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Personale & Politico

A ogni violenza sessuale, specie se raggiunge una grossa visibilità mediatica, puntualmente salta fuori qualcuno da destra che invoca la castrazione chimica. Salvini è da sempre particolarmente attivo in questo senso.

Lo slogan della castrazione chimica viene ripetuto continuamente da Salvini perché lo stesso Salvini sa che è efficace a livello appunto di slogan, in quanto fa leva sulla valenza inconscia del termine “castrazione”. Gran parte dell’elettorato leghista non ha la più pallida idea di cosa sia tecnicamente la castrazione chimica, ma apprezza la valenza semantica del termine castrazione perché la associa all’atto dell’evirazione, non certo del trattamento farmacologico.

Anzi, gran parte dell’elettorato di cui sopra probabilmente neppure ha idea che la castrazione chimica è un trattamento di tipo farmacologico, ma l’idea che ne ha soddisfa la propria pancia e per Salvini basta questo. Il suo risultato l’ha raggiunto.

Per chi ha voglia di approfondire un po’ la questione, sotto il post c’è un esaustivo articolo de Il Post (il cielo li abbia in gloria per come spiegano le cose) in cui si spiega cos’è la castrazione chimica e perché non serve per contrastare il dramma delle violenze sessuali (sostanzialmente, perché le violenze di genere degli “uomini” sulle donne hanno radici culturali e sociali, non biologiche).

https://www.ilpost.it/2023/08/21/la-castrazione-chimica-puo-essere-una-soluzione/

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Castrazione chimica

A ogni violenza sessuale, specie se raggiunge una grossa visibilità mediatica, puntualmente salta fuori qualcuno da destra che invoca la castrazione chimica. Salvini è da sempre particolarmente attivo in questo senso.

Lo slogan della castrazione chimica viene ripetuto continuamente da Salvini perché lo stesso Salvini sa che è efficace a livello appunto di slogan, in quanto fa leva sulla valenza inconscia del termine “castrazione”. Gran parte dell’elettorato leghista non ha la più pallida idea di cosa sia tecnicamente la castrazione chimica, ma apprezza la valenza semantica del termine castrazione perché la associa all’atto dell’evirazione, non certo del trattamento farmacologico.

Anzi, gran parte dell’elettorato di cui sopra probabilmente neppure ha idea che la castrazione chimica è un trattamento di tipo farmacologico, ma l’idea che ne ha soddisfa la propria pancia e per Salvini basta questo. Il suo risultato l’ha raggiunto.

Per chi ha voglia di approfondire un po’ la questione, sotto il post c’è un esaustivo articolo de Il Post (il cielo li abbia in gloria per come spiegano le cose) in cui si spiega cos’è la castrazione chimica e perché non serve per contrastare il dramma delle violenze sessuali (sostanzialmente, perché le violenze di genere degli “uomini” sulle donne hanno radici culturali e sociali, non biologiche).

https://www.ilpost.it/2023/08/21/la-castrazione-chimica-puo-essere-una-soluzione/

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Questo è un migrante di successo. Solanum tuberosum. La patata.

È arrivata ai primi del Seicento dal Sudamerica, il suo nome comune viene dal quechua, la lingua degli Inca. Insieme al suo compagno di viaggio, il pomodoro, ha rivoluzionato l’alimentazione in Europa e in Italia, salvando dalla carestia milioni di persone.

Entrambi, patata e pomodoro, ci hanno messo più di un secolo per entrare nell’uso comune. All’inizio sembravano stranezze esotiche, cose mai viste e mai mangiate, forse pericolose, forse velenose. Nessuno le voleva mangiare.

Molte fonti sostengono che fu Federico il Grande, re di Prussia, a metà del Settecento, a sdoganare definitivamente la patata. Con un espediente geniale. Cominciò a coltivare patate nell’orto reale e mise guardie armate a proteggerle, così tutti cominciarono a pensare che le patate fossero preziose, un cibo da re. Di notte andavano a rubarle e impararono a mangiarle e a piantarle.

Gli agrumi invece sono arrivati dall’Asia. I romani conoscevano il cedro, il limone e l’arancio amaro, che è quello più antico. La coltivazione dell’arancio moderno, simbolo della Sicilia, viene introdotta in Europa dai portoghesi solo nel Millecinquecento. Il mandarino arriva in Italia solo nell’Ottocento.

Nei giorni scorsi ci sono state polemiche molto accese sulla cucina tradizionale italiana, sulla sua identità. Tradizione e Identità sono temi molto cari a questo governo. Come si addice a un governo nazionalista, intende battersi per l’italianità del cibo, della lingua, dei costumi, contrapposta a quelli che un progetto di legge di Fratelli d’Italia per la difesa della lingua chiama “forestierismi”. Forestiero è un termine che non sentivo da un bel pezzo. Significa: gente o roba che viene da fuori.

Eppure la patata, che fu forestiera per eccellenza, ormai è italianissima. E lo è perché l’identità e la tradizione, che sono cose importanti, mutano. Si evolvono. Si adattano. Si arricchiscono attraverso l’esperienza, la contaminazione, il cambiamento.

L’idea che l’identità, della cucina italiana come dell’Italia intera, sia qualcosa di definitivo, di cristallizzato, qualcosa che può addirittura essere stabilita per legge, non è neanche sbagliata. È insensata. È come voler mettere in un museo qualcosa di vivo. È come cercare di imbalsamare qualcosa che si muove.

Marcello Veneziani, un intellettuale di destra come ce ne sono pochi, purtroppo, dice che “la tradizione non è culto del passato, ma senso della continuità e gioia delle cose durevoli”. La definizione è bellissima. A patto che la si esponga, la gioia delle cose durevoli, al sole e al vento, la si faccia respirare, e non la si lasci ammuffire in fondo a un cassetto.

La cucina italiana, intesa come insieme di ricette, ingredienti, cultura del convivio, è una delle meraviglie del nostro Paese. Dobbiamo difenderla. Ma non la si difende trasformandola in un pezzo da museo. La si difende prima di tutto avendo cura – e questo è compito della politica – che i contadini non siano sfruttati, o derubati dalla grande distribuzione. Poi facendo attenzione a cosa mettiamo nel piatto, alla qualità degli ingredienti, alla quantità di chimica e di farmaci che rischiamo di ingoiare se non stiamo in guardia.

Io mi sento italianissimo anche quando mangio il sushi, con il quale non bevo il saké giapponese, ma Vermentino sardo, o Ribolla del Friuli. Contaminazione, appunto. La farina di insetti, criminalizzata dal governo come accadde, quattro secoli fa, alla patata, in sé non mi fa nessuna paura, è un cibo naturale quanto i gamberetti. Proteine disponibili in natura. Mi fa molta più paura avere paura dei forestieri, delle persone e delle cose che arrivano da fuori. È una paura sterile, gretta, poco vitale. Blocca lo stomaco, blocca l’appetito. Se Federico il Grande si presenta alle prossime elezioni, con la patata nel simbolo, io voto per lui.

  • Michele Serra

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Care tutte e cari tutti, ce l’abbiamo fatta. Abbiamo vinto.

Vi sono immensamente grata perché insieme abbiamo fatto una piccola grande rivoluzione. Anche stavolta non ci hanno visto arrivare.

Il popolo democratico è vivo. E’ vivo, c’è ed è pronto a rialzarsi. E lavoreremo su questa fiducia: è un mandato chiaro a cambiare davvero, come abbiamo detto in queste settimane. Volti, metodo e visione. Con una linea chiara che metta al centro il contrasto a ogni forma di diseguaglianza, il contrasto alla precarietà per un lavoro di qualità, per un lavoro dignitoso e anche per affrontare con la massima urgenza e serietà l’emergenza climatica.

Parte davvero da noi. Abbiamo visto oggi per ricostruire fiducia e credibilità dove si è spezzata in questi anni.

Un popolo oggi possiamo dire che si è riunito, finalmente, e ha risposto alla nostra chiamata.

È la maggiore responsabilità che abbiamo: non tradire mai questa fiducia.

Abbiamo fatto da ponte tra il dentro e il fuori, per liberare le energie migliori. Ma anche un ponte intergenerazionale. Mi hanno molto colpita i messaggi di alcune donne di più di 100 anni, che oggi sono andate a votare per me e che hanno detto che erano 90 anni che aspettavano di votare per una segretaria.

Ma voglio pensare anche alle tante e ai tanti giovani che hanno oggi espresso il loro primo voto e che hanno messo il loro primo impegno in questa sfida collettiva.

Sento che è il momento di ringraziare, perché da questa meravigliosa esperienza, da questo lungo viaggio da sud a nord del nostro paese, passando per le isole, è molto più quello che ho ricevuto di quello che ho dato.

E prima di ringraziare vorrei che dessimo un messaggio di grande vicinanza, di solidarietà, di affetto alla famiglia di Daniele Nucera, scrutatore che purtroppo oggi si è spento durante il nostro grande esercizio di democrazia.

Voglio ringraziare la comunità democratica, l’unica che dopo la sconfitta di settembre ha scelto di rimettersi in discussione aprendo questo processo di partecipazione che si è concluso oggi con questo straordinario esercizio di democrazia aperto a tutta la società.

Voglio ringraziare il segretario uscente Enrico Letta, che ho sentito poco fa, e tutta la segreteria. Ci siamo sentiti. Ci accorderemo domani (lunedì 27, ndr) per il passaggio di consegne.

Un ringraziamento molto speciale e sentito a tutte le iscritte e gli iscritti, le volontarie e i volontari che oggi ci hanno permesso, lavorando ai seggi dalla mattina presto fino alla sera tardi, di esercitare il nostro diritto di voto, di fare queste primarie.

Non c’è mai niente di scontato in questo sforzo e l’hanno fatto non solo in ogni gazebo e seggio d’Italia ma voglio ricordare anche in particolare quelli che l’hanno fatto all’estero, la nostra comunità democratica all’estero che si è tanto spesa.

E’ stata una straordinaria festa di partecipazione, è il nostro inizio di risposta al picco di astensionismo che purtroppo abbiamo visto anche in questa città (Roma, ndr) alle ultime regionali. Ma l’abbiamo visto in tutta Italia, con un record di astensione alle ultime elezioni politiche. Ecco questa è la miglior risposta: rimetterci in cammino, rimetterci in gioco e ricominciare a partecipare.

Ma vi vorrei chiedere un impegno: noi dobbiamo avere l’ossessione delle persone che oggi comunque non hanno partecipato, di quelle che alle ultime elezioni non si sono espresse. Perché tra quelle persone ci sono purtroppo soprattutto le fasce di reddito più basse e questo vuol dire una crisi della democrazia e il rischio di una marginalizzazione permanente delle fasce più povere della nostra società. Ecco, a questo vi chiedo di continuare a rivolgere la nostra attenzione.

Un ringraziamento naturalmente lo vorrei fare, molto sentito, e ne vedo tante e tanti qui intorno, ma anche in tutta Italia, a tutti i nostri straordinari comitati “Parte da noi”. A tutte le sostenitrici e sostenitori che si sono spesi con una passione, con una determinazione, con una competenza veramente straordinarie e che mi commuovono tanto. Militanti da sempre impegnati in questo partito accanto a persone che sono rientrate dopo tanti anni di disillusione, di delusione, di poca motivazione, insieme a giovani alla prima esperienza politica che hanno scelto di farla con noi.

Un grazie di cuore lo voglio fare alla squadra nazionale della mozione Schlein e al mio team, senza i quali tutto questo non sarebbe stato davvero possibile. Vi ringrazio tutte, vi ringrazio tutti, perché in questo lungo viaggio mi avete tenuta in piedi, ecco, con 4/5 comizi al giorno altrimenti sarei stramazzata al suolo.

Siete la mia e la nostra speranza e soprattutto saremo un bel problema per il governo di Giorgia Meloni, perché da oggi noi daremo un contributo a organizzare l’opposizione in Parlamento e in tutto il paese a difesa di quell’Italia che fa più fatica, a difesa di quei poveri che il governo colpisce e che non vuole vedere, di lavoratrici e lavoratori precari sfruttati, per alzare i salari e per alzare le loro tutele, la sicurezza sul lavoro.

Anche per difendere la scuola pubblica come primo grande strumento di emancipazione sociale nel momento in cui il governo tace su un’aggressione squadrista davanti ad una scuola. Noi saremo al fianco degli studenti e delle studentesse e non li faremo passare. Non li faremo passare.

E saremo qui a fare le barricate contro ogni taglio o privatizzazione della sanità pubblica universalistica. Perché stanno già tagliando. Perché quando una manovra non mette un euro in più sulla sanità a fronte di un’inflazione così alta, non è una scelta neutra. Stanno già tagliando i servizi alle persone.

Ecco, mi viene in mente che in questo viaggio a un certo punto sono stata a Siracusa e che quello stesso giorno, poco distante da lì, a Pachino, è morto un ragazzo della mia età, 38 anni, perché al pronto soccorso non c’erano sufficienti medici per curarlo.

Noi non possiamo essere quest’Italia. Lo dico proprio oggi, lo dico proprio oggi con un’altra strage nel mare davanti a Crotone. Che pesa sulle coscienze di chi solo qualche settimana fa ha voluto approvare un decreto che ha la sola finalità di ostacolare il salvataggio in mare quando invece ci vorrebbero vie legali e sicure per l’accesso a tutti i paesi europei. E ci vorrebbe una Mare Nostrum Europea, una missione umanitaria di ricerca e soccorso in mare.

Così come saremo al fianco di chi lotta per la giustizia climatica accanto a quella sociale, perché non abbiamo più molto tempo per invertire la rotta, perché il giorno in cui abbiamo già consumato tutte le risorse che il pianeta è in grado di rigenerare arriva sempre prima: arriva luglio, e per il resto dell’anno siamo a debito con il pianeta e con le prossime generazioni.

Quindi saremo a lavorare per una vera, profonda conversione ecologica che accompagni tutta la società e tutti i settori dell’economia.

Ecco questo vogliamo fare. Lo vogliamo fare per le aree interne e montane troppo spesso dimenticate dalle politiche che si fanno a livello nazionale.

E vorremmo essere i peggiori avversari di quella paura di futuro che colpisce soprattutto tante e tanti giovani.

Ecco, lo voglio dire, perché saremo quel partito che non si dà pace finché non avremo posto un limite alla precarietà o un limite ai contratti a tempo determinato, finché non avremo abolito gli stage gratuiti, lottato per portare a casa il salario minimo. E lo dico già da ora, l’ho detto in queste settimane, ci rivolgeremo a tutte le altre opposizioni per fare questa battaglia insieme, per dire che sotto una certa soglia non è lavoro: è sfruttamento.

Un messaggio molto forte e molto caloroso lo voglio mandare a Stefano Bonaccini, ringraziandolo e facendogli i complimenti. Ringraziandolo anche per il confronto molto alto e rispettoso che abbiamo avuto. E voglio ringraziare anche Gianni Cuperlo e voglio ringraziare anche Paola de Micheli. Voglio ringraziare anche tutti i loro sostenitori, perché da domani lavoreremo insieme nell’interesse del paese e nell’interesse del partito.

Lavoreremo per l’unità. Non possiamo permetterci altro.

Lavoreremo per l’unità e posso garantire già da oggi che il mio impegno sarà quello di essere la segretaria di tutte e di tutti indistintamente. Questo ci aspetta, questa è la responsabilità che abbiamo e soltanto così noi lavoreremo insieme per tornare a vincere, presto, insieme.

Questo chiedo anche loro di fare, perché mi spetta una grande una grande responsabilità che è quella di tenere insieme la nostra comunità, che oggi ha dato un segno straordinario di vivacità.

Ci spetta di tenere insieme le sue storie, di tenere insieme le culture che hanno forgiato questo partito ma senza rinunciare a indicare una direzione chiara, che è quella che è stata scelta e che oggi è stata premiata dalle elettrici e dagli elettori che si sono recati alle urne per votare.

Ecco, io vi chiedo e chiedo loro di scommettere una volta in più e ancora e di entrare presto anche a far parte di questa nostra comunità democratica: le porte sono aperte, sono spalancate.

Dobbiamo ricucire le fratture che si sono prodotte in questi anni. Siamo qui per questo e vi chiediamo di sostenere il cambiamento che vogliamo realizzare perché l’abbiamo sempre detto: un cambiamento così profondo del partito e del paese non passa solo dalla testa.

Non basto io, è un cambiamento che funziona soltanto se ciascuna e ciascuno di noi ci mette un pezzo di sé a generare cambiamento tutto intorno. Ecco questo è l’impegno che noi ci siamo presi e così noi vogliamo lavorare.

Per concludere, voglio dedicare questa vittoria davvero a tutte e tutti voi, perché è vostra, perché è vostra e perché l’abbiamo fatta insieme. Voglio dedicarla però soprattutto alle donne e ai giovani che, vedremo i dati ma ho l’impressione da quello che mi hanno raccontato dai seggi in tutta Italia, abbiano dato un contributo straordinario a questa vittoria. Hanno raccolto il nostro appello a ricostruire insieme, rivolto a loro, troppo spesso schiacciati non solo dalla crisi economica e quella pandemica ma anche dalla politica e anche in questo partito.

Siamo qui per aprire quel varco, lo facciamo sul serio. Abbiamo già iniziato a farlo. Siamo qui pensando a quella ragazza a cui voglio dedicare una parte di questa vittoria, perché quando ci siamo incontrati aveva detto che a una prima riunione di partito qualcuno le aveva chiesto: “Di chi sei?”. Ecco, la miglior risposta è oggi. Da oggi è solo di se stessa, è solo di se stessa, come tutti noi.

Voglio pensare a una donna, a una grande attivista e combattente Marielle Franco, che ha ispirato l’azione di tante e tanti di noi, un’attivista uccisa in Brasile. Voglio pensare però anche ad alcune persone che purtroppo non ci sono più e che vi chiedo di ricordare insieme in un momento così importante come quello di stasera.

Il primo è un amico, un collega, un compagno di lavoro al Parlamento Europeo che purtroppo si è spento proprio oggi e che è Curzio Maltese, grande giornalista. Voglio salutare la famiglia, ci siamo visti a Firenze qualche giorno fa, di Alberto Brasca che purtroppo si è spento qualche giorno fa e non ha potuto gioire con noi di questa vittoria. Voglio salutare, se mi stanno sentendo, anche i genitori di un altro compagno straordinario, amico, attivista pugliese che si è spento qualche anno fa amico di tanti di noi: Gian Claudio Pinto e con lui Antonio Prisco, uno di coloro che hanno contribuito a organizzare la protesta, il primo sciopero dei Rider in questo paese.

Siamo qui anche per scrivere le nuove tutele del lavoro digitale. E’ una responsabilità grande che spetta alla nostra generazione.

E da ultimo voglio ricordare chi ha condiviso con me il sogno di un’Europa federale: Antonio Megalizzi, ucciso nell’attentato a Strasburgo qualche anno fa.

Ecco, è il nostro tempo. Guardate, l’avevamo detto all’inizio di questa sfida, quando ancora in pochi ci credevano, è il nostro tempo.

Noi ci abbiamo creduto davvero e ci abbiamo creduto così forte che abbiamo insieme realizzato questo sogno. Facciamo in modo che sia soltanto l’inizio.

Grazie grazie [Applauso]

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“Da un anno sono possessore di una auto Full Electric di ultima generazione: una Peugeot E-208 con una batteria da 50 KWh. Mi sono fatto convincere dalle fandonie raccontate sul fatto che le auto elettriche sarebbero molto più convenienti di quelle con motore termico. Ebbene, posso dire con certezza, scontata sul mio portafogli, che le auto elettriche sono una colossale fregatura. L'Unione Europea, non ho ben capito con quale logica e per quale interesse, spinge fortemente per la conversione totale della mobilità dal termico all'elettrico. I principali argomenti per convincere gli utenti a passare all'elettrico sono la scelta ecologica ed il risparmio. Quanto alla valenza ecologica dei motori elettrici, non ho gli elementi per affermare se sussiste veramente ma ho seri dubbi anche in considerazione dell'enorme problema relativo allo smaltimento delle batterie esauste. Per quanto riguarda invece la assoluta antieconomicità delle auto elettriche, e, problema di non secondaria importanza, la loro faticosissima fruibilità, ebbene qui ho solo certezze, raggiunte dopo un anno di calvario, sia pratico che economico. Innanzitutto voglio spendere una parola sulla indegna malafede speculativa rappresentata dal costo addebitato all'utente per la energia erogata dalle colonnine pubbliche. A fronte di un costo medio della energia domestica pari ad € 0,52/KWh, ho dovuto riscontrare che per le ricariche alle colonnine pubbliche viene praticato un costo pari ad euro 0,89/KWh, ovvero quasi il doppio. Riguardo poi alla infruibilità delle auto elettriche, faccio presente che i motori elettrici di nuova generazione necessitano di batterie con una capacità di almeno 40kwh, che, a causa della rilevanza di tale capienza, necessitano di essere ricaricate quasi esclusivamente presso i punti di ricarica veloce visto che, con una ricarica lenta, per raggiungere il 100% ci vorrebbero almeno 14 ore. Quindi il problema della scarsissima disponibilità di punti di ricarica pubblici viene enormemente acuito dalla necessità di accedere esclusivamente ai punti di ricarica veloce, che sono circa il 20% della totalità. Da ciò deriva che se devi fare un viaggio, o ti prendi due giorni per fare 400 km oppure ti fermi almeno un paio di volte per ricaricare nelle postazioni di ricarica veloce, con una attesa per ogni ricarica di minimo un'ora (purtroppo anche la storia che con 20 minuti si raggiunge l'80% della ricarica è un'altra fandonia: ce ne vogliono almeno 40). Si aggiunga poi che sulla rete autostradale italiana i punti di ricarica veloce sono rarissimi, il che significa che ogni volta che si ha bisogno di ricaricare si deve uscire dall'autostrada e percorrere a volte diversi chilometri aggiuntivi per raggiungere la postazione. In sostanza un viaggio che con un motore termico richiederebbe tre ore di percorrenza, con un motore elettrico, se si è fortunati a trovare le colonnine funzionanti e libere, se ne impiegano almeno sei! Veniamo ora alla tanto sbandierata “economicità” delle auto elettriche. Mettiamo a paragone una piccola utilitaria con batteria da 40kWh ed autonomia di 170 km (che è la reale autonomia su percorso extraurbano rispettando i limiti di velocità, alla faccia della autonomia di 350 km dichiarata dalla casa), con la stessa utilitaria con motore termico a benzina e Gpl: A) un “pieno” di energia effettuato collegandosi ad una utenza domestica costa € 20,80 (€ 0,52 x 40kwh = € 20,80); 😎 un “pieno” di energia effettuato collegandosi alle colonnine pubbliche costa € 35,60 (€ 0,89 x 40kwh = € 35,60); C) un pieno di 40 litri di benzina costa € 74,40 (€ 1,86 x 40lt = € 74,40); D) un pieno di 40 litri di Gpl costa € 29,44 (€ 0,736 x 40lt = € 29,44). Nel paragone va considerato un “piccolo particolare”: con un pieno di energia si percorrono al massimo 170 km, mentre con un pieno di benzina si percorrono almeno 680 km (considerando un consumo medio di 17 km/l) e con un pieno di Gpl se ne percorrono 560 (calcolando un consumo di 14 km/l). E qui casca l'asino: – costo a km di una ricarica domestica = € 0,122 (€ 20,80 ÷ 170km = € 0,122) – costo a km di una ricarica pubblica = € 0,217 (€ 35,60 ÷ 170km = € 0,209) – costo a km di un pieno di benzina = € 0,109 (€ 74,40 ÷ 680km = € 0,109) – costo a km di un pieno di Gpl = € 0,052 (€ 29,44 ÷ 560km = € 0,052). Quindi, tirando le somme, un pieno di carica elettrica alla colonnina costa il quadruplo di un pieno di GPL. Il tutto senza considerare che una auto elettrica costa il 30% in più rispetto ad una pari modello termica e che una auto termica può durare anche 15 anni mentre una auto elettrica all'esaurimento delle batterie o della garanzia sulle medesime(dopo non più di 8 anni) vale zero. Alla faccia delle “scelte ecologiche” per le quali subiamo pressioni da anni: facile così, tanto paga Pantalone. A questo punto si può giungere ad una sola conclusione: va bene il Green, il rispetto dell'ambiente, l'etica ambientalista, va bene tutto, ma non a spese nostre, non costringendoci a spendere il quadruplo, e, soprattutto, non speculandoci sopra perché quando si tratta di mettere mano al portafogli la gente non è stupida”.

(Da un utente del WEB)

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Cinquant’anni fa, quando ho partorito per la prima volta come giovane madre, pensavo che non ci potesse essere dolore più grande, ma l’ho dimenticato presto quando ho tenuto tra le braccia il mio bellissimo bambino. L’ho chiamato Julian.Ora mi rendo conto che mi sbagliavo. Esiste un dolore più grande. L’incessante dolore di essere la madre di un giornalista pluripremiato che ha avuto il coraggio di pubblicare la verità sui crimini governativi di alto livello e sulla corruzione.

Il dolore di vedere mio figlio, che ha cercato di pubblicare importanti verità, infangato a livello globale.

Il dolore di vedere mio figlio, che ha rischiato la vita per denunciare l’ingiustizia, incastrato e privato del diritto a un giusto processo legale, più e più volte.

Il dolore di vedere un figlio sano deperire lentamente perché gli sono state negate cure mediche e sanitarie adeguate in anni e anni di detenzione.

L’angoscia di vedere mio figlio sottoposto a crudeli torture psicologiche nel tentativo di spezzare il suo immenso spirito.

L’incubo costante che venga estradato negli Stati Uniti, per poi passare il resto dei suoi giorni sepolto vivo in completo isolamento.

La paura costante che la CIA riesca a realizzare i suoi piani per assassinarlo.

L’ondata di tristezza quando ho visto il suo fragile corpo crollare esausto per un mini-ictus nell’ultima udienza a causa dello stress cronico.

Molte persone sono rimaste traumatizzate vedendo una superpotenza vendicativa che usa le sue risorse illimitate per intimorire e distruggere un singolo individuo indifeso. Desidero ringraziare tutti i cittadini per bene e solidali che protestano a livello globale contro la brutale persecuzione politica subita da Julian.

Per favore, continuate ad alzare la voce con i vostri politici fino a quando sarà l’unica cosa che sentiranno.

La sua vita è nelle vostre mani.

Christine Assange

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Luigi Ciotti (Libera): “Notizia di cui essere felici, ma le mafie non sono soltanto i loro capi”

Abbiamo appena ricordato il trentesimo anniversario dell’arresto di Totò Riina, e oggi ci arriva la bella e confortante notizia dell’arresto, dopo trent’anni di latitanza, di Matteo Messina Denaro, una notizia di cui essere felici ed è giusto, anzi doveroso, il riconoscimento alle Forze di polizia e alla Procura, che per tanti anni, con sforzo e impegno incessanti, anche a costo di sacrifici, hanno inseguito il latitante.

Ciò che però un po’ preoccupa è rivedere le stesse scene e reazioni di trent’anni fa: il clima di generale esultanza, l’unanime plauso dei politici, le congratulazioni e le dichiarazioni che parlano di “grande giorno”, di “vittoria della legalità” e via dicendo. Non vorrei si ripetessero pure gli errori commessi in seguito alla cattura di Riina, e di Provenzano. Le mafie non sono riducibili ai loro “capi”, non lo sono mai state e oggi lo sono ancora di meno, essendosi sviluppate in organizzazioni reticolari in grado di sopperire alla singola mancanza attraverso la forza del sistema. Sviluppo di cui proprio Matteo Messina Denaro è stato promotore e protagonista, traghettando Cosa Nostra dal modello militare e “stragista” di Riina a quello attuale, imprenditoriale e tecnologico capace di dominare attraverso la corruzione e il “cyber crime” riducendo al minimo l’uso delle armi.

La sua latitanza è stata accompagnata anche dalla latitanza della politica indirettamente complice di quella di Messina Denaro: la mancata costruzione, in Italia come nel mondo, di un modello sociale e economico fondato sui diritti fondamentali – la casa, il lavoro, la scuola, l’assistenza sanitaria – modello antitetico a quello predatorio che produce ingiustizie, disuguaglianze e vuoti di democrazia che sono per le mafie di tutto il mondo occasioni di profitto e di potere. Ci auguriamo che all’arresto segua una piena confessione e collaborazione con la magistratura, che il boss di Cosa Nostra sveli le tante verità nascoste, a cominciare da quelle che hanno reso possibile la sua trentennale latitanza: non si sfugge alla cattura per trent’anni se non grazie a coperture su più livelli. Occorre che queste complicità emergano, anche perché solo così tanti famigliari delle vittime di mafie che attendono giustizia e verità avrebbero parziale risarcimento al loro lungo e intollerabile strazio. La lotta alla mafia non si arresta con Matteo Messina Denaro perché l’ultima mafia è sempre la penultima, perché il codice genetico della mafia affida alla sua creatura un imperativo primario: quello di sopravvivere. Ce n’è un’altra infatti che cova, ha sempre covato. Nei cambiamenti storici che sono avvenuti, ci sono sempre delle ceneri che ardono sotto. Dunque esultiamo pure per la cattura di Messina Denaro ma nella consapevolezza che l’arresto di oggi non è la conclusione ma la continuità di un lungo percorso, di una lotta per sconfiggere le mafie fuori e dentro di noi.

Luigi Ciotti

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Sabine Réthoré, una cartografa – artista francese, ha avuto un’idea geniale che ci può aiutare a dare uno sguardo diverso: ha creato una carta intitolata «Mediterraneo senza frontiere», girando la carta geografica di 90°, con il nord situato a destra, riscrivendo i nomi di città, regioni senza tracciare i confini: «Je n’ai pas dessiné les frontières qui nous divisent, mais les milliers de routes qui nous relient.» Il risultato è sorprendente. Il Mediterraneo non è più una linea con un sopra e un sotto divisi, ma un grande lago salato con due sponde speculari. Un mondo unito con due rive che si specchiano, si attirano, si chiamano… Due sponde che in fondo nella storia sono state necessarie l’una all’altra, osmotiche anche se a volte in conflitto. Cambio di prospettiva.

(Testo di Giulia Stenghele)

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“Mi rendo conto che c'è un'enorme confusione sul problema della mafia. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione.”

Così scriveva Giuseppe Fava, giornalista “scomodo”. Un giornalista che faceva troppe domande, indagava, trovava nessi impronunciabili tra mafia, potere economico e politica. E puntava il dito contro un vero e proprio “groviglio di serpenti”.

Dirigeva Il Giornale del Sud con coraggio e spirito libero, ma i suoi articoli contro la base missilistica di Comiso, le denunce contro i boss locali, il suo non piegarsi a nessun tipo di potere, gli attirarono le ostilità dei nuovi editori che lo licenziarono. Nuovi editori che, guarda caso, erano amici dei boss mafiosi di cui Giuseppe Fava scriveva.

La sua fede nella forza del giornalismo d’inchiesta lo portò a indebitarsi per fondare un suo giornale dove poter scrivere liberamente: I Siciliani. Qui accusò pubblicamente imprenditori e politici catanesi di essere collusi con la mafia, in particolare con il boss Nitto Santapaola. Non usava mezzi termini Giuseppe Fava, ma tutto questo negli anni Ottanta nessuno lo voleva sentire. Lui però continuava a scrivere quello che nessuno voleva dire e per questo pagò un prezzo troppo alto.

I soliti noti provarono a fermarlo, cercando di comprare il suo giornale. Ma Giuseppe Fava rifiutò decisamente, pur sapendo che il suo destino, probabilmente, era ormai segnato: “Tanto, lo sai come finisce una volta o l'altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e quello ti aspetta sotto casa”.

E purtroppo aveva drammaticamente ragione: Il 5 gennaio del 1984, uscito dalla redazione del suo giornale, salì in macchina. Doveva andare a teatro, ma un sicario della mafia (mandato da Nitto Santapaola, come accerterà la Corte di Cassazione nel 2003) lo uccise con cinque colpi di pistola.

Ucciso per quello che aveva avuto il coraggio di scrivere. Ennesima vittima della mafia, in un paese in cui dire la verità è sempre troppo pericoloso. Ma come scriveva Giuseppe Fava: “A che serve vivere, se non c’è coraggio di lottare?”

Oltre a essere un giornalista coraggioso Fava era anche uno scrittore, drammaturgo e saggista, e forse il modo migliore per ricordarlo è proprio attraverso i suoi tanti libri, non solo saggi sulla mafia ma anche testi teatrali e romanzi come Gente di rispetto o Prima che vi uccidano.

La farfalla della gentilezza

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Immagino come saranno contenti i professori universitari a sentire gli esponenti del governo che certificano l'inutilità di avere una laurea in tasca, tanto in Italia c'è solo lavoro per fare i camerieri, i lavapiatti, raccogliere pomodori e assistere la gente sulle spiagge.

Tanti genitori hanno sognato per i loro figli una laurea, come recitava Totò in Malafemmina: “nostro nipote è uno studente che studia, che si deve prendere una laurea e deve tenere la testa al solito posto...”.

Altri tempi, altra Italia, quando i genitori lavoravano quasi tutti, anche un solo componente per famiglia, e si mangiava benino, e si riusciva a mandare i figli a scuola, mentre li sognavano laureati, un riscatto sociale per i loro figli, per vederli realizzati nelle loro aspirazioni e non dover emigrare per un lavoro qualsiasi.

Questi nuovi personaggi che umiliano i laureati, forse perché loro hanno solo un diploma, come la Meloni, Durigon, Salvini, eppure sono sottosegretari, ministri, addirittura Presidenti del Consiglio, con una visione sul lavoro ottocentesca, immagino che per i loro figli non aspettino altro che farli assumere come camerieri e lavapiatti.

Io, certi personaggi li digerisco come le acciughe sott'olio. Mi stanno sul gozzo per tutti i privilegi dei loro parenti, dei loro figli, bravi o asini che siano e per solidarietà ai tantissimi giovani seri che hanno fatto mille sacrifici per laurearsi e avere un futuro migliore..

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