BIOPARCO

Aveva le spalle larghe, era alto e possente. I suoi occhi azzurri come il mare incantavano chiunque lo avvicinasse. Forse era il fascino della divisa su cui si adagiava la luce, forse era la sua espressione gioviale a renderlo affascinante. Aveva perso memoria del suo nome, conosceva la sua matricola di fabbricazione, PQ809, ed era un poliziotto. Sì, era un poliziotto. Quando aveva cominciato a svolgere l’attività cui era stato assegnato dal capitano, un guizzo d’orgoglio si fece strada tra le sue connessioni neurali. Il ruolo lo spinse ad implementare il suo database con le informazioni necessarie per prevenire piuttosto che contrastare azioni sediziose o illegali. Era armato e doveva pattugliare il quartiere più a nord della città, il luogo in cui uomini e donne amavano incontrarsi per interrompere la routine di una vita dura e dolorosa, scontrosa e fugace. Lui guardava quell’umanità apparentemente stanca ancor prima di nascere, ma che non aveva smesso di osservare la Luna e di rincorrere il senso dell’esistenza, cercando nella violenza una via di uscita. “Ehi, amico sei di nuovo tra noi?” Disse uno di loro. “Sono qui come sempre, forse non dovresti fare a me questa domanda, ma a te”. “Abbiamo un androide filosofo”. Rispose ridendo con sarcasmo e volgendo il capo indietro verso gli altri, i compagni di sempre. “No, sono semplicemente un poliziotto che deve mantenere l’ordine”. “Che cosa teme il governo? Siamo così pericolosi?” PQ809 se ne andò pensando: “Certo che siete pericolosi”. Da un momento all’altro qualcosa sarebbe potuto accadere. Sotto il cielo increspato, ruvido e aspro vi era una insoddisfazione dilagante che sfociava spesso in attacchi improvvisi quanto inutili contro il nuovo regime. Al distretto era ben voluto da tutti. I componenti della squadra di cui faceva parte erano in quel periodo dislocati in altre zone della città, dove i disordini erano assenti. PQ809 invece quotidianamente toccava con mano l’acqua gelida dei fiumi, acqua che sarebbe potuta esondare senza preavviso, tentando disperatamente di travolgere tutto senza lasciare traccia. Con questo stato d’animo pattugliava le vie immaginando di trovare come per incanto la realtà rovesciata, quiete e serenità. Invece la situazione era sempre la stessa. “Ehi poliziotto filosofo, sempre da queste parti?” “Questo è il mio lavoro, perciò sì, sono sempre da queste parti”. “Prima o poi farai una brutta fine. Questo è il nostro territorio e mal si concilia la tua presenza”. Avrebbe voluto obiettare che senza di lui sarebbero stati in balia degli eventi da loro stessi causati, ma non volle replicare.

All’improvviso vide un vecchio dall’aria stanca e dal volto solcato da profonde rughe. Si diresse verso di lui. “Cosa fai qui?” L’uomo era seduto per terra, lo fissò un attimo. “Sono un’ombra, sono il passato che vorrebbe vegliare sul presente.” Mormorò con voce lieve e roca. PQ809 con aria interrogativa non si mosse in attesa di una spiegazione. “Mia figlia è morta proprio qui. Quando la trovai giaceva sotto una pioggia battente, sola, abbandonata sul marciapiede come uno straccio”. “Cosa è successo?” “E’ una lunga storia. Dopo la fine della guerra, tutti noi eravamo impegnati nella ricostruzione di una società pacifica, inclusiva, dove vi sarebbe stato posto per tutti e per ciascuno a prescindere dalle caratteristiche genetiche, biologiche e funzionali. Questo era il nostro intento. Eppure qualcuno non era d’accordo, preferendo allontanarsi per organizzare la resistenza armata e combattere fino all’ultimo respiro contro il Governo Federale liberamente eletto e che non perdeva occasione per propagandare il proprio ruolo di garante ”. “Quello che mi dici, non mi aiuta a capire”. “Lo so”. Due lacrime scesero sulle guance sfigurate, la mano tremolante indicava verso il centro della città. PQ809 lo seguiva a fatica anzi gli sembrava che stesse divagando. Non era vero e lui lo sapeva. “Mia figlia nacque dopo una lunga serie di tentativi. Finché non arrivò la notizia che un piccolo embrione si era trasformato in una cucciola. A quei tempi io facevo il tuo lavoro, ero molto occupato. La piccola crebbe nel collegio più prestigioso di questa città. Ci vedevamo ogni fine settimana ed erano momenti di gioia. Amava fare lunghe passeggiate, diceva che la rilassavano”. Intorno a loro il chiasso si era fatto assordante, ma nessuno dei due pareva farci caso. Notarono invece due grandi fanali che si stavano avvicinando, l’aeronavetta si accovacciò sul suolo e attese. Due ragazze salirono in fretta come se ci fosse un allarme da qualche parte. “Non sei stupito? Eppure sei sempre qui”. Riprese il vecchio con tono rassegnato “Il mezzo che hai visto si presenta regolarmente e la scena cui si assiste è sempre la stessa. Dove sia diretto nessuno lo sa. Quello che è sicuro è che le ragazze si dissolvono nel nulla”. “Non mi sono mai accorto della stranezza di questi comportamenti”. Si sentiva a disagio, come se fosse responsabile di una grave omissione. Tacque per qualche minuto. “Ma...Tua figlia perché si trovava qui?” “Era un sabato qualunque quando uscì con un’amica per fare quattro chiacchiere e distrarsi. Era incantevole, indossava un abito di seta blu attillato che contrastava con l’agitazione con cui si muoveva. Si avvicinò alla porta frettolosamente senza salutare. Uno strano presentimento si impossessò della mia mente. Fu un attimo. Decisi di seguirla. Passo dopo passo, cercando di non farmi notare, la vidi svoltare in un viale cupo e poco frequentato. Persi le sue tracce. Quando rientrò non osai chiederle nulla”. “Ti ascolto da un po’, ma ancora non ho compreso come sia morta tua figlia”. Incalzò PQ809, ma il vecchio era completamente immerso nella sua narrazione. “Due mesi dopo il pedinamento mi abbracciò con una valigia in mano. Le chiesi una spiegazione prima che varcasse la soglia, le sue labbra sottili non pronunciarono una parola. Era già lontana quando si voltò verso di me con tutto il suo corpo e urlò: ‘Ti voglio bene’. Scomparve ed io rimasi immobile, annichilito”. “Non potevi fermarla?” replicò PQ809. “Come si fa a fermare una donna di 20 anni? Solo quando mi ripresi, mi feci coraggio e mi recai al Distretto di Polizia. I miei colleghi non mi badarono più di tanto, non era stata rapita, se ne era andata volontariamente. Aveva 20 anni osservarono. Era vero, era responsabile delle proprie azioni”. Il vecchio abbassò il capo, era stato colto da un improvviso malore, aveva il vuoto dentro, qualcosa di oscuro lo stava divorando. “Non si fece più sentire. I giorni scorrevano lenti, le pagine del calendario finirono per coprire il pavimento. Le strappavo con la rabbia del leone ferito. Indagai per conto mio sui casi irrisolti riguardanti giovani donne la cui vita si era fermata senza il ritrovamento di un cadavere. Giunsi in questa piazza, molte erano passate da qui”. “Vuoi dire che qui si commettono omicidi? Tua figlia si è trovata implicata in qualcosa di poco chiaro?” “Ne ero convinto, anche se la speranza che la mia ipotesi fosse smentita dai fatti albergava nel mio cuore”. Il vecchio si alzò e se ne andò senza concludere la conversazione.

PQ809 non gli chiese altro anche perché non nutriva dubbi sul fatto che lo avrebbe rivisto.

Invece no, il vecchio non riapparve. Cos’era successo? Tutto era avvolto nel mistero: la comparsa del vecchio, la sua sparizione, la morte della figlia. PQ809 non riusciva a darsi pace. In cuor suo, se così si può dire, desiderava trovare soluzione ad un caso che lo aveva colpito al punto da diventare un’ossessione. Girava senza tregua alla ricerca di qualche indizio ma era come giocare a mosca cieca, nessuno conosceva la ragazza e tanto meno il padre e, se anche qualcuno li avesse notati, certamente non lo avrebbe detto a lui. Qualcosa gli sfuggiva. “E’ possibile che io abbia sognato tutto?” Decise di terminare le ricerche e di rivolgersi all’ingegnere che lo aveva progettato e addestrato. Non fu rilevata alcuna anomalia

Un anno dopo fu trasferito in un’altra zona della città. Era il rione degli scienziati. L’aria profumava di fiori freschi e di corteccia. Il parco brulicava di ragazzi, sorvegliati a vista da guardie armate, qualcuno correva, altri camminavano lentamente, altri ancora si godevano il sole primaverile seduti sulle panchine. I palazzi intorno svettavano verso il cielo facendo intravvedere una umanità indaffarata. PQ809 si rese conto ben presto, e con soddisfazione, che tutto era perfettamente organizzato. Quello che lo turbava era la rabbia con cui i ribelli attaccavano quel modello di società. Lo comprese rapidamente. Quel mondo viveva ad un ritmo quasi delirante. Le sirene suonavano con puntualità da caserma sempre alla stessa ora. In file ordinate tutti uscivano per raggiungere il posto di lavoro o rientravano negli alloggi. Erano quelli i momenti in cui si poteva leggere sui loro volti una grave tristezza. “I loro occhi sono muti, inespressivi”. Pensò sommessamente PQ809. Intorno non scorgeva luoghi di ritrovo, nessuna insegna colorata, l’atmosfera era piatta, la musica inesistente. Un filo di vento, che si intrufolava tra gli alberi, era l’unico suono oltre quello delle sirene. Sentì un brivido. Era imbarazzato ed intimorito dalla nostalgia per il chiassoso quartiere in cui aveva prestato servizio. Come per incanto gli sovvenne il vecchio stanco e ferito, evaporato dalla sua memoria finché, per uno strano scherzo del destino, gli parve di distinguere proprio lui. Lentamente calpestò il sentiero che li separava. “Finalmente sei qui, ti stavo aspettando”. “Che cosa significa?” PQ809 sarebbe voluto scappare. “Sei preoccupato, eppure non dovresti stupirti, non è il caso che ti ha condotto qui. La legge da qualche anno non prevede lunghi periodi di sosta in uno stesso luogo per evitare che androidi ed esseri umani familiarizzino. Prima o poi saresti arrivato. Quello che vedi è il fallimento degli ideali in cui molti di noi avevano creduto. Quest’area è una specie di bioparco, noi siamo animali in via di estinzione. Voi androidi avete preso il controllo del governo e di tutte le attività produttive. Non avete bisogno di noi se non per studiare ed implementare la vostra sfera emozionale. Conclusa questa fase l’Umanità non ci sarà più”.

PQ809 spaventato dal tono perentorio del vecchio, che lo inchiodava, aveva le reti neurali in fibrillazione. Qualcosa di terribile stava per cadergli addosso. “Quando ti ho conosciuto, ti ho raccontato di me e di mia figlia. Quella storia sconclusionata merita un finale”. Sospirò. “Era notte fonda, proprio dove ci siamo incrociati la prima volta, lei ed i suoi amici stavano preparando un attentato per sovvertire la situazione ed ottenere dignità e libertà. Era fin troppo evidente quello che stavano facendo, ma si sentivano protetti, erano entusiasti e ingenui. Arrivò l’aeronavetta della polizia. Fu una strage. Tra i poliziotti c’eri anche tu. Tu hai ucciso mia figlia.” “Io non ricordo nulla”. “Non puoi. Sei stato riconfigurato”. “Cosa pensi di fare?” Chiese PQ809 in modo sommesso. “Sono vecchio, parlare con te è stato l’ultimo atto da uomo libero”. PQ809 non commentò, girò lo sguardo verso il Sole, meditando di fuggire con il suo segreto. Voleva a tutti i costi ritornare là dove aveva commesso il delitto e dove forse avrebbe potuto lasciare una testimonianza. Fu intercettato dalle sentinelle poste a guardia degli ingressi ai diversi settori in cui era stato suddiviso l’abitato. Fu resettato e portato al Centro di Rieducazione. Il vecchio fu arrestato mentre vagava senza una meta, sbattendo di qua e di là quel povero corpo avvilito e rassegnato. Venne internato in una casa di riposo, una di quelle costruite appositamente per traghettare le persone alla morte. Sul frontone dell’edificio vi era scritto: “Albergo per anziani – in memoria di tutte le vittime delle atrocità compiute contro L’UMANITÀ ”.

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