CON UN CLICK
Giulia aveva attraversato la vita senza prendere un attimo di respiro. Era una donna in carriera e ciò la rendeva orgogliosa. Dal fango in cui era stata costretta a vivere da occhi crudeli, che l’avevano privata della sua infanzia e della sua adolescenza, era balzata in uno degli isolati più alla moda e dal quinto piano del suo appartamento ammirava l’andirivieni di cappotti e soprabiti eleganti, talvolta sfarzosi. Eppure quando girava le spalle al mondo, la polvere del passato riemergeva prepotente, la frustava facendole provare l’incanto perverso della finzione e dell’autodistruzione emotiva. Macinava dentro di sé rancore e angoscia. Doveva costantemente difendersi da se stessa, dal suo brutale farsi del male. Aveva un’amica, Sonia, con la quale riusciva a condividere le sue emozioni. Si vedevano regolarmente il giovedì all’imbrunire per un aperitivo. Il locale offriva svaghi intriganti per un pubblico sempre più esigente. Raramente si erano avventurate nei meandri di quei rocamboleschi quanto effimeri piaceri: la sala dei viaggi era attrezzata in modo da offrire evasioni erotiche e salti in altre dimensioni; quella delle spezie era un tunnel in cui sperimentare diverse tipologie di sostanze per mettersi in comunicazione con il subconscio proprio o con quello di altre persone, se queste avessero manifestato un chiaro consenso. Giulia non era mai in ritardo e aspettava con ansia Sonia, il suo volto bianco, i suoi occhi stanchi, le sue mani piccole e macchiate. Le loro conversazioni avevano il sapore aspro di una medicina acida da inghiottire. “Come stai Giulia?” Era la domanda di rito. “Come sempre, forse peggio di sempre.” “Gettare la spugna non è una soluzione”. “Cerco affannosamente una via di fuga dai miei pensieri. Vorrei sprofondare nel nulla. Il sonno è tormentato da incubi in cui mi sforzo di divincolarmi da una corda che diventa sempre più stretta fino a segnare profondamente il mio corpo. Mi sveglio all’improvviso immaginando che nel cuore delle tenebre entri qualcuno con l’intenzione di uccidermi. Poi riprendo a dormire tranquilla, nella consapevolezza che non ha per me molta importanza questo mio esistere”. “Queste sono sciocchezze. Pensa al vuoto che lasceresti”. “Per favore, cambiamo discorso”. Giulia cambiava sempre discorso se le sembrava di non tenere testa all’interlocutore. Era una sua abitudine.
Si accomiatarono con un abbraccio. Giulia non si recò subito a casa, il fiume l’attendeva. Ogni volta che si avvicinava ad un ponte sentiva l’estasi della dissoluzione. Faceva freddo, una brezzolina fastidiosa le colpiva il volto come una sferzata. Si sedette sul parapetto. La luce della Luna ed il fascino seducente del fruscio dell’acqua la facevano stare bene, le davano la quiete del soldato che ha sconfitto il nemico. Ma il nemico era in agguato, sempre pronto a sorprenderla. L’aspettava dietro gli angoli dei palazzi, dentro il fumo di una sigaretta, nel profumo più sofisticato che amava spruzzare sulla sua pelle. Così, di tanto in tanto, scappava imboccando la strada della trasgressione, sfidando le regole che imponevano la netta separazione di genere. Indossava gli abiti di uno dei personaggi dei tanti libri che aveva letto, girava per la città fino a raggiungere il quartiere in cui risiedevano gli androidi al servizio delle multinazionali e dove aveva incrociato PQ70 che l’aveva notata mentre vagava senza meta. Si era presentato a lei con una gentilezza tale da far invidia a quelli che si definivano uomini. Insieme si divertivano a visitare i vecchi sepolcri, le tombe avevano un fascino particolare. Dopo l’ultima esplosione nucleare gran parte del pianeta era stato devastato dai contraccolpi di una gestione poco attenta del territorio e delle risorse. I morti furono sistematicamente gettati in fosse comuni, quasi a voler cancellare l’ecatombe dalla memoria collettiva. I cimiteri erano stati dichiarati patrimonio dell’Umanità. Mano nella mano, PQ70 la conduceva tra le lapidi inventando per ogni sepoltura una vita diversa. Sapeva parlare la lingua dei morti. Era un abile narratore. “Mi sto innamorando di te”. Le disse con voce sospirante quella sera “Il nostro legame non può andare oltre l’amicizia più sincera”. Rispose cordialmente Giulia, seppur lusingata dall’audacia e dalla sensuale passione con cui l’aveva inaspettatamente travolta. Si congedarono con un breve ma intenso saluto, quasi fosse un addio. PQ70 rientrò alla base, era confuso: che cosa gli stava accadendo? Sapeva di essere stato progettato per servire con abnegazione la sua azienda, invece, nonostante i divieti, gironzolava con una donna senza alcun ritegno. Svolgeva le sue mansioni all’interno dell’area D. Gli era stato assegnato il compito di potenziare la banca dati con informazioni accurate sul mondo circostante, sulle manie, sui vizi e sulle virtù degli esseri umani. “Profilare” era la parola d’ordine, in base al profilo di ognuno si poteva orientare la produzione che, a sua volta, abilmente propagandata avrebbe influenzato ed indirizzato i consumi. Il meccanismo aveva una sua logica, maggiore era il numero di informazioni disponibili, tanto più elevata era la probabilità di successo. PQ70 era stimato dai dirigenti tanto che lo portavano ad esempio per gli altri. “Cosa mi è venuto in mente di dire che sono attratto da lei, le mie connessioni neurali sono in fibrillazione, meglio non far trapelare quello che mi sta succedendo”. Alle sue spalle il capo reparto lo stava osservando. “Che cosa hai?” “Nulla, penso di aver poca energia da spendere”. “Questo non è possibile. Vai in infermeria e chiedi dell’ingegnere. Qui abbiamo bisogno di personale efficiente e fidato. La concorrenza è spietata. C’è più di qualcuno che ucciderebbe per avere la nostra banca dati”. “Sì, lo so, è una merce preziosa quella che trattiamo”. Abbandonò la console e si avviò. L’ingegnere lo analizzò con il tricorder. “Sei in forma perfetta. Perché ti hanno mandato qui?” PQ70 borbottò qualcosa di simile a delle scuse e se ne andò. Non aveva mai prestato attenzione all’enorme specchio che si trovava nel corridoio. Fissò a lungo la sua immagine e provò vergogna. Giulia non lo avrebbe mai preso in considerazione. Un suono tonante rimbombò: “Allora vuoi ritornare al tuo posto?” Quando riprese posizione e ricominciò ad elaborare il flusso di date, cifre, immagini in un turbinio continuo e veloce, fu colto da una idea malsana: rovistare nel database per conoscerla meglio. Poteva farlo, aveva l’accesso a tutti i repository e aveva tutti i permessi per decifrare i messaggi crittografati. Aspettò il momento giusto e si lanciò nella ricerca. Il tempo si era dilatato, il giorno non aveva più confini, la notte era solo il buio di una stanza vuota. Gli apparvero le foto che la ritraevano da sola o con le persone che aveva frequentato o semplicemente sfiorato, i viaggi che aveva fatto, i ristoranti in cui si era recata, persino la sua cartella clinica. Al calar del Sole uscì e girovagò nella speranza di incontrarla finché Giulia si mostrò in tutta la sua bellezza. La baciò con ardore. “PQ70 cosa fai ?” Disse Giulia con un tono quasi rabbioso. “Non guardarmi come se fossi un estraneo. Non faccio che pensare a te. Tu mi hai ammaliato e non riesco a trovare pace”. “Facciamo due passi”. Lui la seguì verso il campo santo in cui erano soliti passare qualche ora. Era stranamente silenzioso, si sentiva in colpa per aver violato il suo diritto alla riservatezza. “Perché sei così triste?” “Ho commesso un reato gravissimo: ho frugato nella tua identità digitale”. La luce artificiale li abbagliava. Lei esitò per un attimo, poi urlò a squarciagola: “Vattene, io non posso immaginare infamia peggiore…”. La pregò in ginocchio, ma Giulia non volle sentire ragioni, per l’ennesima volta era stata tradita, umiliata, tutte le sue fragilità emersero aggressive, aveva il viso sfigurato dal livore. “Io ti amo, l’ho fatto solo per capire chi sei e per poter assecondare i tuoi desideri”. Mentre pronunciava con tenerezza e commozione quelle parole, lei scomparve. PQ70, dopo qualche minuto, intravvide in lontananza una sagoma indefinita che vacillava sopra la rossa balaustra del ponte del Diavolo. Fu sufficiente il post di uno scaltro passante, avido di novità, a richiamare uno sciame ben equipaggiato di sofisticate armi per filmare la scena. Nessuno cercò di fermarla. Lo spettacolo era molto allettante e, soprattutto, di valore: chissà quanti l’avrebbero visto con un click.