IL VOLTO OSCURO DELLA LUNA
Il velivolo che l’aveva portata nello spazio per il suo primo volo era allunato in perfetto orario. Da qualche anno le agenzie turistiche facevano a gara per accaparrarsi clienti facoltosi, pronti a spendere una fortuna per provare l’ebbrezza di passeggiare sulla grigia argilla fino a raggiungere, con guide esperte, il Mare Tranquillitatis ed il mitico cratere Apollo. Qualcuno avrebbe voluto concludere la propria vita lì, nella illusoria aspirazione di allontanare la beffarda sorte, altri, romanticamente, pensavano di poter ritrovare il senno perduto nella corsa affannosa verso il successo e la fama, inseguendo amori impossibili, finiti davanti ad un portone finemente decorato o in un parco desolato. Selene era stata spinta dal desiderio di evadere da un’esistenza senza pace, sempre uguale a se stessa, avvolta nell’oscurità di una cupa malinconia. Non riusciva ad accettare la perdita della sua unica figlia, vinta da una grave e lenta malattia. Sconvolta, in collera con se stessa, martoriata dal rimorso, era sprofondata nel precipizio di una grave depressione. Fu, perciò, ricoverata in un Istituto di Riabilitazione per riacquistare l’equilibrio, l’autocontrollo e la grinta, la sua grinta, quella che l’aveva distinta in ogni progetto, piccolo o grande. Non sapeva neppure lei quanto fosse durata la terapia, a quante sedute di psicoanalisi si fosse sottoposta per rielaborare o per fingere, in modo convincente, di aver rielaborato il lutto che l’aveva sfigurata. Si rimproverava di aver concepito sua figlia in modo naturale, di aver aderito al movimento Nuovo Umanesimo che avversava le manipolazioni genetiche a fini selettivi. Era stato Jury, il bioingegnere di cui si era innamorata, a trascinarla nella crociata per fermare la tracotanza di coloro che avevano scelto di procreare in modo artificiale pur di ottenere un risultato in linea con le loro aspettative. All’Accademia, dove studiavano e si riunivano gli Umanisti, le discussioni erano vivaci, cariche di passione e avevano il fascino discreto dei Caffè Settecenteschi, dove circolavano idee e proposte innovative che esaltavano ed infervoravano. Selene fu ammaliata da quel seducente attivista, dal suo spirito combattivo, dalla sua certezza che trasformare il corso della Storia sarebbe stato possibile.
Era primavera, una strana primavera, un caldo afoso aveva reso irrespirabile l’aria, quando le porte scorrevoli dell’Ospedale Psichiatrico si aprirono. Selene con l’animo sulle spalle e con la sua valigetta nera riprese la sua routine, le solite frequentazioni, il suo lavoro di Amministratore Delegato di una nota ed affermata Multinazionale. Una sera, in un locale prestigioso, sola davanti al monitor del suo PC, fu colpita dalla pubblicità di un’Agenzia Turistica Aerospaziale. “Viaggi indimenticabili sulla Luna vi faranno scoprire tutte le amenità del nostro satellite”. Guardò il video ed il bicchiere ricolmo di un liquore dolce e confortante, mentre le sue mani si attorcigliavano, provate da una insostenibile agitazione. “Perché no?” Si chiese. Se lo poteva permettere e forse un balzo così estremo le avrebbe consentito di dimenticare l’angoscia da cui era torturata, di interrompere l’incessante ripetere a se stessa “Avrei dovuto... avrei potuto… avrei voluto...” Contattò l’agenzia e partì. Il periodo di preparazione non fu lungo e neppure troppo impegnativo. Del resto aveva firmato un plico di più di 100 pagine, con le quali si assumeva ogni responsabilità per eventuali imprevisti, compresa la possibilità di non sostenere lo stress dovuto alla diversa gravità. Quando mise piede sul suolo lunare ebbe la sensazione di aver già sperimentato qualcosa di simile. Ma quando e dove? Non se lo ricordava. Era triste, gran parte del suo mondo era lontano, immerso in una fitta e fredda nebbia, come lo era la Terra in quel momento. Il fruscio di quella solitudine la spinse ad abbracciare quasi con nostalgia il suo tormento. Questa riflessione la distrasse per un attimo dall’ascolto delle istruzioni impartite dall’astronauta che l’avrebbe accompagnata verso luoghi suggestivi ed intriganti. Rischiò di cadere dopo qualche passo: era più complicato del previsto muoversi dall’altra parte del cielo. Fu condotta al suo alloggio dove trovò un comodo letto su cui riposare e cibo in abbondanza. Poteva camminare come a casa sua, un campo di forza artificiale le restituì il peso del suo corpo e la riportò al profumo del glicine che aveva piantato suo padre per festeggiare la nascita di Gaia. Quel glicine sopravvisse alle avverse condizioni climatiche e all’oblio che si impossessò della spensieratezza, dell’entusiasmo e della gioia per quel lieto avvenimento. Selene si avvicinò alla grande vetrata che la circondava: all’orizzonte la Terra stava sorgendo, era uno splendore. Il blu degli oceani si intravvedeva chiaramente, un alone ardesia faceva trapelare qualche sfumatura più tenue che contrastava con lo spazio ovattato e aspro della Luna.
Quando si rese conto di aver indugiato troppo ad ammirare quel panorama, ebbe un sussulto, le escursioni stavano per incominciare. Il Direttore della Base, con poche cerimonie, aveva raccomandato: “Massima puntualità.” Fu inserita nel gruppo n. 7. Attorno a lei vi erano tante altre ombre ricoperte da una tuta come la sua. Sembrava di essere di fronte ad una fotografia del XX secolo in cui vi era l’Everest, offeso da carovane di improvvisati scalatori che cercavano di arrivare in cima. Molti morivano. Gli altri proseguivano. Avendo sborsato molto denaro per quella impresa, non c’era ragione per fermarsi a prestare soccorso a coloro che cadevano umiliati dalla loro stolta arroganza. Le marce, cui erano costretti i nuovi pionieri per godere a pieno dell’incantevole paesaggio lunare, erano paragonabili a soffici salti su un tappeto imbottito di gomma piuma. Alcuni si spingevano, un po’ per gioco un po’ per eccitazione, e finivano per rotolare, indifferenti ai perentori richiami della guida: “E’ pericoloso. Non c’è atmosfera! Mettetevelo in mente: se succede qualcosa sarà molto difficile rimediare, ognuno di voi ha una scorta di ossigeno assegnata. Tutti vedrete tutto, compresa l’altra faccia della Luna con i suoi misteri.” Fu un’esperienza intensa, a tratti sorprendente, come le avevano assicurato alla stipula del contratto.
Selene, dopo due settimane, fu riportata sulla Terra dove un Sole intenso illuminava il profumo dolce di fiori e piante, eppure intorno vi era solo il cemento della sconfinata pista di atterraggio, degli hangar, degli edifici direzionali, delle torri. Si avviò verso l’uscita dove alcuni aerotaxi erano in attesa. Ne scorse uno dai colori vivaci, aveva un aspetto familiare e quasi rassicurante. Salì, digitò le sue credenziali, programmò la destinazione, attese qualche secondo e poi via. Il sottofondo musicale, che aveva selezionato, fu interrotto bruscamente da una voce. “Ciao Selene, come ti senti ora?” Selene fu colta da una strana inquietudine. “Non capisco, che cosa sta succedendo? Chi sta parlando?” Il cuore cominciò ad aumentare il ritmo. Istintivamente avrebbe voluto scendere, invece rimase al suo posto. “Allora Selene, come va?” “Cosa vuoi dire?” “Lo sai, porti su di te i segni delle lacrime che hanno scolpito il tuo volto.” Selene si irrigidì. Cosa ne sapeva un dispositivo del suo calvario? “Tua figlia, Gaia, ti ha lasciato e tu non hai avuto il coraggio di vivere con lei gli ultimi istanti, quando il vascello del tempo l’ha travolta e l’ha portata sull’altra riva. Non hai voluto partecipare al rito funebre, hai condannato tuo marito ad occuparsi di tutto, come se fosse l’unico responsabile della vostra disgrazia, del vostro crudele destino.” “Come puoi dare giudizi sui miei sentimenti?” Replicò con sdegno impetuoso Selene. “Lo sfinimento dell’agonia ha fatto crollare la tua innata dolcezza e la tua compassione, facendo germogliare il rancore per una sofferenza che avresti potuto alleviare se solo ti fossi girata a guardare gli occhi di Jury. Egli ora è al Centro di Ricerche Sociali dove si è rinchiuso e dal quale non esce mai. Continua con caparbietà e tenacia la sua missione: si dedica, come in passato, all’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui rischi che possono derivare dalla costruzione di una società in cui le persone, impaurite dal sapore urticante dell’incertezza, scelgano la strada della tecnologia del DNA ricombinante.” Le parole pronunciate colpirono Selene come un dardo scagliato contro un muro: “Il solito egoista! Pensa solo a sé e ai suoi principi!” “Non è vero Selene, è stato padre, genitore lui stesso, anche lui ha sopportato l’inferno e i sensi di colpa. Tu lo hai punito con la tua rabbia, gli hai voltato le spalle e sei scappata.” “Non sono una codarda e anch’io ho sostenuto le idee per le quali si batte mio marito. Ma quando un atto è compiuto e ha preso forma, non lo possiamo più ignorare, restiamo imprigionati nella trappola dei nostri disinganni e risentimenti.” Mentre rispondeva al suo fantomatico interlocutore, cresceva in lei il dubbio di essere con qualcuno che la conosceva a fondo, si sentì perciò libera di sfogare tutto il veleno che aveva in corpo e che era riaffiorato con una violenza inconsueta per una donna, come lei, abituata a meditare ogni sillaba, ogni lettera dell’alfabeto. “Sono proprio i disinganni ed i risentimenti a determinare la realtà, la mia realtà. Ogni evento porta con sé la pena dell’esser stato, non può essere modificato. Solo in astratto potrei dire che mi perdono e che perdono mio marito.” “Perché ‘in astratto’?” “Un albero senza radici – continuò Selene –, non è più una pianta, è solo un tronco su cui le foglie, cambiando colore, piano piano gli daranno un altro volto, fino a diventare altro da sé. Io non so dire chi sono, le mie radici si sono staccate, sono state bruciate e sono diventate vento.” “Un fatto, sia pure tragico, sia pure atroce non può tenerti legata e sospesa per sempre. Le ceneri di Gaia riposano sotto una lapide: il suo sonno dovrebbe essere la tua forza.” “Non capisco quello che mi vuoi dire. Lei non c’è più. E’ nell’infinito vuoto. Cosa dovrei fare? E poi chi sei tu per darmi consigli?” Ribadì Selene. “Nessuno, in effetti, io sono nessuno e tanti, sono un agente wetware senziente, come hai notato, esisto finché tu sarai qui con me, domani o più tardi il mio esserCI sarà diverso in una diversa dimensione, perché tutto muta a seconda del passeggero che io accompagno. Dopo di te ci sarà qualcun altro con la sua storia, meglio con le sue storie: tutti momenti unici che lo hanno reso quel che è, ma non quello che sarà. Se l’Essere non evolve l’Essere Umano soccombe. Il resto è illusione.” “Non è certo un’illusione la tomba di mia figlia”, mormorò Selene avvilita e irritata. “No, non è un’illusione, così come è vero che nessuno nel divenire lascia una traccia solo per se stesso, subendone le conseguenze. Qualsiasi nostra azione ricade inevitabilmente anche su altri. E’ inutile che tu abbia aspirato al Bene, se ora non distingui ciò che ti ha reso diversa da chi non è in grado di comprendere che la sorte, a volte, può renderci vittime di noi stessi, dei nostri valori. Affoghi nel tuo dolore, ne sei schiava ed è questa schiavitù che ti ha consentito di sopravvivere, ma non di continuare a lottare contro l’indifferenza e la superficialità di coloro che hanno perso il contatto con l’imprevedibile e si accontentano di un miserabile controllo cromosomico.” “Basta!” Urlò Selene. Non voleva più ascoltare. Un impulso irrazionale si era impadronito dei suoi pensieri. Disattivò il computer di bordo. Non avendo più un percorso in memoria, l’aerotaxi si fermò. Selene chinò il capo, strinse i pugni. Era ferita e sanguinante: quella conversazione l’aveva fatta ripiombare nel baratro da cui aveva cercato di fuggire. Si sentì debole e indifesa, in balia dei flutti di un mare in tempesta, incapace di approdare in un porto tranquillo da cui scrutare i primi bagliori dell’aurora. Disattivò la chiusura dell’abitacolo e scese. Dov’era? Il suo navigatore le indicò il sentiero stretto e tortuoso dell’abitazione nella quale aveva vissuto gli anni della speranza e della fiducia. Volse lo sguardo verso le stelle. La Luna era lassù, per quanto aveva ascoltato quella voce? Si diresse verso il fiume, l’argine era scivoloso e per questo il suo incedere era vacillante. Riconobbe il prato in cui si recava con Gaia ad assaporare l’odore fresco del fieno. Si accasciò, baciò l’erba appena nata fino a mangiare la terra. Estrasse dalla borsa un flacone trasparente che le era stato, furtivamente, consegnato da una tremula pietosa mano, incontrata al Centro Ricerche Patologie Infantili, nel tetro androne che conduceva nella corsia dei malati terminali. All’interno risuonarono due pillole dall’aspetto anonimo, ma invitante. Le osservò. Finalmente in quella silente notte aveva trovato la serenità e la risolutezza per ingoiarle. Si distese vicino all’acqua. Il rumore sordo della corrente le rimbombava in testa. Era molto stanca. Tre giorni dopo il suo cadavere finì contro le pale lucide di un vecchio battello, che solcava rumorosamente le acque limpide, trasportando giovani coppie che si erano date appuntamento per scambiarsi promesse e brindare al futuro, incuranti del volto oscuro della Luna.