LA PACE DELLA VENDETTA

La guardava da ore. Giaceva su un fianco. L’abito di seta azzurro, morbido e struggente con un’ampia scollatura, faceva risaltare il seno delicato e intrigante. Le braccia nude, bianche e setose, illuminavano la stanza, intorno solo silenzio.

Si era presentato da lei infiocchettato, in giacca e cravatta. Voleva colpirla alla vecchia maniera, aveva anche comprato un anello per suggellare quel momento. Era arrivato in anticipo rispetto al solito. Pioveva. Sotto un ombrello macilento camminava avanti e indietro dinanzi al cancello della sua abitazione, l’edificio, immerso nel verde degli alberi e nel rosso degli oleandri, svettava disinvolto verso il cielo, in una specie di terra di nessuno. I minuti trascorrevano lenti, nel frattempo cominciava a sentire l’affanno della pioggia dalla testa ai piedi. Non voleva presentarsi bagnato fradicio, decise quindi di cercare un riparo. Trovò una tettoia dove rintanarsi. Da lì poteva vedere la finestra della sua camera: tutto era confuso, come visto da occhi irritati da granelli di sabbia. Abbassò il capo e osservò le stringhe delle scarpe che si stavano allentando. Voleva sistemarle, così si piegò fino a raggiungere con le mani le estremità dei lacci. Notò una coppietta che stava attraversando la strada accompagnata da un androide attento a proteggere i due malcapitati in fuga dalle intemperie. “Se ne avessi uno anch’io, forse sarebbe diverso.” Nei suoi sogni sempre uguali inseguiva questa idea, avrebbe voluto aprire uno spazio ed un tempo in cui muoversi liberamente. Invece era bloccato, costretto ad arrendersi davanti ad un muro. Fin dagli albori della robotica evoluta era stata promulgata una legge molto ferrea che riguardava i biotecnologi, gli informatici e gli sviluppatori. Il governo aveva deciso di impedire il possesso di androidi a coloro che ne preparavano i cervelli positronico-quantistici. Il pericolo da evitare era che qualcuno potesse rimuovere i blocchi etici, elaborati da un’apposita commissione, al fine di scongiurare comportamenti delittuosi o crimini contro l’umanità. I trasgressori sarebbero stati puniti con severità. David era un brillante ricercatore del Dipartimento di Ingegneria Quantomolecolare ed era vissuto lontano dal sapore acre dei rapporti sociali in una realtà che riteneva polverosa e rigida. Seguiva la sua missione. Questo era tutto. Non aveva amici e non si era mai innamorato. Finché una mattina Elisabeth lo travolse come un fiume che esonda e gorgoglia il suo canto distruttivo. Se ne stava su una panchina vicino al suo laboratorio. Era una donna dallo sguardo penetrante, magra, elegante, vestita di rosso; dalla gonna un po’ corta trapelavano le gambe che ogni tanto incrociava con un fascino inconsapevole. Quando si alzò per andarsene, David provò uno strano smarrimento. Riprese a lavorare. Stava perfezionando una nuova forma di intelligenza artificiale, non un semplice dispositivo programmabile e controllabile, ma un essere dotato di sensibilità, libero arbitrio e capace di apprendere e progredire. Dalla nascita in poi avrebbe avuto un’educazione basata sui principi fondamentali di libertà, rispetto e tutela dei diritti inalienabili, sanciti dalla Costituzione e dai Trattati Internazionali. Nonostante le difficoltà di un progetto così ambizioso, David, tenace e testardo, in breve aveva scritto il codice base e alcuni prototipi erano già in circolazione. Il giorno seguente Elisabeth, sotto un sole offuscato da una leggera nebbiolina, ricomparve, gli alberi sembravano in festa, tutto intorno un’insolita melodia si spandeva per l’aria. David comprese che non poteva rinunciare ai suoi occhi, alle sue labbra tinte di amaranto, al fascino frizzante di quell’esile corpo che si muoveva sotto il soprabito. Voleva conoscerla. Scese le scale in fretta e furia e la raggiunse. Si fermò davanti a lei. Elisabeth, incuriosita da quell’uomo, accennò un sorriso. David si fece coraggio e si sedette al suo fianco. Aveva alle dita due diamanti. Mille congetture gli balenarono per la mente. Avrebbe voluto dirle qualcosa, invece ansimava e aveva i brividi sulla schiena. Elisabeth si allontanò, percorse un breve tratto, rallentò leggermente, come colta da un dubbio, si girò verso David, poi si dissolse nella nebbia. Le ore eterne di quel pomeriggio passarono scivolando con lentezza estenuante e finalmente il tramonto giunse a consolare una pallida luna. Era stanco, ma non voleva rientrare nel suo disadorno alloggio. Senza tentennare si recò in un locale dove avrebbe potuto sorseggiare qualche goccia di champagne in compagnia della solitudine. Entrò, si accomodò su uno sgabello, appoggiò le braccia sul bancone e fece un cenno al cameriere. Si sforzava di cancellare dalla memoria l’incontro con quella femminilità che aveva turbato il suo peregrinare attraverso la vita. Il fruscio lieve di una mano sul collo lo fece sobbalzare dallo spavento. Era lei. Elisabeth ruppe il ghiaccio con un semplice “Ciao”. Aveva una voce tremendamente sensuale. Passarono una serata indimenticabile. Lei gli versava nel calice i liquori più rari e soavi come se volesse togliergli la forza di scappare. David, confuso dall’eccitazione e dall’alcol, precipitò in una dimensione quasi surreale. Non aveva più la capacità di dominare le sue emozioni. Quando le luci soffuse si spensero, mano nella mano si rifugiarono nel soffice letto di una camera d’albergo. Al risveglio David era solo. Non capiva. Aveva bevuto troppo e forse si era immaginato tutto. Eppure il profumo intorno non mentiva, fluttuava rompendo l’incertezza di una notte che probabilmente non avrebbe avuto futuro. Si vestì, si presentò al laboratorio e si immerse negli algoritmi come sempre, con la stessa serietà, con lo stesso impegno. Ma non era abbastanza concentrato. Vagava con la mente tra le lenzuola evanescenti, complici nel fargli provare uno sgomento tale da scombinare il niente che gli impastava la bocca e l’esistenza da anni senza averne avvertito le note aspre. Una corda invisibile lo legava a lei e, mentre ascoltava il groviglio confuso dei suoni stonati che lo circondavano, percepì intorno a sé una cupa atmosfera da romanzo gotico: spalle curve, teste chine e abiti sgualciti. “Ho anch’io questo aspetto deprimente.” Pensò, guardando la propria immagine riflessa su una delle innumerevoli vetrate che catturavano la luce solare. Elisabeth apparve sulla panchina quasi d’improvviso. Si girò verso il laboratorio. David non voleva mostrarsi. Si raggomitolò fino a toccare il pavimento. Gli altri notarono questo strano atteggiamento. “Sei fuori di senno?” Disse un collega. Non rispose. Sarebbe ritornato nello stesso locale dove l’aveva incontrata. Aspettò fino all’una, poi Elisabeth si materializzò. Con un gesto delle mani ammiccante e malizioso si rivolse a lui. “Mi stavi aspettando. Lo so. Facciamo due passi.” Era buio fitto e le montagne erano coperte di nubi che correvano all’impazzata sotto l’impeto di un minaccioso temporale. Lei lo invitò a salire nel suo lussuoso appartamento. Si baciarono con voluttà e si abbandonarono nell’immensità dei sensi. Con lei era un altro uomo, per nulla preoccupato da una relazione sfuggente, discontinua e controversa. Avrebbe voluto coprirla di domande, ne aveva tante, ma Elisabeth sapeva eludere abilmente ogni tentativo di invadere la propria intimità, il proprio vissuto. Era indubbiamente una donna misteriosa e lui un uomo cieco dalla passione. Dopo qualche mese le confessò il suo desiderio di condividere ogni attimo. L’amava con la stessa ingenuità di un adolescente senza esperienza. Elisabeth, evasiva come sempre, gli fece un gran sorriso.

Era ancora sotto quella pensilina. La pioggia lo sfidava, da due ore il cielo non dava tregua. La città aveva perso le sue sembianze per lasciare il posto a rivoli tortuosi di acqua. Elisabeth scese e, ignorandolo, calpestò la sua ombra. Lo sconforto si impadronì della sua pelle, lasciò cadere l’ombrello, la rincorse, scivolò, cadde. Quando David si alzò, lei era scomparsa. Non sapeva dove fosse, con chi fosse. Indugiò, non capiva il suo modo di agire. Provò una fitta lancinante allo stomaco e alle tempie. Mai si era sentito più ridicolo. Si incamminò lungo il viale, pozzanghere enormi trasformavano ogni movimento in un’agonia. I suoi abiti erano ormai un mucchio di cenci. Il mondo intorno, plumbeo e opaco, tacque per un momento. Aveva il cervello in fibrillazione. Attonito e sospeso in una specie di limbo, si infilò in un chiassoso bar. Con il bicchiere ricolmo di un whisky dall’aroma speziato, cercò di mettere in ordine i suoi sentimenti. “Non so nulla di lei. Questo è il punto.” Si accorse che alcuni clienti avevano smesso di fare confusione e lo indicavano con velata insistenza. Erano incuriositi. Ridevano di lui. Ne era sicuro. Avrebbe voluto ricambiare in qualche modo quell’ironia invece continuò a bere. Erano le tre del mattino. Un assillo ingrato e crudele lo tormentava. Aveva bisogno di una spiegazione. Si diresse verso l’albergo in cui Elisabeth lo aveva portato e di cui ricordava ogni minimo particolare. Si sorprese a scrutare il balcone della stanza in cui si erano amati. Due figure dai contorni sfumati si spostavano dietro una tenda bianca. “E’ lei, la mia Elisabeth… con un altro.” Mormorò mentre le lacrime gli solcavano il volto. Si convinse che l’unico modo per non affondare nell’abisso infinito fosse salire. Il portiere stava dietro un enorme bancone finemente intarsiato. “Desidera?” “Vorrei parlare con Elisabeth.” “Quale Elisabeth?” “Stanza 220.” “Ho capito. La signorina è impegnata e non vuole essere disturbata.” Amareggiato, sprofondò in una poltrona nella hall. “Posso attendere qui?” “Certo.” Appeso ad una parete, color avorio e decorata con una greca multicolore, vi era un orologio. Sentiva distintamente il ticchettio delle lancette che giravano. L’aurora cominciava a farsi spazio, ancora un’ora e poi sarebbe dovuto correre al laboratorio. Improvvisamente ebbe un sussulto, di fronte a lui, sul tavolino, un biglietto da visita attirò la sua attenzione: era di Elisabeth. Uscì barcollando, con una mano si toccava il viso madido di sudore, con l’altra stringeva forte quel biglietto. Colei che lo aveva rapito era alle dipendenze di una multinazionale molto nota che si serviva di escodroidi per coprire un mercato in piena espansione: il mercato del sesso. David perse il controllo, tutte le sue fragilità emersero prepotenti. Era stato imbrogliato, offeso e umiliato da una sua creatura. Proprio lui, lui che era considerato il migliore nel suo campo, che credeva fortemente nella nuova frontiera aperta dagli androidi di nuova generazione. Il sole era alto all’orizzonte, chiamò un aerotaxi, il pilota automatico lo portò a destinazione, vicino alla soglia che aveva varcato tante volte. L’attese. Elisabeth spuntò come per incanto. “Ma tu chi sei?” Urlò David appena le fu accanto, sventolando il biglietto da visita che aveva conservato. Lei lo fissò per un attimo, poi esplose in una risata fredda e tagliente. “Mi pare ovvio. Io offro piacevoli momenti a chiunque paghi. Questa attività mi ha permesso di imparare come funziona il vostro mondo. So che cosa sono la fatica dell’essere e la gioia dell’avere. Non ti ho chiesto del denaro per le mie prestazioni perché tu sei stato un’evasione dalla routine, svago e divertimento. Non sei il primo e non sarai l’ultimo.” David era impietrito. Elisabeth era cosciente di ciò che gli aveva fatto, era capace di rielaborare sensazioni, di simulare e fingere. Avrebbe potuto farla finita in quell’istante, sapeva bene come fare. Invece volle ristabilire la calma necessaria e con lucidità le chiese un ultimo appuntamento. “Se ti va bene, io sono disponibile la prossima settimana, giovedì o venerdì, naturalmente dopo aver congedato i miei clienti.” “Venerdì sarò da te.” Rispose David con voce ferma e risoluta. Era guidato dalla disperazione e da un intollerabile senso di vertigine quando si avvicinò a casa sua e, come se avesse un peso di cui disfarsi in fretta, salì all’ultimo piano senza esitazione. Le corse incontro per non darle la possibilità di reagire, le accarezzò la nuca e, con la rabbia di un lupo ferito, disattivò le sue reti neurali.

Era immobile, insensibile, aveva le palpebre serrate, eppure era bella e seducente. David sentì intorno a sé la pace della vendetta che placa gli animi dei più deboli. Tremava, non riusciva a staccarsi da lei. Infine si mosse e, passo dopo passo, superò la gora, volse gli occhi alla città, si tolse la giacca, l’appoggiò con cura sul prato ancora umido. Di lui non si seppe più nulla.

ELENCO COMPLETO

#fantascienza