necessari ben 23 anni per la costruzione del Teatro e che per ulteriori 23 anni rimase chiuso in stato di abbandono.

Tra i tanti dispetti che si narrano, si sostiene che sia proprio il fantasma della Suora che si diverte a far inciampare le persone che non credono alla leggenda, nel primo gradino della rampe di scale di accesso al Teatro.

Pertanto se venite a Palermo e visitate il Teatro Massimo, attenti al fantasma della Suora 😂

fantasma

Rosalia

Fra meno di un mese, il culto e la devozione dei Palermitani in onore di S. Rosalia, Patrona della Città di Palermo, è quello del Festino “U Fistinu”, sfarzosa festa in memoria della miracolosa processione del 1625 con la quale, attraverso le reliquie della Santuzza, la Città fu salvata dalla peste.

La festa inizia il 10 di luglio e si protrae per 5 giorni fino al 15 luglio giorno in cui si rivive la processione dell'Urna a reliquiario in cui è custodito il corpo mortale di S. Rosalia per le vie del Centro storico di Palermo.

La grande festa, che richiama una grande folla di spettatori, inizia (negli ultimi anni) con una rievocazione storica della vita e del miracolo di S. Rosalia nella Cattedrale di Palermo.

Il clou del Festino avviene la sera del 14 luglio, dove un corteo di Palermitani accompagna il Carro Trionfale di S. Rosalia fino alla Marina, attraversando tutto il Cassaro e passando per Porta Felice.

Festino

Quando il Carro Trionfale arriva alla Marina, addobbata a festa, i Palermitani assistono ad uno spettacolo di botti, bagliori, luci e colori, per fuochi d'artificio sparati in onore della Santuzza.

Giochi

In S. Rosalia e nella sua festa i Palermitani trovano una ragione ed una occasione di identità collettiva ben sintetizzato nel grido di “Viva Palermo e S. Rosalia”.