L’Europa è divisa sul nucleare

Metà paesi lo vogliono e metà no, e la crisi energetica e i progetti di transizione ecologica rendono le divergenze ancora più gravi

2.02.2022 | ilPost.it

In questi mesi in cui la crisi energetica sta colpendo tutta Europa (in alcuni casi i prezzi dell’energia sono perfino raddoppiati in un anno), si sono create notevoli divisioni tra governi ed esperti su come affrontare la carenza di energia, ridurre la dipendenza energetica dell’Europa dall’estero, in particolare dalla Russia, e al tempo stesso rispettare gli obiettivi della transizione ecologica.

Una delle questioni più dibattute riguarda il nucleare, che per alcuni sarebbe la risposta a molti di questi problemi, mentre per altri sarebbe un investimento nella direzione sbagliata, se non addirittura un rischio.

L’Europa, quando si parla di energia nucleare, è di fatto divisa in due: un gruppo di paesi, tra cui anzitutto la Francia, che usa il nucleare e che intende aumentare o espandere le sue centrali, in parte anche a causa della crisi energetica; e un altro gruppo che invece ha dismesso decenni fa le sue centrali, come l’Italia, o che lo sta facendo in questi anni, come la Germania.

Il dibattito in Europa attorno al nucleare va avanti da tempo, ma la crisi energetica lo ha reso più attuale e ha inasprito le rispettive posizioni. Per esempio il presidente francese Emmanuel Macron, che all’inizio del suo mandato era sembrato piuttosto scettico sul nucleare, negli ultimi mesi ha deciso di puntarci risorse e credito politico, annunciando la costruzione di nuove centrali e il potenziamento di quelle vecchie.

In Germania, invece, la decisione di dismettere tutte le centrali nucleari del paese – presa da Angela Merkel nel 2011 dopo il disastro di Fukushima: le ultime centrali saranno spente entro la fine del 2022 – sta creando grosse discussioni, anche all’interno del governo. Secondo i critici, la Germania dismette le sue centrali nucleari proprio mentre avrebbe bisogno di tutta l’energia disponibile, e si trova a ricorrere a gas e carbone per sopperire alle mancanze.

Anche in Italia, negli ultimi tempi, il dibattito sul nucleare si è molto ravvivato, anche se non ha raggiunto particolari conclusioni. Le quattro centrali nucleari italiane furono tutte disattivate a partire dal 1986, a seguito di un referendum.

Come ha notato Bloomberg di recente, queste divisioni mettono il continente in una situazione praticamente unica in un contesto mondiale in cui l’energia nucleare sta avendo una forte crescita. La Cina sta investendo centinaia di miliardi di dollari nel settore, e intende costruire 150 nuovi reattori nei prossimi 15 anni. La Russia sta costruendo nuove centrali sul proprio territorio, e soprattutto è uno dei principali esportatori di tecnologia nucleare nel mondo: le sue aziende stanno lavorando per costruire decine di centrali nucleari all’estero.

Attualmente, in Europa, la situazione della produzione di energia nucleare è divisa quasi perfettamente in due: ci sono 13 paesi che hanno reattori nucleari attivi (Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Germania, Spagna, Francia, Ungheria, Paesi Bassi, Romania, Slovenia, Slovacchia, Finlandia e Svezia) e 14 paesi che non producono energia nucleare e che, al massimo, ospitano nel loro paese un singolo reattore per scopi di ricerca (Danimarca, Estonia, Irlanda, Grecia, Croazia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Austria, Polonia, Portogallo).

Tra questi due schieramenti però la situazione è movimentata – e non priva di polemiche, come avvenuto di recente con la decisione della Commissione Europea di considerare il nucleare (e il gas naturale) come una fonte d’energia sostenibile.

Belgio, Germania e Spagna pur avendo centrali nucleari hanno deciso negli ultimi anni che le dismetteranno completamente, seppure con tempistiche differenti: la Germania intende farlo entro il 2022, mentre la Spagna comincerà nel 2027 e terminerà nel 2035. Anche la Svizzera, benché non faccia parte dell’Unione Europea, di recente ha approvato un referendum per dismettere tutte le sue centrali attualmente attive e non costruirne altre.

Nell’altro schieramento, molti dei paesi che già hanno centrali nucleari hanno avviato i lavori per costruirne di nuove, o stanno approvando progetti per farlo: tra questi Francia, Regno Unito (che non fa più parte dell’Unione), Finlandia e Paesi Bassi.

Ci sono inoltre due paesi, la Polonia e l’Estonia, che al momento non hanno centrali nucleari ma stanno valutando seriamente progetti per costruirne in futuro: in particolare la Polonia, che ha già individuato il luogo in cui sarà costruito il suo primo reattore: il governo progetta di realizzarne sei in tutto, e di cominciare a produrre energia nucleare entro il 2033.

Ma benché la situazione tra i paesi europei favorevoli e contrari al nucleare sembri più o meno di parità, la produzione di energia nucleare in Europa è calata costantemente negli ultimi vent’anni, e non soltanto perché vari paesi hanno deciso di dismettere le loro centrali.

Un esempio piuttosto evidente è quello della Francia, che con i suoi 56 reattori genera il 52 per cento di tutta l’energia nucleare prodotta in Europa. Le infrastrutture nucleari francesi, tuttavia, sono piuttosto vecchie e malandate: EDF, l’azienda statale che le gestisce, è da tempo in crisi, e negli ultimi tempi ben cinque centrali sono state chiuse temporaneamente per riparazioni. Il risultato è che la produzione di energia nucleare francese è ai minimi da decenni: era 430 terawattora nel 2005 ma soltanto 335 terawattora nel 2020, e dovrebbe calare ulteriormente nel 2022 (un terawattora sono un miliardo di kilowattora, che è l’energia che consuma un piccolo asciugacapelli in un’ora, più o meno).

L’Unione Europea, dunque, si trova nel mezzo della peggiore crisi energetica degli ultimi decenni divisa sulla questione del nucleare, e con la produzione in declino, in un contesto in cui in buona parte del resto del mondo la produzione di energia nucleare è destinata ad aumentare nei prossimi anni. Per alcuni analisti, questo è il frutto di decenni di gravi errori strategici. Come ha titolato Bloomberg: «L’Europa sta perdendo la sua energia nucleare proprio nel momento in cui ne avrebbe più bisogno».

Bisogna considerare, però, che la produzione di energia nucleare richiede investimenti ingenti e tempi lunghi: il nucleare non potrebbe risolvere l’attuale crisi energetica nemmeno se tutti i governi europei si mettessero d’accordo sul suo sviluppo massiccio. La costruzione da zero di una nuova centrale, infatti, richiede almeno 10 anni, ed enormi investimenti. Se un paese come l’Italia decidesse, per esempio, di ricominciare a produrre energia nucleare, dovrebbe spendere decine di miliardi di euro, e i primi risultati si vedrebbero nel prossimo decennio.

Queste polemiche si inseriscono poi in un dibattito più ampio tra chi considera l’energia nucleare come necessaria per la transizione ecologica, perché generare energia elettrica nelle centrali nucleari non emette gas serra (produce tuttavia scorie nucleari difficili da gestire) e chi ritiene che, in un momento in cui bisognerebbe puntare tutto sulle rinnovabili, continuare a farci affidamento potrebbe essere controproducente.

Anche in questo caso, i due principali contendenti sono Francia e Germania. Il presidente francese Macron, annunciando nuovi investimenti nella produzione di energia nucleare, l’ha descritta come uno strumento indispensabile per la transizione energetica: senza nucleare, le rinnovabili da sole non ce la fanno. Anche un altro noto politico francese, il commissario europeo al Mercato interno Thierry Breton, è un sostenitore del nucleare, e ha detto di recente che l’Europa dovrebbe investire nel settore 500 miliardi di euro per soddisfare la sua domanda energetica e al tempo stesso rispettare i requisiti ambientali.

Il governo tedesco, invece, è tra i più agguerriti contro il nucleare, e con i Verdi nella coalizione è decisamente improbabile che le cose cambino.

La decisione tedesca di dismettere le centrali è spesso presentata come dettata dalla paura che seguì il disastro di Fukushima, e in parte è certo così. Al tempo stesso, però, vari esperti tedeschi ritengono che eliminare il nucleare sia l’unico modo per valorizzare davvero le energie rinnovabili: da Fukushima in poi, la produzione di energia da fonti rinnovabili in Germania è triplicata, e ora soddisfa circa il 45 per cento del fabbisogno di energia elettrica. «C’è stata una chiara connessione tra l’uscita dal nucleare e l’entrata delle rinnovabili», ha detto all’Economist un’esperta tedesca.

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