Il Draghismo in purezza della sorella d'Italia
È evidente che a Giorgia Meloni non conviene vincere le elezioni. Sulla carta ha l'occasione della vita. È la prima aspirante donna-premier che può sfondare il tetto di cristallo. Guida un partito di destra dura e pura che non ha mai gestito nulla, a parte i convegni di Atreju. Ha il pieno comando della sua sgangherata coalizione. Ha già fatto la ministra in uno dei peggiori esecutivi della Repubblica ma agli italiani piace perché risulta ugualmente “nuova”.
In teoria, le condizioni per raccogliere con entusiasmo questa sfida ci sono tutte. Ma in pratica, chi glielo fa fare questo battesimo del fuoco a Palazzo Chigi, in una delle ore più buie della Storia? Dopo aver festeggiato il probabile plebiscito nelle urne, che speranze ha di salvare davvero l'Italia, tra la minaccia neo-imperiale di Putin e la crisi del gas, una famiglia su tre che non può pagare le bollette e 120 mila imprese che rischiano la chiusura, l'inflazione al 9 per cento e la Bce che alza i tassi di interesse?
Con questo intero gregge di mucche in corridoio, si capisce che qualche Fratello d'Italia cominci a mettere già le mani avanti e a fantasticare un'altra volta di “unità nazionale” e di “governo dei migliori”, per vedere di nascosto l'effetto che fa. Guido Crosetto, in una destra drammaticamente povera di classe dirigente, non è uno qualunque: se si spinge a dire che «Giorgia non arriverà alla guida del Paese per fare la donna sola al comando» e che «per il bene dell'Italia chiamerebbe Letta senza nessuna esitazione, così come Conte o Calenda», qualcosa dietro ci dovrà pur essere.
Basta sentire il video-spot che la stessa Meloni ha diffuso giovedì scorso, intitolato “Pronti a intervenire sul costo dell'energia – Le nostre proposte”. Dura tre minuti e 28. Il tono è grave, composto, mai polemico. E le proposte vanno dal tetto europeo al prezzo del gas al “decoupling” tra prezzo del metano e delle altre fonti energetiche, dalla tassazione degli extraprofitti ai crediti d'imposta per le imprese gasivore.
Draghismo in purezza. La prima cosa che viene da dire è: troppo comodo chiedere aiuto al premier uscente, o magari persino ai leader del campo avverso, adesso che i “patrioti” stanno per entrare nella stanza dei bottoni e invece delle verdi vallate vedono la morte nera. A cosa prelude, tanto senso di responsabilità e tanta “gravitas istituzionale”? È solo maturità politica o c'è dell'altro? Dovrà spiegarcelo la Sorella d'Italia in persona, meglio se prima del voto.
Dovrà chiarire perché, lei che voleva far firmare un “patto anti-inciucio” agli alleati Salvini e Berlusconi, ora è disponibile alle “larghe intese” nella nuova legislatura, dopo averle combattute dall'opposizione in quella vecchia.
Soprattutto, dovrà dirci se a presiedere un eventuale governo giallo-rosso-nero-verde sarebbe lei, o se invece affiderebbe il compito a un “Draghi di destra”. Ben sapendo che in questa tribolata Italietta di Draghi di destra, come del resto di “Draghi di sinistra”, ce n'è uno solo: è Draghi stesso.
Massimo Giannini L'editoriale (La Stampa)
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