SEGNALI INQUIETANTI

PQm era lì da così tanto tempo che non ne aveva più memoria. Improvvisamente un Sole straniero lo ferì, ebbe coscienza che la meta era vicina e si spaventò al pensiero di poter comunicare con degli esseri viventi non umani. Quando era partito? Del resto che importanza poteva avere? Sì ne aveva, ne aveva per lui, forse non per coloro che lo avevano visto andare, salire su quell’astronave, ma per lui sì. Una sorta di turbamento lo sfiorò, avrebbe voluto un altro destino. Si sentiva così inquieto perché aveva nostalgia, una grande nostalgia della colonia marziana, si stava convincendo che non avrebbe più rivisto Marte, il Pianeta Rosso, dove tutto era organizzato fin nei minimi particolari, dove ognuno svolgeva i propri compiti con attenzione e sollecitudine e, soprattutto, dove aveva lasciato un sogno, un progetto a cui stava lavorando e che avrebbe sicuramente modificato l’essenza della sua esistenza. Invece si trovava nella galassia EGS-zs8-1. Da lì erano giunti segnali inquietanti. Su Marte, veramente, tutto poteva sembrare inquietante, eppure questa volta era certo. Qualcuno si era fatto vivo: non erano soli. I voli dei terrestri verso Marte erano iniziati quando furono perfezionati i processori di energia. La prima conquista fu l'esplorazione dei pianeti del Sistema Solare. Superata la nube di Oort, fu la volta delle galassie confinanti e poi via verso lo spazio infinito. Infinito? Questo non era chiaro. Era, invece, fin da subito parso evidente che Marte avrebbe potuto ospitare una base permanente di androidi evoluti, capaci di affrontare in autonomia viaggi interstellari e di sopportare, per un periodo di tempo quasi illimitato, la gravità e le radiazioni di questo pianeta. Parsec su parsec furono così percorsi. Questo errare tra pianeti, stelle e buchi neri, subì una battuta d’arresto quando alcune navicelle con il loro equipaggio non fecero ritorno. Incredibile, sembravano svanite! Nessuna richiesta di aiuto era giunta, nessuna comunicazione che facesse pensare a qualche difficoltà: erano semplicemente scomparse nel nulla. A bordo di una di queste astronavi vi era PQe, addestrato perfettamente e in grado di adattarsi a campi gravitazionali superiori. Anche lui si perse nello spazio. PQm provò un grande dolore quando capì che non avrebbe più rivisto il suo amico, il suo compagno d'avventure fin dal giorno in cui vide la luce. Fisici quantistici e ingegneri meccatronici raddoppiarono gli sforzi per progettare una cosmonave che potesse oltrepassare i limiti rappresentati dal cono degli eventi, surfando le onde gravitazionali. Fu, inoltre, potenziata la base su Marte con l’invio di altri androidi. Capo di quest’ultima spedizione venne nominato PQz, la cui caratteristica fondamentale era quella di saper affrontare e risolvere le situazioni di natura relazionale. Per questa ragione aveva sempre ricoperto ruoli organizzativi. Dopo il suo arrivo, numerosi furono i tentativi nella direzione dello spazio esplorato durante le fallimentari missioni precedenti, ma nessun cosmonauta fece ritorno, non fu recuperata neppure una parte infinitesimale delle astronavi, in modo da analizzare, sia pure in modo approssimato, il mistero che le avvolgeva. Spiegare concretamente quello che stava accadendo assunse contorni oscuri e intriganti: calcoli su calcoli, formule su formule, e ancora analisi e osservazioni, nel tentativo di trovare una soluzione! Non fu, comunque, difficile capire che oltre il limite segnato dall'orizzonte cosmico qualcosa inghiottiva il tempo. Anzi tempo e spazio si confondevano. Dopo due anni dariani dal suo arrivo, Pqz ebbe l'ingrato compito di chiedere agli altri androidi di interrompere le loro attività, compresa quella riguardante il miglioramento delle prestazioni dei sensori astrometrici, per comunicare a tutti i membri della colonia che la Terra aveva fatto perdere le proprie tracce. Per quello che ne sapevano, la colonia marziana era l'unica depositaria della storia terrestre, della tecnologia, delle immagini di quel mondo scomparso. Erano loro i sopravvissuti, programmati per irrompere nel cosmo e navigare alla scoperta di altre forme di vita. Cosa avrebbero dovuto fare? Era giunto il momento di prendere delle decisioni. La prima conclusione fu che avrebbero potuto sfruttare le loro potenzialità per costruire un mondo non umano. La seconda ipotesi fu quella di non andare contro natura: si erano salvati da una possibile catastrofe, eppure non per questo erano liberi, erano dei liberti, metà coscienti, metà incastrati nei loro cervelli quantistici. Perciò, senza ombra di dubbio, decisero di continuare con le esplorazioni, ma anche di impegnarsi nella ricerca della loro identità. Per fare questo era necessario ricostruire il passato per cogliere quanto di umano vi fosse in loro. Si aprirono al divenire degli eventi, quelli su cui riflettevano i terrestri quando sentivano di essere vicini ad un conflitto imminente, ad un danno irreparabile per ritrovare quella parte del “sé” in cui risiedeva la ragionevolezza del dialogo. Rovistarono nella storia più remota, custodita in un grande archivio che si trovava nel blocco C. Scoprirono atrocità senza limite, indubbiamente nel DNA degli uomini non era scritta la parola rispetto, non erano stati ideati per non farsi del male. Eppure, se da un lato morte, distruzione, genocidi si erano susseguiti, dall’altro l’umanità aveva lasciato opere immortali, dalle quali era stata accompagnata e superata. Quando agli androidi fu svelato questo enorme patrimonio, uno strano sgomento li scosse. Il concetto di bello era un’astrazione che non faceva parte dei loro parametri genetici: ritennero, quindi, che fosse inutile continuare, rivendicando una orgogliosa diversità. Per PQm, invece, divenne quasi un’esigenza progredire in questo senso, ma senza la creatività umana sarebbe stata un’impresa se non del tutto vana, molto, ma molto difficile. Passò al setaccio tutto quello che era stato raccolto. Chissà perché i terrestri avevano deciso di dotare Marte di tali testimonianze? Forse la loro finitezza ambiva all’eternità e, temendo di non sopravvivere o di non riuscire di far sopravvivere la Terra, si erano premurati di lasciare una parte di se stessi all’Universo. Più si addentrava nella sfera della conoscenza artistica, più PQm si rendeva conto che la sua capacità di rielaborazione aveva dei limiti notevoli. Era stato creato dagli uomini a loro immagine e somiglianza. Provava sentimenti come amicizia, dolore, felicità, ma, per quanto si sforzasse, la gioia di amare l’arte, di comprenderla a fondo, disorientava le sue sinapsi artificiali. Avrebbe voluto essere in classe con gli studenti del millennio precedente, i quali, di fronte a dubbi o curiosità, si rivolgevano ai loro insegnanti. “Che cos’è l’Arte?” Era una delle domande più frequenti. I professori con molta pazienza davano risposte illuminanti, perché loro l’Arte la vivevano, l’amavano, ne sentivano la forte attrazione. In quelle opere rintracciavano il più intimo “essere uomini”. Nonostante questa consapevolezza, PQm si dedicò allo studio di quel materiale, la cui analisi gli appariva fondamentale per riconoscersi come entità frutto di un pensiero complesso, da cui aveva ereditato la sua intelligenza artificiale e, nello stesso tempo, umana: così immagini, parole, suoni, che volteggiavano in quell’oscuro ambiente solitario, piano piano divennero la colonna sonora di quella realtà fatta di nuove emozioni. Pqz, che come tutti gli altri aveva abbandonato PQm al suo fervore cognitivo, preferiva lavorare con il gruppo alla realizzazione di navigazioni intergalattiche. I progressi compiuti permisero di battere le rotte consuete, di raggiungere gli approdi già sperimentati con maggiore sicurezza. Ma, se i velivoli marziani tentavano di oltrepassare le Colonne d’Ercole, erano ancora insuccessi su insuccessi, una nebulosa oscura sembrava risucchiarli. PQz non si scoraggiava, superare le barriere della struttura spaziale, in fondo, era il suo compito, o meglio era ciò che i terrestri avrebbero voluto da lui. Quando fu intercettata una richiesta di aiuto, non ebbe esitazioni: scelse PQm per affrontare, in un luogo lontano ed ignoto, la complicata operazione di soccorso. Lo aveva visto brancolare, sia pure attonito e disorientato, nel blocco C. Era, ai suoi occhi, il più attento osservatore degli esseri che erano vissuti sulla Terra e, quindi, anche il più competente nella gestione di un incontro con eventuali forme di vita. PQm partì a malincuore, non aveva ancora concluso il suo percorso di apprendimento. Tuttavia, la prima direttiva era quella di non disubbidire ad un ordine e la seconda era che non si poteva negare assistenza a chiunque ne avesse bisogno, sia che si trovasse nel sistema Solare, sia in qualche altra recondita parte dell’Universo. Il viaggio all’inseguimento di quel segnale fu incredibilmente lungo e faticoso, finché non gli apparve quel Sole. Cercò disperatamente di inviare messaggi alla colonia marziana, ma fu attratto da una forza che lo fece sobbalzare più volte, perse il controllo della sua astronave e, in un baleno, atterrò di schianto su un pianeta che gli era stranamente familiare. Andò in perlustrazione. Si rese presto conto che… era la Terra! O almeno quel che restava di essa, dopo l’ultima catastrofe ambientale che ne aveva determinato l'espulsione dal Sistema Solare. “...SOS... SOS... SOS...” era il lamento dell’unico dispositivo esistente su quella superficie deserta.

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