LA ROSA SCARLATTA

Roby stava sorseggiando distrattamente uno champagne, non uno qualsiasi, uno di quelli della riserva speciale, raro a trovarsi ormai. Era una donna di successo, ammirata ed apprezzata. Si era precocemente distinta per il suo talento negli studi di Economia Globale, studi che l’avevano portata ad avere grandi soddisfazioni ed una brillante carriera. Aveva sempre vissuto nel presente senza porsi tante domande sul suo futuro. Dopo aver degustato quelle meravigliose bollicine, si diresse nella stanza da letto dove ebbe un sussulto quando, guardandosi allo specchio, per la prima volta vide sul suo viso dei segni, erano delle rughe, piccole ma eloquenti. La consapevolezza che forse non avrebbe potuto godere a lungo dei suoi privilegi la spaventò, ma ancor di più la rese inquieta la certezza che sarebbe stata emarginata in uno dei tanti “Ricoveri”, costruiti in gran segreto. Nel 2323 il governo centrale aveva stabilito che tutti gli anziani avrebbero dovuto essere collocati a riposo in “accoglienti case” predisposte al fine di non pesare troppo sul bilancio. Nessuno era in grado di dire precisamente che cosa accadesse lì dentro, eccetto gli addetti ai lavori. Questi avrebbero potuto fornire informazioni precise, ma erano degli androidi che non facevano trapelare nulla. L’idea di riformulare la società in base all’età e alla capacità lavorativa era ormai una realtà consolidata, così come quella di far crescere i giovani, generati in base ad una precisa e ben definita progettazione cromosomica, in luoghi protetti, in modo che nessuno potesse interferire con le attività educative volte a plasmare le loro menti. Quelli che non erano sufficientemente dotati, il cui DNA non era stato assemblato con perizia, venivano semplicemente utilizzati come manodopera nelle Unità di Produzione. La sperimentazione partì quasi per caso nel XXI secolo: le coppie cominciarono col chiedere una manipolazione genetica che preservasse dalle malattie i loro figli, vollero poi modificarne alcune caratteristiche fisiche o attitudinali ed, infine, preteso che fossero istruiti senza essere contaminati da quelli che non potevano essere considerati puri, cioè UGM come loro. Furono così istituiti per legge due registri nei quali, con grande attenzione, furono annotate le nascite in base alla tipologia di procreazione. Dopo qualche decennio non fu più necessaria questa procedura perché i nati in modo naturale vennero dichiarati illegittimi, nonostante le proteste degli umanisti che credevano ancora nel concepimento frutto della passione di amorosi sensi e nella bellezza della diversità. Nel lussuoso appartamento in cui abitava, Roby cercava ora di fare un bilancio della sua esistenza. Lucy, l’unica amica che avesse avuto e con la quale fosse riuscita ad avere un dialogo, sia pure limitato agli argomenti della banale quotidianità, era un’androide evoluta, che le era stata molto utile durante le lunghe giornate passate ad elaborare algoritmi per la gestione delle risorse e indicatori per il RAV, Rapporto Annuale di Valutazione. Il governo pretendeva molto, ma teneva in gran conto gli UGM come lei che dimostravano di comprendere la loro missione ed il loro ruolo. Ne era pienamente consapevole e si sentiva a suo agio nella gabbia dorata che le avevano costruito intorno. Si guardò di nuovo allo specchio, chinò la testa e si chiese “Che cosa c'è là fuori, al di là di quei lussuosi edifici?” Appoggiò le mani sul vetro di una finestra: al di sotto strade poco trafficate, piazze illuminate da generatori di fotoni. Qua e là intravvide delle ombre muoversi: erano gli UN che, partoriti in clandestinità e sopravvissuti ai rastrellamenti delle forze dell’ordine, furtivamente, sbucavano dai loro nascondigli per procurarsi del cibo. Con gli occhi bassi e coperti da cappucci, che di tanto in tanto facevano trapelare i loro lineamenti, scrutavano, sospettosi e guardinghi, ogni minimo movimento. D’improvviso la sua attenzione cadde su un uomo, un bell'uomo di mezza età, il cui volto era ben visibile. Che cosa ci faceva lì senza alcuna protezione? Perché camminava avanti e indietro come se stesse aspettando qualcuno? Non si rendeva conto del pericolo? Agli appartenenti alla casta superiore era vietato uscire liberamente, avrebbero dovuto trasmettere all’Ufficio Sorveglianza e Protezione le loro intenzioni e solo con il PASS vidimato ed una scorta avrebbero potuto varcare la soglia di casa. Lui era lì da solo, con le braccia conserte, in attesa di chissà chi o di chissà quale evento. Quell'uomo l'aveva colpita, sia per il suo portamento elegante, sia perché non riusciva a comprendere la sua naturalezza in una situazione di evidente rischio. Si diresse verso il guardaroba, scelse un abito anonimo e lo indossò. Era irrequieta e turbata. Continuava a rimuginare tra sé e sé quello che lo specchio le aveva rivelato. Forse aveva a disposizione un lustro e poi… poi avrebbe scoperto, suo malgrado, il segreto che si celava attorno ai famosi “Ricoveri”. Chiese il PASS: voleva in qualche modo sottrarsi alla sua immagine e forse al suo destino. Chiuse il portone di casa, si girò e lo vide ancora al suo posto, si accorse che la osservava intensamente, con aria di sfida. Un brivido la prese per mano e l'accompagnò fino all'affollato locale, dove si incontrava l'intellighenzia dello stato. Prese un caffè, fece quattro chiacchiere, ma la sua mente era aggrappata ad altro. “Mi aveva guardato con interesse. Perché? Chi era quello sconosciuto?” Rientrò ad ora tarda, congedò la scorta e si diresse verso l’ascensore. Salì fino al 45° piano, il migliore di tutto il palazzo, aprì la porta e fu accolta dal consueto profumo e questo la fece precipitare nella sua confortevole e raffinata sala da pranzo. Tuttavia, non era serena, un impulso irrefrenabile la spinse verso la vetrata del salotto: lo scorse a fatica a causa dell'oscurità, ma ne era certa, stava sotto un piccolo riparo. Lui, sempre lui, ora fermo, ora con gli occhi al cielo, meglio con lo sguardo verso i piani più alti dei palazzi, indubbiamente in affanno. A malincuore Roby lo lasciò e si coricò. Aveva bisogno di dormire, il giorno seguente sarebbe stato molto impegnativo: avrebbe consegnato il Piano Economico per il nuovo anno. Si alzò all'alba, fece una colazione leggera, preparò il materiale, sicura che il suo lavoro sarebbe piaciuto: perfettamente in linea con le aspettative, proponeva una strategia che non trascurava azioni mirate per l’ambiente, messo a dura prova da uno sfruttamento dissennato. La temperatura era salita di tre gradi. Erano, perciò, aumentate le aree desertiche e diminuite le risorse d'acqua. I più refrattari, e nelle alte sfere non erano una componente minoritaria, sembravano impermeabili a qualsiasi cambiamento. Per convincerli si era premurata di allegare i dati forniti periodicamente dall’UMAR, Ufficio Monitoraggio Aree a Rischio. Arrivò l'auto che l'avrebbe condotta al Palazzo del Consiglio di Stato. Era dotata di tutti i comfort, compreso un sintetizzatore di alimenti e bevande. Roby si sedette sbirciando fuori dall'oblò: era ancora al suo posto, i piedi calpestavano con costante pazienza il marciapiede, quell'uomo non voleva proprio andarsene. In pochi minuti fu a destinazione. La riunione fu lunga, il risultato negativo. Era la prima volta, ma costituiva un precedente che avrebbe avuto conseguenze rilevanti: per lei e per tutto il pianeta. Era avvilita e sorpresa, in fondo non aveva messo in discussione l'impianto strategico della società, aveva solo aggiunto un elemento di novità. Guardò i Consiglieri come si fa quando ci si avvicina a degli appestati e subito si tenta di fuggire per evitare il contagio. Non vedeva l'ora di respirare aria pura. Ma dove? Se tutto intorno era artificiale, e le poche anime che giravano erano fantasmi ingannati dall'aspro sapore dell’incertezza della latitanza. Le imposero di fare sostanziali modifiche e fu riaccompagnata. “Sostanziali modifiche!”, il suo cervello non faceva che ripetere questo imperativo. Se non l'avesse fatto, qualcuno se ne sarebbe occupato e per lei sarebbe stata la fine. Umiliata ed impaurita, sentì dentro di sé un moto di ribellione. Ad aspettarla vi era lui, non se ne era andato. Tirò quasi un sospiro di sollievo. Non era più intimorita dalla sua presenza. Ma chi era? Chi cercava? Da dove proveniva? Gli interrogativi erano sempre gli stessi e non erano di poco conto: lacci e lacciuoli imbrigliavano tutti ad un destino segnato fin dal primo vagito. Roby era nata e vissuta in quell'atmosfera. Lei era più che mai integrata e funzionale allo status quo. Sapeva come era stata generata e per quale fine. Con orgoglio amava ripercorrere le immagini della sua giovinezza, quando interagiva e dialogava con gli androidi, che l'addestravano a diventare una brava studentessa e che la gratificavano con elogi continui, del resto apprendeva con una facilità inconsueta. Si distraeva solo quando durante le ore di cultura generale, era seduta a fianco di uno studente per il quale nutriva una certa simpatia, l'aveva colpita perché ogni tanto durante le lezioni scuoteva la testa come se avesse dei dubbi su ciò che veniva insegnato della storia umana. Non si andava molto indietro, la linea del tempo partiva dalla colossale ristrutturazione sociale avvenuta nel corso di trecento anni. La filosofia era stata bandita, così come le arti. Tutto si concentrava sulle competenze che avrebbero formato dei bravi funzionari. E dall'Accademia uscivano veramente dei grandi professionisti. Stava quasi per entrare nell’ascensore, quando cambiò idea. Si fece coraggio sospirando profondamente, si lasciò alle spalle tutte le esitazioni e, in gran fretta, si avvicinò a quell'uomo. Si fermò per un attimo impietrita per l’emozione: lo aveva riconosciuto, scuoteva il capo come un tempo. Erano l'uno di fronte all'altra, Roby tremava, avrebbe voluto abbracciarlo, ma lui l'afferrò prima che si muovesse, la trasse a sé e le diede un bacio sulla guancia. “Ti aspettavo, finalmente sei arrivata. Sono Andrej, ti ricordi di me vero?” “Come dimenticare il tuo volto, con quell'aria sbarazzina. Come mai ti ritrovo qui dopo tanti anni?” Chiese Roby. “Forse non sai che, a causa dei miei continui scontri con l’educatore PQ10, fui confinato nella scuola speciale di rieducazione. Questa fu un’esperienza fondamentale, paradossalmente fu proprio lì, tra i reietti, che ebbi la conferma che le mie perplessità erano fondate: stavamo precipitando in un abisso senza ideali e senza prospettive, se non quelle decise prima della nostra nascita. Ma non era sempre stato così. Un tempo si poteva sognare, illudersi e qualche volta piangere per le miserie e le ingiustizie.” Roby non capiva. Le uniche testimonianze che circolavano erano quelle consentite dal regime. Dove aveva scovato le tracce di un passato così remoto e diverso? “So cosa stai pensando. Esistono degli archivi. Entrarvi è molto difficile, ma non impossibile. Noar era riuscito a decifrare i codici di accesso e aveva curiosato nell’onda degli eventi. Era stato intercettato, condannato ed inviato nella mia sezione. Grazie a lui, nei momenti in cui potevamo eludere la sorveglianza, sempre molto stretta – le nostre discussioni erano dei sussurri rubati alla rigida disciplina di quella colonia di infami – mi avvicinai al tempo in cui le persone, quelle imperfette, avevano dato vita a civiltà i cui prodotti del pensiero sono stati cancellati. A noi è stato precluso il confronto con uomini e donne che avevano combattuto e si erano sacrificati per la libertà, l’uguaglianza ed il rispetto di tutti gli esseri umani. Interessante, vero?” “Questo, comunque, non spiega il fatto che tu mi abbia atteso con silente tenacia.” Osservò Roby. “Una mattina mi alzai, entrai nella sala dell’appello, non trovai il mio amico. Purtroppo anche lui era scomparso, intuii che, come tanti altri, era stato eliminato. Una fitta terribile mi attraversò il cervello e mi fece perdere i sensi. Fui portato nella mia cella. Piansi. Riaffiorò così il tuo sguardo su di me. Ebbe l’effetto ristoratore di una carezza che non avevo mai avuto e che mi aiutò a superare il mio dolore e a trovare una soluzione. Come un fiume in piena, gli anni trascorsero, lasciando in me un segno profondo. Una sera, era la scorsa primavera, ti vidi e ti seguii, andasti a nasconderti in un palazzo vuoto, trasgredendo le minime norme di sicurezza. Compresi che qualcosa in te stava cambiando.” “Veramente l’unica vera novità era il desiderio di cercare una via d’uscita dal rischio molto concreto di veder collassare il mondo. Avevo bisogno di abbandonare i miei soliti schemi e la mia quotidianità per poter riflettere da un altro punto di vista. I miei sforzi sono comunque stati vani.” Mormorò sconsolata. La tranquillità di Andrej contrastava e non poco con l’evidente ansia che Roby sentiva piano piano crescere. Con un moto di fastidio lo allontanò, come se avesse percepito un pericolo e gli disse: “Cosa nascondi? Perché ti hanno risparmiato?” “Mia cara, io mi sono salvato dalla morte, al contrario del mio amico Noar, fingendo di aver superato la mia crisi di identità. Rinnegai tutto ciò in cui avevo creduto ed intrapresi la faticosa strada della riabilitazione. Fui tanto convincente, persino con me stesso, che chiusero la mia pratica con un Nullaosta ed una nota di merito per le mie abilità di Interceptor. Sono io a segnalare le anomalie del sistema e a porvi le dovute correzioni. Tu hai oltrepassato i limiti, vagando in incognito e ponendoti dei quesiti e degli obiettivi non coerenti con il nostro modello di organizzazione. Il tuo ultimo Piano Economico, con quelle inutili divagazioni sull’ambiente, ne è la prova. Una mina vagante, ecco cosa sei.” Roby non oppose resistenza. Abbassò le palpebre. Andrej estrasse da un fodero ben nascosto sotto il suo abito l’arma in dotazione alle squadre speciali. La colpì senza alcun rimorso e le appoggiò dolcemente una rosa scarlatta sul petto: era la sua firma. Se ne andò, sotto una tremula luce, nella certezza che fosse giusto averle dato la possibilità di morire con dignità.

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