Abusi dei colossi del delivery. La maxi multa di 700 milioni ridotta a soli 90 mila euro

Ma i pm hanno imposto nuove regole sulla sicurezza

Corriere della Sera 1 dicembre 2021 | di Luigi Ferrarella

MILANO Puff!, evapora la sanzione di 733 milioni di euro alle piattaforme digitali dei ciclofattorini. Perché quei 733 milioni di ammenda, proclamata dalla Procura di Milano nel febbraio 2021, non sono esattamente la stessa cosa oggi di una effettiva sanzione complessiva di 90.000 euro a Foodinho-Glovo, Uber Eats, Deliveroo e Just Eat Italy. Eppure, benché la comunicazione ufficiale del procuratore milanese Francesco Greco il 25 febbraio assicurasse a tv e giornali che «l’ammenda che le società in caso di adempimento dovranno versare è stata quantificata complessivamente in oltre 733 milioni», ora si sbaglierebbe a farsi accecare dal boomerang di quello spot: perché si sottovaluterebbe invece — nelle prescrizioni tutte adempiute intanto dalle società — il poderoso sforzo di bonifica delle irregolarità e rientro nella legalità propiziato proprio dall’inchiesta della Procura e dei carabinieri del Comando Nucleo Ispettorato del Lavoro di Milano su questo mercato via via più rilevante per la vita quotidiana in pandemia. Nove mesi fa, a partire dal «basso» di alcuni incidenti stradali, i controlli a campione e i questionari a 1.000 corrieri — con la collaborazione dell’Ispettorato del Lavoro, Inail e Inps nel vagliare la posizione di 60.000 fattorini — avevano indotto ad assimilarli a «lavoratori» ai quali poter applicare il testo unico sulla sicurezza sul lavoro. Con l’ulteriore conseguenza di consentire agli inquirenti di notificare ai «datori di lavoro» 7 contravvenzioni penali estinguibili prima da specifici adempimenti e poi dal pagamento di un quarto del massimo delle ammende, appunto i famosi 733 milioni. In effetti le autorità di vigilanza oggi riconoscono che le società di consegna di cibo a domicilio si sono davvero messe in regola, con uno sforzo organizzativo e economico non indifferente. Basti pensare all’obbligo di visita medica preventiva per i corrieri, sul quale molto ha insistito il pool del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano: qualche società ha scelto di rimborsarla ai riders, altre hanno preferito inviarli a medici convenzionati, ma in entrambi i casi il costo (30-50 euro) moltiplicato per 60.000 corrieri ha comportato già investimenti per alcuni milioni. E a bilancio vanno pure i corsi di formazione per prevenire i rischi lavorativi (dalla circolazione stradale all’inquinamento atmosferico), e la fornitura di protezioni individuali come guanti, caschi, giubbotti catarinfrangenti e impermeabili, powerbank, e mascherine anti Covid. Il risultato, riassume il «Bilancio sociale» della Procura, è dunque che «l’azione nel settore dei ciclofattorini si è rivelata determinante in quanto ha contribuito a disciplinare, almeno parzialmente, un fenomeno lavorativo di nuova emersione», per il quale «resta comunque urgente una regolamentazione organica del legislatore», specie per il frastagliato inquadramento contrattuale. Una volta sanati i 7 adempimenti, l’ammenda per ciascuno di essi avrebbe dovuto essere moltiplicata per 60.000 riders ad avviso di carabinieri e Procura, producendo così la stratosferica cifra di 733 milioni. Il battaglione di legali delle società (Paola Severino, Nicolò Pelanda e Fabrizio Reggiani per Glovo, Francesco Sbisà e Vittorio Moresco per Uber Eats, Nerio e Massimiliano Diodà per Deliveroo, e Andrea Puccio per Just Eat) ha opposto una sentenza di Cassazione del 2020 per controargomentare l’unicità di ciascuna delle 7 contravvenzioni senza effetto moltiplicatore del numero di lavoratori, in quanto unica sarebbe stata la violazione del precetto penale e l’offesa al bene tutelato. Tesi alla quale si è infine adeguata l’autorità di vigilanza, che dunque tra oggi e domani finirà di formalizzare la notifica di ammende di 15.000 euro per ciascuno dei 6 manager qualificati come «datori di lavoro» nelle 4 società.

Tag

#delivery #lavoro