Cannabis legale? Sì, non fa male No, fa malissimo

Sono state raccolte 630 mila firme per un referendum che punta a depenalizzare la coltivazione della canapa e altre condotte relative alla marijuana. Che si vada a votare o no, l’iniziativa è destinata a fare discutere. Abbiamo organizzato un confronto tra Marco Perduca, antiproibizionista, e don Vinicio Albanesi, contrario al quesito proposto dai promotori.

Corriere della Sera – La Lettura, 12 dicembre 2021.

A cura di Antonio Carioti.

Nel 2022, in una data tra il 15 aprile e il 15 giugno, saremo probabilmente chiamati alle urne per un referendum sulla legalizzazione della cannabis. Sono state raccolte infatti 630 mila firme su un quesito che si articola in tre punti. Il primo punta a depenalizzare la coltivazione della pianta per uso personale; il secondo elimina le pene detentive per qualsiasi condotta relativa alla cannabis, a parte l’associazione finalizzata al traffico illecito; il terzo cancella la sanzione amministrativa del ritiro della patente di guida per il possesso della sostanza. Ora si attendono il verdetto della Cassazione sulla regolarità della raccolta delle firme e quello della Corte costituzionale sull’ammissibilità del quesito. Nel frattempo potrebbe intervenire il Parlamento, modificando la legge e rendendo inutile il referendum, ma le forze politiche appaiono incerte e divise sulla materia. Già adesso comunque si è aperto il dibattito e «la Lettura» ha chiamato a discutere sull’argomento don Vinicio Albanesi, sacerdote, a lungo presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, che ha preso posizione contro il quesito; e Marco Perduca, presidente del comitato per il referendum. Nel nostro Paese è già stato introdotto l’uso della cannabis a scopo terapeutico. Non è sufficiente?

MARCO PERDUCA — Un conto è adottare a scopo di cura una pianta che appartiene all’esperienza umana da 4.000 anni, un altro è poterla coltivare per qualsiasi uso. Si tratta di rendere lecito il ricorso a una sostanza psicoattiva, come avviene per tanti altri prodotti analoghi, il più importante dei quali nella nostra cultura è l’alcol. Sulla base di almeno trent’anni di evidenze circa le ricadute negative a cui porta la criminalizzazione di comportamenti che non fanno vittime né recano particolari danni alla salute individuale, abbiamo concluso che il modo migliore di gestire la presenza della cannabis nella cultura italiana è non fare entrare nel circuito penale chi la coltiva e la consuma.

VINICIO ALBANESI — Il referendum a mio avviso è inadeguato e inutile. L’uso personale della cannabis è già depenalizzato, ma non bisogna sottovalutare le conseguenze della dipendenza. Se per acquistare un sonnifero occorre la ricetta medica perché si tratta di un farmaco psicoattivo, non capisco perché si debba togliere ogni vincolo all’uso della marijuana, rendendolo un diritto, visto che è comunque una sostanza dannosa per la salute.

MARCO PERDUCA — Ma se noi facciamo il paragone con altre sostanze legali, constatiamo che esse provocano problemi ben più gravi. I morti non solo per l’assunzione di alcol e tabacco, ma anche per il consumo eccessivo di zucchero sono assai numerosi. E noi non teorizziamo un diritto allo spinello, ma vogliamo togliere dal circuito penale la coltivazione e l’uso personale, riducendo anche le sanzioni amministrative. Crediamo si debba superare al più presto un modello proibizionista che in tutto il mondo ha creato enormi guasti, tant’è vero che in diverse realtà è stato abbandonato.

VINICIO ALBANESI — Se sostanze legali come l’alcol, il tabacco e lo zucchero provocano gravi danni, non mi sembra un buon motivo per aggiungere alla lista la cannabis, che è anch’essa indubbiamente nociva.

MARCO PERDUCA — Le statistiche più accurate, quelle del centro per i problemi della salute degli Stati Uniti, ci dicono che la cannabis in quanto tale non ha mai fatto un solo morto, contrariamente a tante sostanze legali. Noi non intendiamo agevolare l’assunzione di una droga dannosa, ma togliere problemi a chi intende consumare un prodotto che di certo non è letale.

VINICIO ALBANESI — Io gestisco una comunità per ragazzi tossicodipendenti, alcuni dei quali si sono assuefatti all’uso della cannabis. È vero che non rischiano di morire, ma poi ci vogliono come minimo due anni per liberarli dalla dipendenza. Se per voi questo non è un problema, fate pure.

MARCO PERDUCA — Il danno più grave è quello che viene creato dalle leggi proibizioniste alle persone che decidono liberamente di coltivare o assumere sostanze che forse possono creare a loro limitati problemi di salute, ma di certo non recano agli altri alcun nocumento.

VINICIO ALBANESI — Non è vero, perché sulla base della mia esperienza posso dire che un giovane dipendente dal consumo di cannabis causa scompensi alla famiglia, agli amici e a tutti coloro che lo circondano. Anche perché di solito i tossicodipendenti non assumono una sostanza sola, ma ne mescolano diverse, con effetti a volte molto gravi.

MARCO PERDUCA — Giusto, ma il problema vero sono appunto le altre sostanze, che nella maggioranza dei casi — parlo di alcolici e psicofarmaci — sono peraltro perfettamente legali. Non si può continuare a imputare alla cannabis conseguenze che sono dovute ad altre cause. Questa è una grande mistificazione sostenuta dai proibizionisti, che ne ricavano spesso notevoli vantaggi, come i finanziamenti pubblici alle comunità.

VINICIO ALBANESI — La mia comunità non fa altro che aiutare le famiglie disperate e i giovani in difficoltà me li mandano i Serd, servizi per le dipendenze. Non accetto che si parli in questo modo dell’attività che svolgiamo sin da quando quelle strutture pubbliche neppure esistevano. Comunque non è affatto detto che la legalizzazione migliorerebbe la situazione. Anzi potrebbe peggiorare. Come si fa a saperlo?

MARCO PERDUCA — Basta studiare i documenti prodotti là dove è stata avviata la legalizzazione: alcuni Stati degli Usa (Colorado, California, Oregon, Massa chusetts e altri), l’Uruguay e il Canada. In più i Paesi Bassi, anche se non hanno legalizzato l’assunzione dei derivati della cannabis, la tollerano dal 1974. Tutte le ricerche documentano che in quelle situazioni, essendo garantita la qualità del prodotto, chi lo consuma va incontro a rischi molto inferiori. Non si tratta di un mondo perfetto, ma di realtà in cui il danno viene ridotto. In Italia invece si tagliano i soldi alla sanità pubblica, i Serd vengono impoveriti e ci si rivolge a un apparato parapubblico — comprese le comunità gestite dalla Chiesa — che aiuta persone il cui problema principale non è la cannabis, ma qualche altro fattore economico e sociale.

VINICIO ALBANESI — Non si può negare che esista la dipendenza da cannabis e che sia un problema per molte persone, così come lo è la dipendenza da alcol. Sono situazioni che io e molti altri operatori del settore ci troviamo quotidianamente ad affrontare, nello sforzo di aiutare i ragazzi a uscire da questa condizione, liberandoli dal rapporto patologico che intrattengono con le varie sostanze.

MARCO PERDUCA — I problemi della tossicodipendenza non si risolvono solo dicendo di no, usando le catene o i rosari. Si possono adottare approcci diversi, più efficaci e più rispettosi della libertà individuale.

VINICIO ALBANESI — Come? Offrendo le sostanze psicoattive in abbondanza, senza alcun limite? Il vero problema è la dipendenza, perché poi chi consuma la cannabis, quando gli spinelli non gli bastano più, passa ad altre sostanze ben più tossiche, ad esempio la cocaina. È il meccanismo perverso di cui approfitta il crimine organizzato per ricavarne lauti profitti.

MARCO PERDUCA — Considero avvilente affrontare in questi termini un fenomeno che solo in Italia riguarda milioni di persone. Voi proibizionisti non avete idea di che cosa state parlando.

VINICIO ALBANESI — Invece sì, perché conosco le storie personali dei tossicodipendenti, che vanno oltre i dati statistici. Lei non sa che cosa significa penare quotidianamente per liberare un ragazzo dalla dipendenza.

MARCO PERDUCA — Ma è accettabile allora che persone in una situazione simile rischino il carcere?

VINICIO ALBANESI — No, devono essere assistite.

MARCO PERDUCA — Benissimo. Allora come si fa a eliminare la prospettiva del carcere per chi coltiva o consuma la cannabis? Si tolgono le pene: la soluzione proposta dal nostro referendum. Come fate ad essere contrari?

VINICIO ALBANESI — Già adesso per l’uso personale non è previsto il carcere, solo la segnalazione al prefetto e sanzioni amministrative.

MARCO PERDUCA — Purtroppo non è vero, perché tuttora per la coltivazione di cannabis è prevista una pena che arriva fino a sette anni di carcere, roba da rapina a mano armata. La stessa segnalazione in Prefettura non è che il primo passo verso sanzioni più gravi. Ma queste soluzioni repressive non possono che aggravare i problemi di cui soffre il tossicodipendente, mentre i proibizionisti continuano a credere che funzionino come un deterrente al consumo di droga. Lei, Albanesi, potrebbe essere d’accordo con la proposta di depenalizzare la coltivazione di cannabis?

VINICIO ALBANESI — Sì.

MARCO PERDURA — E per l’eliminazione della sanzione del ritiro della patente ai tossicodipendenti?

VINICIO ALBANESI — Qui credo che un limite vada mantenuto. Se supero i limiti di velocità in autostrada e violo altre norme del codice stradale, mi ritirano patente. Lo stesso deve valere per il consumo di marijuana.

MARCO PERDUCA — Vorrei precisare che il nostro referendum non riguarda il reato di guida in stato alterato da sostanze psicoattive, che rimane intatto. Noi diciamo che se ti trovano a coltivare o a fumare cannabis non ti possono più infliggere la sanzione del ritiro della patente fino a tre anni, come è attualmente previsto. Ma le persone fermate per guida in stato alterato per consumo di sostanze illegali sono solo il 2,6 per cento del totale, quindi stiamo ingigantendo un problema che in realtà ha dimensioni molto ridotte, soprattutto se raffrontato al numero dei consumatori di cannabis, che è di circa otto milioni, la grande maggioranza dei quali gestisce senza grandi problemi il rapporto con la sostanza, ma corre il rischio di cadere nel circuito penale con costi notevoli anche per lo Stato. Un dispendio di risorse che potrebbero essere utilizzate molto meglio sul fronte della lotta alla droga.

VINICIO ALBANESI — Questo ragionamento non mi convince affatto, perché banalizza problemi complessi che non sono per nulla facili da gestire quando ci si trova di fronte a situazioni di dipendenza. Proviamo ad allargare il discorso. Perduca, per voi il referendum è il primo passo per arrivare a legalizzare anche altre sostanze, oltre la cannabis?

MARCO PERDUCA — Siamo a favore di una regolamentazione legale, non necessariamente la liberalizzazione, delle potenzialmente pericolose per la salute. Toglierle dalle dinamiche dell’illegalità, quindi dalle mani del crimine organizzato, ci pare una risposta pragmaticamente più efficace di quelle che ci hanno portato ad avere milioni di persone che le consumano. Non abbiamo un modello a cui rifarci per la legalizzazione di eroina, cocaina o sostanze psichedeliche, le sperimentazioni messe in atto sono finora limitate. Ma dato che quelle droghe oggi si trovano facilmente ovunque, è molto meglio che la qualità delle sostanze in circolo sia controllata e che chi le assume in modalità problematica non sia oggetto di repressione penale, ma venga aiutato a convivere con la sostanza e a superare le difficoltà che l’hanno portato a consumarla. Lo si fa in Svizzera da trent’anni.

VINICIO ALBANESI — Respingo questa logica per cui tutto diventa un diritto e l’unica strada da seguire è quella più facile: allargare le maglie all’uso della droga senza un minimo di vincoli. Per esempio c’è il problema gravissimo dei minori, che oggi cominciano a consumare sostanze psicoattive molto presto: lasciamo che lo facciano come se fosse un comportamento normale, senza intervenire, in nome di un concetto distorto di libertà? Non è meglio agire, anche adottando misure coattive? O abbiamo paura della parola punizione? Per me chi sbaglia deve pagare.

MARCO PERDUCA — Chi non reca danno a nessun altro a mio avviso non deve essere punito.

VINICIO ALBANESI — Ma i tossicodipendenti non vivono isolati dal mondo: scompigliano gli equilibri delle loro famiglie, avvicinano gli amici al consumo di droga. Non dobbiamo tenerne conto? E poi vogliamo domandarci che cosa fanno questi ragazzi per trovare i soldi con cui comprare la droga. È molto frequente che commettano reati quando diventano dipendenti.

MARCO PERDUCA — Non si recuperano i tossicodipendenti con le maniere forti. Il modello attuale, che lei sostiene ma si è dimostrato fallimentare, non è l’unico possibile. Io rispetto il lavoro delle sue comunità di recupero, ma si tratta di un’esperienza limitata, mentre il consumo della cannabis è un fenomeno di massa, che coinvolge in Italia otto milioni di persone e va affrontato con un approccio diverso, sanamente pragmatico. A nostro avviso la libera scelta delle persone informate è il modo migliore per consentire a ciascuno di condurre la sua vita come meglio crede.

VINICIO ALBANESI — Io considero un grave errore minimizzare gli effetti negativi del consumo di cannabis. È una logica sbagliata, fondata su un individualismo esasperato, un’esaltazione dell’egoismo che conduce poi a legalizzare anche altre sostanze psicoattive in nome di una falsa idea di libertà.

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