VENT’ANNI

Il rumore del chiavistello annunciò quel giorno ai reclusi che al piano superiore del carcere di massima sicurezza un detenuto stava per abbandonare la sua cella. Danny scese le scale con cautela, temeva di cadere. La scrivania intarsiata e lucida del Direttore era ancora lontana. Gli ambienti emanavano un odore di stantio, per terra i mozziconi di sigaretta lasciati cadere dalle guardie, incuranti delle regole e dei richiami costanti dei colleghi androidi, ricordavano ad ogni passo dove aveva trascorso vent’anni della propria vita. Mano a mano che procedeva si aprivano, una dopo l’altra, le porte che conducevano verso il blocco A: Sezione Amministrativa. Aveva con sé ben poco: un abito, un pigiama logoro, alcuni libri sudici, impregnati di grasso e sporchi di polvere. Convinto di essere stato vittima di un’ingiustizia, aveva atteso invano un atto di clemenza nei suoi confronti. “Ha ritirato i suoi effetti personali?” Gli chiese il Direttore. “Sì, ho tutto quello che ho consegnato”. “Prego si sieda. Dal suo fascicolo mi risulta che si sia rifiutato di frequentare i corsi organizzati per coloro che stanno concludendo il periodo di detenzione. Il mondo è cambiato e potrebbe trovarsi in difficoltà”. “Signor Direttore, ritiene veramente che fuori da queste mura ci sia una realtà peggiore di quella del carcere?” “Mi creda non sarà facile per lei. Vent’anni sono tanti”. Seduto su una sedia, che di tanto in tanto scricchiolava, ripercorreva le lunghe infinite giornate scandite da un rituale sempre uguale. Le guardie, spesso sgarbate, controllavano minuziosamente ogni angolo e perquisivano, fino allo sfinimento ed in qualsiasi momento, gli uomini che da dietro le sbarre contavano i minuti che li separavano dalla libertà. Erano tutti omicidi o pluriomicidi e molti lo sarebbero stati anche dopo aver scontato la pena. Alzò gli occhi verso il Direttore. “Vent’anni sono tanti. Ha ragione”. Si salutarono ognuno con i propri pensieri. Il Direttore temeva che non ce l’avrebbe fatta e che si sarebbero presto rivisti. Danny salì sull’aeronavetta che lo portò velocemente in città. Ad attenderlo vi era l’assistente sociale che lo avrebbe accompagnato nella fase di reinserimento. L’ufficio era situato al piano terra di un enorme palazzo, circondato da un prato verde su cui campeggiavano oleandri, castagni e betulle. Compilò una montagna di moduli. Conclusa la procedura di registrazione, l’assistente gli diede un po’ di denaro. “Stasera potrai dormire nella Casa di Accoglienza Statale. Troverai un pasto caldo. Cerca di riposare. Domani sarà una giornata dura: le opportunità di lavoro sono molto limitate per un pregiudicato”. Pronunciò quelle parole come se fossero le battute di un copione sempre uguale. Danny annuì. Era stanco e non aveva voglia di rinchiudersi in un ricovero. Si infilò in un bar e spese quasi tutto quello che aveva appena ricevuto. Ubriaco fradicio, dormì su una panchina del Parco delle Rose, sotto un cielo limpido e luminoso. “Ehi cialtrone... alzati!” Era il suo assistente. “Perché non hai seguito le mie istruzioni?” Danny era irritato per il tono insolente: “Non sono in carcere, potrò decidere dove dormire e poi come hai fatto a rintracciarmi così presto?”. “Il microchip che ti hanno innestato sotto cute mi consente di averti sempre sotto controllo. Comunque, sappi che non puoi fare quello che ti passa per la testa… andiamo in ufficio. Dobbiamo interrogare il sistema per conoscere il tuo futuro”. L’economia e la società erano progredite, le multinazionali avevano razionalizzato il mondo produttivo ed educativo. Le Accademie sfornavano i quadri dirigenti tenendo conto della normativa in atto che proibiva qualsiasi discriminazione di genere. Per gli esseri umani competere con gli androidi era difficile ma non proibitivo. La maggior parte dei Consigli di Amministrazione era equamente composto. Le mansioni meno gratificanti erano svolte grazie ad una meccanizzazione così sofisticata da richiedere competenze ingegneristiche. Cosa avrebbe potuto fare Danny in una realtà che non riconosceva e che a sua volta non lo riconosceva? “Chi sono io? Una nullità che non è più in grado di utilizzare neppure un database.” Questa improvvisa consapevolezza cominciò ad inquietarlo. Guardò fisso l’assistente il quale, senza indugio, gli disse che la sua destinazione sarebbe stata quella di offrire il suo corpo alla sperimentazione. Nella Clinica in cui sarebbe stato confinato, avrebbe contribuito ad implementare le potenzialità progettate per gli androidi. “Quanti come me sono finiti in quella Clinica?” “Quasi tutti. Progredire significa anche fare dei sacrifici”. “Stai parlando... di sacrifici umani?” “In quella Clinica non è ancora morto nessuno, se è questo che intendi. Certo non sarà una vita semplice, ma sarai ben pagato”. Capì ed ebbe un mancamento. Intorno a lui avrebbe avuto solo il vuoto di morti viventi. La sua esistenza sarebbe terminata nel letto di un ospedale. Cosa poteva farsene dei soldi? Pianse, non lo aveva mai fatto, neppure quando era stato incarcerato. “La ricerca di un posto per me era solo un inganno, il mio destino era segnato fin dal momento del rilascio”. Sussurrò mentre una bruciante nostalgia travolse la sua mente. Gli apparvero le immagini della sua celletta piccola e maleodorante, ma sicura, con le sbarre in acciaio che lasciavano trapelare il Sole fin dalle prime ore del mattino; di notte, quando la Luna era piena, vagava e vagava, sognando la concessione della grazia. Aveva uno scopo e sopportava tutto in silenzio. L’assistente sociale lo guardò stupito: “Quest’uomo forse non si è reso conto della gravità del suo reato. Con crudeltà inaudita, aveva ucciso la sua compagna di vita, l’androide alla quale aveva giurato amore eterno. Che cosa pretendeva?”

Danny desiderava in ogni modo allontanarsi da quel posto, dove stava per essere condannato per la seconda volta. “È mezzogiorno. Potremmo andare a mangiare?”. “Non ho fame e poi devo accompagnarti in Clinica entro stasera”. Rispose l’assistente, incurante dell’angoscia e della rabbia che ammorbavano l’aria. Era fin troppo chiaro che qualcosa sarebbe successo. Danny si sedette, osservando uno scarafaggio che si era intrufolato furtivamente. Lo pestò con brutalità, meditando di fare altrettanto con il suo nuovo carceriere. Aveva notato nell’armadietto un’arma. Si mosse con determinazione, come accade a chi si è rassegnato ad un tragico destino, e, con uno scatto repentino, ruppe il vetro. Il fragore rimbombò in tutta la stanza. Danny sparò dritto in fronte all’assistente e poi ancora ed ancora, non riusciva a contenere la sua ira. Quando riprese il controllo di sé, gettò il phaser per terra, raccolse tutto quello che aveva e si diresse verso il carcere, sperava che la sua cella non fosse stata occupata da qualcun altro. Chiese del Direttore al quale, senza battere ciglio, confessò il delitto. Il Processo si svolse alla presenza di una giuria mista. La sentenza fu presto emessa: gli furono comminati altri vent’anni di galera. Per fortuna il suo giaciglio era ancora libero, pronto ad accoglierlo.

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