L’ULTIMA PROVA
Erano tutti in fila davanti all’astronave che li avrebbe traghettati su Marte. Il comandante, PQ200, la guardava e con orgoglio pensava alla missione che gli era stata affidata. Lo Stato Maggiore dell’esercito della Confederazione terrestre aveva gestito la selezione del personale. La squadra, composta prevalentemente da androidi, avrebbe dovuto pattugliare i cieli con la massima attenzione. Le rotte del sistema solare non erano sicure, la pirateria stava mettendo in forte difficoltà l’aeronautica terrestre. Molti cargo erano stati depredati. Era fondamentale che nessuno perdesse di vista i propri compagni e che gli ordini fossero eseguiti alla lettera. Le operazioni di imbarco durarono molte ore. Per ultime salirono a bordo giovani coppie intraprendenti in cerca di fortuna e di avventura. Avrebbero custodito e allevato i discendenti di cavie umane che, spinte dal bisogno, si erano “volontariamente” offerte alla scienza per sperimentare una sostanza messa a punto al fine di modificarne la genetica, adattando i loro corpi alle condizioni estreme di un pianeta come Marte. Gli embrioni generati furono conservati nella stiva in capsule idroponiche. Dopo pochi mesi di viaggio, compresa una sosta sulla Luna, toccarono il suolo marziano, erano tutti elettrizzati ed entusiasti: avrebbero scritto una pagina importante della storia dell’umanità. La Terra era quasi morta sotto i colpi dissennati di governi che non avevano perso occasione per creare situazioni di contrasto tra androidi ed esseri umani. La guerra aveva decimato e impoverito il pianeta e, solo al termine della crudele carneficina, le parti riuscirono a trovare un accordo per scongiurare la catastrofe. Frutto di quell’accordo fu l’idea di lavorare insieme con uno scopo comune: costruire il sentiero della pace e del rispetto reciproco in un altro pianeta, dimostrando al mondo intero che vivere insieme avrebbe portato vantaggi a tutti.
I bambini crebbero in fretta tra braccia amorevoli e rigida disciplina. Avevano sviluppato tra loro relazioni sociali basate sulla fiducia e sulla complicità e, come tutti i ragazzi della loro età, durante i momenti liberi amavano rintanarsi da soli Il capogruppo, Andreas, poneva agli altri i suoi dubbi esistenziali: “Siamo su un pianeta che non è il nostro con degli estranei. Perché ci hanno mandato qui? Forse le nostre famiglie naturali non ci volevano?” Anna, che era la più intraprendente, reagiva a quei dubbi incitando alla ribellione. Non era possibile, tutti erano consapevoli della sproporzione numerica e dell’inutilità di un’azione del genere. Non avevano certamente i mezzi per fuggire da Marte. “Potremmo raccogliere informazioni sulla Terra e sulle nostre origini”. Mormorò Malcom. Dove? Questo era il problema. “Perché non indaghiamo in famiglia?” Propose Anna con un sospiro simile a quello di un animale ferito che cerca di rialzarsi. “Non ci contare, questo argomento è tabù”. Obiettò Andreas. “Io ci ho provato tante volte”. Aggiunse con voce sconsolata.
Il giorno seguente, in mensa, trovarono sui tavoli delle specialità al posto del solito cibo liofilizzato. “Che cosa festeggiamo?” Era la giornata interplanetaria dedicata a tutti quelli che erano caduti in servizio per la creazione della prima colonia lunare. Dopo pranzo si sarebbero trasferiti nella sala conferenze per la classica commemorazione. “Caspita me ne ero scordato”. Osservò Steve con disappunto. Non aveva certo voglia di sentire “la solita lagna”. Un fragoroso applauso, soprattutto da parte degli androidi, chiuse il discorso di PQ200. “Che sfacciati, come se fosse tutto merito loro”. Bisbigliò Anna visibilmente contrariata, mentre tutti in file ordinate si ritiravano nei loro alloggi.
“Madre, perché siamo qui?” Chiese Anna quasi d’impulso. Seguì un attimo di disorientamento. “Tesoro, noi siamo qui per tentare di realizzare un sogno, avere un’opportunità di sopravvivenza. Sulla Terra, nonostante la bufera si fosse placata, tutto sembrava potesse crollare da un momento all’altro, era diventato un inferno”. “Perché non siamo venuti qui con i nostri genitori biologici?” “Sarebbe facile dirti che non vi hanno voluto, la realtà è non ci sono genitori biologici. Voi siete figli della ricerca scientifica”. Rispose molto evasiva. Non stava mentendo, ma non fece alcun cenno alle donne e agli uomini che avevano contribuito allo sviluppo del progetto e su come erano stati eliminati. Anna l’abbracciò, era stata onesta con lei, almeno così credeva. Riferì ai suoi compagni la conversazione avuta con la madre. “Anna, siamo degli schiavi, questa è la verità”. Era la rabbia di Andreas a parlare.
Passarono alcuni mesi. I genitori adottivi scomparvero e con loro ogni altra traccia di vita terrestre. I ragazzi erano sconcertati, smarriti e spaventati. Erano i soli esseri umani della colonia. Qualcosa sarebbe successo. Ben presto tutti furono trasferiti in una camerata. Rimasero nell’oscurità più profonda finché le porte si spalancarono bruscamente ed entrò PQ200. “Oggi cominceremo gli addestramenti all’aperto”. Tuonò con tono perentorio. Accompagnati da un gruppo armato di androidi, uscirono con passo rassegnato. Il cammino li portò in una distesa delimitata da un recinto, sembrava un cimitero. Notarono numerose fosse rettangolari sul terreno. Si guardarono intorno e poi tra di loro, furono colpiti dal silenzio che occupava lo spazio, rotto improvvisamente dal fruscio dei phaser. La loro breve vita finì in un battito d’ali.
Il rapporto di PQ200 sull’accaduto fu molto preciso: “Nonostante gli sforzi profusi nell’addestramento, come risulta dalle relazioni periodiche inviate alla base terrestre, i ragazzi e le ragazze non hanno superato l’ultima prova. Sono morti intossicati dall’atmosfera di Marte. Si richiede un nuovo invio”.