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Da leggere, rileggere, studiare e, soprattutto, condividere in ogni modo e con ogni mezzo, fare arrivare lontano, alla faccia di questa destra miserabile e neofascista che crede di poter cancellare la Storia

“Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola, Antifascismo, non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.”

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Sono caduta in un pozzo profondissimo, mi chiedo se ci sia uscita. Ma non ho dubbi su quale sia la parte giusta della storia. I mesi sono lunghi e accade che la bolla si trasformi in un buco nero che ti risucchia. Prendendo in prestito una metafora che leggerò parecchi mesi dopo in un bellissimo fumetto dedicato alle mie vicende – dice citando Zerocalcare – sono caduta in un pozzo profondissimo. Le pareti sono scivolose ed ogni volta che faticosamente cerco di compiere un breve passo per risalire appena un pochino, finisco sempre col precipitare più in profondità. A volte mi chiedo se questo pozzo abbia un fondo e se da qualche parte ci sia davvero un'uscita. Immagino di essere un piccolo geco, che nell'oscurità silente riesce a scalare le pareti. Già, devo scalare le pareti, ma qui purtroppo non ci sono i miei compagni di arrampicata e i legami di fiducia ben stretti sulla corda della sicura. Chiudo gli occhi e lancio lo sguardo oltre le mura di questo cieco carcere: scorgo le vicende di uomini e donne come ricambi in tessuti su arazzi che raffigurano storie più ampie. Storie di popoli, di culture, di lingue e di religioni. Storia di sistemi economici, politici e giuridici. Storie di ricchezza e di miseria, di potere, di sopraffazione e di sfruttamento. Storie di guerre e di eserciti. Storie di un mondo in cui ancora si uccidono bambini, in cui alle quarte d'Europa risuonano mitraglie che riecheggiano gli scempi del secolo scorso. Apro gli occhi e mi scorgono rannicchiata sulla grigia coperta, con lo sguardo fisso sulla porta di ferro della cella. Tutto mi appare semplice e lineare in queste vicende, come in molte altre, non può esserci alcun dubbio su quale sia la parte giusta della storia.

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Hitler e Mussolini sono vivi. Sono vivi quando deridete un omosessuale, quando lo emarginate, quando lo private della sua libertà, della sua dignità, del suo amore, dei suoi diritti, quando lo etichettate come «frocio», «finocchio», «ricchione», «checca», quando dite che «ci sono cose più importanti da affrontare».

Sono vivi quando criminalizzate i migranti, quando li aggredite, quando vorreste «mandarli tutti a casa», quando considerate il colore della pelle una colpa, quando iniziate a dire «io non ho nulla contro i neri, ma… se… forse…», quando rispondete con l’indifferenza o con il disprezzo alla povertà, al bisogno d’aiuto, quando vi dimenticate che il nostro Paese è così ricco perché, nel corso della storia, ha avuto una mescolanza di culture enorme.

Sono vivi quando discriminate le persone in base all’orientamento religioso, quando impedite ai musulmani di avere luoghi di culto e di pregare liberamente, quando li considerate tutti dei pericolosi estremisti, quando continuate a dire «sporchi ebrei», «islamici di merda», «Italia agli italiani», quando chiudete gli occhi dinanzi ad un’ingiustizia.

Sono vivi quando ridete della disabilità, quando schernite un diversamente abile, quando usate la parola «handicappato» come offesa da rivolgere a qualcuno.

Sono e saranno vivi finché la dignità di ognuno non verrà riconosciuta, finché i diritti e le conquiste dei «diversi» verranno considerati come la vittoria di una minoranza e non la vittoria dell’intera società.

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Oggi mi son fatto una bella rassegna stampa, dopo aver ascoltato ‘l’uomo dell’anno’ nell’incontro con i giornalisti di ieri mattina. Essa/o ha messo al centro temi come l’orgoglio nazionale, il premierato forte e l’incredibile crescita produttiva dell’Italia, unica dell’eurozona! Poi, sono andato a spulciare dati e informazioni sul tema economico che, quasi sempre, si rivela quello più sensibile all’elettorato pensante (ovvero quello che non si fa travolgera da ideologie, appartenenza e tifo da stadio) In soldoni:

Entrate: 1. Proroga (misura voluta dal governo Monti) del taglio del cuneo fiscale solo per i redditi fino a 35k annui e solo per il 2024, circa 100 ero medi (per il solo 2024). 2. Accorpamento aliquote Irpef per scaglioni più bassi con un aumento medio di euro 22 per i soli lavoratori fino a 28k annui 3. Canone tv passa da 90 a 70 euro 4. Welfare aziendale, detassazione fino al tetto max di 1000 euro su fringe benefit (auto aziendale, affitti, bollette pagate dai datori di lavoro) … platea interessata, difficilmente computabile 5. ecc.

Uscite: 1. rc auto +3,7% 2. tariffe telefoniche +8% 3. pedaggi autostradali +2,3% 4. Iva su seggiolini dal 5 al 22% 5. Iva su pannolini, latte e alimenti bambini dal 5 al 10% 6. Fine del mercato tutelato per gas e energia, si stima che il 95% delle famiglie pagherà di più 7. Aumento del 5% per quegli affitti che non adottano la cedolare secca 8. Prezzi al consumo, trasporti e banche

…chi vivrà (o sopravviverà) vedrà

https://www.corriere.it/economia/consumi/cards/aumenti-2024-cibo-trasporti-stangata-mille-euro-consumatori/ondata-rincari-porte_principale_amp.html

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Si trova a metà strada fra Gerusalemme e Tel Aviv il villaggio di Neve Shalom Wahat al Salam il cui nome, scritto sia in lingua ebraica che araba, significa Oasi di Pace. Fondato nel 1972 dal padre domenicano Bruno Hussar su un terreno concesso dal vicino monastero trappista di Latrun, nel 1977 ha visto il trasferimento della prima famiglia sulla collina che all’epoca non aveva né acqua corrente né elettricità. Oggi il villaggio ospita 70 famiglie, metà di fede ebraica e metà musulmane, che dedicano la loro vita alla costruzione di giustizia, pace e riconciliazione per la regione. Si tratta dell’unica comunità del Paese in cui ebrei e arabi, tutti di cittadinanza israeliana, vivono insieme per scelta e insieme fanno studiare i loro figli nell’asilo e scuola elementare bilingue che ospitano circa 270 bambini. Tra le altre iniziative della comunità vi è la Scuola per la Pace, che dalla sua fondazione nel 1979 ha offerto laboratori e corsi universitari per favorire il dialogo interculturale e interreligioso a circa 65.000 tra israeliani e palestinesi. Nell’ultimo comunicato del villaggio emesso a seguito dello scoppio delle ostilità tra Israele e Hamas si legge: “Continuiamo a incontrarci e a discutere della situazione. Per noi il dialogo e il confronto sono fondamentali. Dobbiamo ritrovare la strada per tornare ai valori umani, al rispetto e all’apertura al dolore, alle paure e alle reazioni degli altri”.


Fonte: https://wasns.org/working-for-peace-in-wartimehttps://www.oasidipace.org

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Questo signore, Stefano Bandecchi, nel 2022 è diventato sindaco di Terni. Lui, idee molto, molto, molto di dx è andato al ballottaggio con un altro di dx. Un truce-truce ha avuto la meglio su un truce. Alla maggioranza degli italiani piacciono tanto certi tipi. Arroganti, strafottenti, volgari, gente dalla parola sguaiata e decisa. Dopo 100 anni abbiamo ancora nostalgia di chi prometteva che avremmo spezzato le reni al mondo intero. Che tristezza! Gente che si innamora di simil Gaucci al quadrato o di certi Briatore al cubo. D’altronde la gente ama i politici che somigliano al loro modo di fare o dire. Quelli pronti a spaccare grugni a chi la pensa diversamente, quelli furbi, arrivisti. L’elettore si immedesima e dice: “Lo voto! Questo/a è come me.” Stessi vocaboli, stessi pensieri, quelli che si capiscono bene perché ti sono molto, molto, molto familiari.

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A ogni violenza sessuale, specie se raggiunge una grossa visibilità mediatica, puntualmente salta fuori qualcuno da destra che invoca la castrazione chimica. Salvini è da sempre particolarmente attivo in questo senso.

Lo slogan della castrazione chimica viene ripetuto continuamente da Salvini perché lo stesso Salvini sa che è efficace a livello appunto di slogan, in quanto fa leva sulla valenza inconscia del termine “castrazione”. Gran parte dell’elettorato leghista non ha la più pallida idea di cosa sia tecnicamente la castrazione chimica, ma apprezza la valenza semantica del termine castrazione perché la associa all’atto dell’evirazione, non certo del trattamento farmacologico.

Anzi, gran parte dell’elettorato di cui sopra probabilmente neppure ha idea che la castrazione chimica è un trattamento di tipo farmacologico, ma l’idea che ne ha soddisfa la propria pancia e per Salvini basta questo. Il suo risultato l’ha raggiunto.

Per chi ha voglia di approfondire un po’ la questione, sotto il post c’è un esaustivo articolo de Il Post (il cielo li abbia in gloria per come spiegano le cose) in cui si spiega cos’è la castrazione chimica e perché non serve per contrastare il dramma delle violenze sessuali (sostanzialmente, perché le violenze di genere degli “uomini” sulle donne hanno radici culturali e sociali, non biologiche).

https://www.ilpost.it/2023/08/21/la-castrazione-chimica-puo-essere-una-soluzione/

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Questo è un migrante di successo. Solanum tuberosum. La patata.

È arrivata ai primi del Seicento dal Sudamerica, il suo nome comune viene dal quechua, la lingua degli Inca. Insieme al suo compagno di viaggio, il pomodoro, ha rivoluzionato l’alimentazione in Europa e in Italia, salvando dalla carestia milioni di persone.

Entrambi, patata e pomodoro, ci hanno messo più di un secolo per entrare nell’uso comune. All’inizio sembravano stranezze esotiche, cose mai viste e mai mangiate, forse pericolose, forse velenose. Nessuno le voleva mangiare.

Molte fonti sostengono che fu Federico il Grande, re di Prussia, a metà del Settecento, a sdoganare definitivamente la patata. Con un espediente geniale. Cominciò a coltivare patate nell’orto reale e mise guardie armate a proteggerle, così tutti cominciarono a pensare che le patate fossero preziose, un cibo da re. Di notte andavano a rubarle e impararono a mangiarle e a piantarle.

Gli agrumi invece sono arrivati dall’Asia. I romani conoscevano il cedro, il limone e l’arancio amaro, che è quello più antico. La coltivazione dell’arancio moderno, simbolo della Sicilia, viene introdotta in Europa dai portoghesi solo nel Millecinquecento. Il mandarino arriva in Italia solo nell’Ottocento.

Nei giorni scorsi ci sono state polemiche molto accese sulla cucina tradizionale italiana, sulla sua identità. Tradizione e Identità sono temi molto cari a questo governo. Come si addice a un governo nazionalista, intende battersi per l’italianità del cibo, della lingua, dei costumi, contrapposta a quelli che un progetto di legge di Fratelli d’Italia per la difesa della lingua chiama “forestierismi”. Forestiero è un termine che non sentivo da un bel pezzo. Significa: gente o roba che viene da fuori.

Eppure la patata, che fu forestiera per eccellenza, ormai è italianissima. E lo è perché l’identità e la tradizione, che sono cose importanti, mutano. Si evolvono. Si adattano. Si arricchiscono attraverso l’esperienza, la contaminazione, il cambiamento.

L’idea che l’identità, della cucina italiana come dell’Italia intera, sia qualcosa di definitivo, di cristallizzato, qualcosa che può addirittura essere stabilita per legge, non è neanche sbagliata. È insensata. È come voler mettere in un museo qualcosa di vivo. È come cercare di imbalsamare qualcosa che si muove.

Marcello Veneziani, un intellettuale di destra come ce ne sono pochi, purtroppo, dice che “la tradizione non è culto del passato, ma senso della continuità e gioia delle cose durevoli”. La definizione è bellissima. A patto che la si esponga, la gioia delle cose durevoli, al sole e al vento, la si faccia respirare, e non la si lasci ammuffire in fondo a un cassetto.

La cucina italiana, intesa come insieme di ricette, ingredienti, cultura del convivio, è una delle meraviglie del nostro Paese. Dobbiamo difenderla. Ma non la si difende trasformandola in un pezzo da museo. La si difende prima di tutto avendo cura – e questo è compito della politica – che i contadini non siano sfruttati, o derubati dalla grande distribuzione. Poi facendo attenzione a cosa mettiamo nel piatto, alla qualità degli ingredienti, alla quantità di chimica e di farmaci che rischiamo di ingoiare se non stiamo in guardia.

Io mi sento italianissimo anche quando mangio il sushi, con il quale non bevo il saké giapponese, ma Vermentino sardo, o Ribolla del Friuli. Contaminazione, appunto. La farina di insetti, criminalizzata dal governo come accadde, quattro secoli fa, alla patata, in sé non mi fa nessuna paura, è un cibo naturale quanto i gamberetti. Proteine disponibili in natura. Mi fa molta più paura avere paura dei forestieri, delle persone e delle cose che arrivano da fuori. È una paura sterile, gretta, poco vitale. Blocca lo stomaco, blocca l’appetito. Se Federico il Grande si presenta alle prossime elezioni, con la patata nel simbolo, io voto per lui.

  • Michele Serra

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Care tutte e cari tutti, ce l’abbiamo fatta. Abbiamo vinto.

Vi sono immensamente grata perché insieme abbiamo fatto una piccola grande rivoluzione. Anche stavolta non ci hanno visto arrivare.

Il popolo democratico è vivo. E’ vivo, c’è ed è pronto a rialzarsi. E lavoreremo su questa fiducia: è un mandato chiaro a cambiare davvero, come abbiamo detto in queste settimane. Volti, metodo e visione. Con una linea chiara che metta al centro il contrasto a ogni forma di diseguaglianza, il contrasto alla precarietà per un lavoro di qualità, per un lavoro dignitoso e anche per affrontare con la massima urgenza e serietà l’emergenza climatica.

Parte davvero da noi. Abbiamo visto oggi per ricostruire fiducia e credibilità dove si è spezzata in questi anni.

Un popolo oggi possiamo dire che si è riunito, finalmente, e ha risposto alla nostra chiamata.

È la maggiore responsabilità che abbiamo: non tradire mai questa fiducia.

Abbiamo fatto da ponte tra il dentro e il fuori, per liberare le energie migliori. Ma anche un ponte intergenerazionale. Mi hanno molto colpita i messaggi di alcune donne di più di 100 anni, che oggi sono andate a votare per me e che hanno detto che erano 90 anni che aspettavano di votare per una segretaria.

Ma voglio pensare anche alle tante e ai tanti giovani che hanno oggi espresso il loro primo voto e che hanno messo il loro primo impegno in questa sfida collettiva.

Sento che è il momento di ringraziare, perché da questa meravigliosa esperienza, da questo lungo viaggio da sud a nord del nostro paese, passando per le isole, è molto più quello che ho ricevuto di quello che ho dato.

E prima di ringraziare vorrei che dessimo un messaggio di grande vicinanza, di solidarietà, di affetto alla famiglia di Daniele Nucera, scrutatore che purtroppo oggi si è spento durante il nostro grande esercizio di democrazia.

Voglio ringraziare la comunità democratica, l’unica che dopo la sconfitta di settembre ha scelto di rimettersi in discussione aprendo questo processo di partecipazione che si è concluso oggi con questo straordinario esercizio di democrazia aperto a tutta la società.

Voglio ringraziare il segretario uscente Enrico Letta, che ho sentito poco fa, e tutta la segreteria. Ci siamo sentiti. Ci accorderemo domani (lunedì 27, ndr) per il passaggio di consegne.

Un ringraziamento molto speciale e sentito a tutte le iscritte e gli iscritti, le volontarie e i volontari che oggi ci hanno permesso, lavorando ai seggi dalla mattina presto fino alla sera tardi, di esercitare il nostro diritto di voto, di fare queste primarie.

Non c’è mai niente di scontato in questo sforzo e l’hanno fatto non solo in ogni gazebo e seggio d’Italia ma voglio ricordare anche in particolare quelli che l’hanno fatto all’estero, la nostra comunità democratica all’estero che si è tanto spesa.

E’ stata una straordinaria festa di partecipazione, è il nostro inizio di risposta al picco di astensionismo che purtroppo abbiamo visto anche in questa città (Roma, ndr) alle ultime regionali. Ma l’abbiamo visto in tutta Italia, con un record di astensione alle ultime elezioni politiche. Ecco questa è la miglior risposta: rimetterci in cammino, rimetterci in gioco e ricominciare a partecipare.

Ma vi vorrei chiedere un impegno: noi dobbiamo avere l’ossessione delle persone che oggi comunque non hanno partecipato, di quelle che alle ultime elezioni non si sono espresse. Perché tra quelle persone ci sono purtroppo soprattutto le fasce di reddito più basse e questo vuol dire una crisi della democrazia e il rischio di una marginalizzazione permanente delle fasce più povere della nostra società. Ecco, a questo vi chiedo di continuare a rivolgere la nostra attenzione.

Un ringraziamento naturalmente lo vorrei fare, molto sentito, e ne vedo tante e tanti qui intorno, ma anche in tutta Italia, a tutti i nostri straordinari comitati “Parte da noi”. A tutte le sostenitrici e sostenitori che si sono spesi con una passione, con una determinazione, con una competenza veramente straordinarie e che mi commuovono tanto. Militanti da sempre impegnati in questo partito accanto a persone che sono rientrate dopo tanti anni di disillusione, di delusione, di poca motivazione, insieme a giovani alla prima esperienza politica che hanno scelto di farla con noi.

Un grazie di cuore lo voglio fare alla squadra nazionale della mozione Schlein e al mio team, senza i quali tutto questo non sarebbe stato davvero possibile. Vi ringrazio tutte, vi ringrazio tutti, perché in questo lungo viaggio mi avete tenuta in piedi, ecco, con 4/5 comizi al giorno altrimenti sarei stramazzata al suolo.

Siete la mia e la nostra speranza e soprattutto saremo un bel problema per il governo di Giorgia Meloni, perché da oggi noi daremo un contributo a organizzare l’opposizione in Parlamento e in tutto il paese a difesa di quell’Italia che fa più fatica, a difesa di quei poveri che il governo colpisce e che non vuole vedere, di lavoratrici e lavoratori precari sfruttati, per alzare i salari e per alzare le loro tutele, la sicurezza sul lavoro.

Anche per difendere la scuola pubblica come primo grande strumento di emancipazione sociale nel momento in cui il governo tace su un’aggressione squadrista davanti ad una scuola. Noi saremo al fianco degli studenti e delle studentesse e non li faremo passare. Non li faremo passare.

E saremo qui a fare le barricate contro ogni taglio o privatizzazione della sanità pubblica universalistica. Perché stanno già tagliando. Perché quando una manovra non mette un euro in più sulla sanità a fronte di un’inflazione così alta, non è una scelta neutra. Stanno già tagliando i servizi alle persone.

Ecco, mi viene in mente che in questo viaggio a un certo punto sono stata a Siracusa e che quello stesso giorno, poco distante da lì, a Pachino, è morto un ragazzo della mia età, 38 anni, perché al pronto soccorso non c’erano sufficienti medici per curarlo.

Noi non possiamo essere quest’Italia. Lo dico proprio oggi, lo dico proprio oggi con un’altra strage nel mare davanti a Crotone. Che pesa sulle coscienze di chi solo qualche settimana fa ha voluto approvare un decreto che ha la sola finalità di ostacolare il salvataggio in mare quando invece ci vorrebbero vie legali e sicure per l’accesso a tutti i paesi europei. E ci vorrebbe una Mare Nostrum Europea, una missione umanitaria di ricerca e soccorso in mare.

Così come saremo al fianco di chi lotta per la giustizia climatica accanto a quella sociale, perché non abbiamo più molto tempo per invertire la rotta, perché il giorno in cui abbiamo già consumato tutte le risorse che il pianeta è in grado di rigenerare arriva sempre prima: arriva luglio, e per il resto dell’anno siamo a debito con il pianeta e con le prossime generazioni.

Quindi saremo a lavorare per una vera, profonda conversione ecologica che accompagni tutta la società e tutti i settori dell’economia.

Ecco questo vogliamo fare. Lo vogliamo fare per le aree interne e montane troppo spesso dimenticate dalle politiche che si fanno a livello nazionale.

E vorremmo essere i peggiori avversari di quella paura di futuro che colpisce soprattutto tante e tanti giovani.

Ecco, lo voglio dire, perché saremo quel partito che non si dà pace finché non avremo posto un limite alla precarietà o un limite ai contratti a tempo determinato, finché non avremo abolito gli stage gratuiti, lottato per portare a casa il salario minimo. E lo dico già da ora, l’ho detto in queste settimane, ci rivolgeremo a tutte le altre opposizioni per fare questa battaglia insieme, per dire che sotto una certa soglia non è lavoro: è sfruttamento.

Un messaggio molto forte e molto caloroso lo voglio mandare a Stefano Bonaccini, ringraziandolo e facendogli i complimenti. Ringraziandolo anche per il confronto molto alto e rispettoso che abbiamo avuto. E voglio ringraziare anche Gianni Cuperlo e voglio ringraziare anche Paola de Micheli. Voglio ringraziare anche tutti i loro sostenitori, perché da domani lavoreremo insieme nell’interesse del paese e nell’interesse del partito.

Lavoreremo per l’unità. Non possiamo permetterci altro.

Lavoreremo per l’unità e posso garantire già da oggi che il mio impegno sarà quello di essere la segretaria di tutte e di tutti indistintamente. Questo ci aspetta, questa è la responsabilità che abbiamo e soltanto così noi lavoreremo insieme per tornare a vincere, presto, insieme.

Questo chiedo anche loro di fare, perché mi spetta una grande una grande responsabilità che è quella di tenere insieme la nostra comunità, che oggi ha dato un segno straordinario di vivacità.

Ci spetta di tenere insieme le sue storie, di tenere insieme le culture che hanno forgiato questo partito ma senza rinunciare a indicare una direzione chiara, che è quella che è stata scelta e che oggi è stata premiata dalle elettrici e dagli elettori che si sono recati alle urne per votare.

Ecco, io vi chiedo e chiedo loro di scommettere una volta in più e ancora e di entrare presto anche a far parte di questa nostra comunità democratica: le porte sono aperte, sono spalancate.

Dobbiamo ricucire le fratture che si sono prodotte in questi anni. Siamo qui per questo e vi chiediamo di sostenere il cambiamento che vogliamo realizzare perché l’abbiamo sempre detto: un cambiamento così profondo del partito e del paese non passa solo dalla testa.

Non basto io, è un cambiamento che funziona soltanto se ciascuna e ciascuno di noi ci mette un pezzo di sé a generare cambiamento tutto intorno. Ecco questo è l’impegno che noi ci siamo presi e così noi vogliamo lavorare.

Per concludere, voglio dedicare questa vittoria davvero a tutte e tutti voi, perché è vostra, perché è vostra e perché l’abbiamo fatta insieme. Voglio dedicarla però soprattutto alle donne e ai giovani che, vedremo i dati ma ho l’impressione da quello che mi hanno raccontato dai seggi in tutta Italia, abbiano dato un contributo straordinario a questa vittoria. Hanno raccolto il nostro appello a ricostruire insieme, rivolto a loro, troppo spesso schiacciati non solo dalla crisi economica e quella pandemica ma anche dalla politica e anche in questo partito.

Siamo qui per aprire quel varco, lo facciamo sul serio. Abbiamo già iniziato a farlo. Siamo qui pensando a quella ragazza a cui voglio dedicare una parte di questa vittoria, perché quando ci siamo incontrati aveva detto che a una prima riunione di partito qualcuno le aveva chiesto: “Di chi sei?”. Ecco, la miglior risposta è oggi. Da oggi è solo di se stessa, è solo di se stessa, come tutti noi.

Voglio pensare a una donna, a una grande attivista e combattente Marielle Franco, che ha ispirato l’azione di tante e tanti di noi, un’attivista uccisa in Brasile. Voglio pensare però anche ad alcune persone che purtroppo non ci sono più e che vi chiedo di ricordare insieme in un momento così importante come quello di stasera.

Il primo è un amico, un collega, un compagno di lavoro al Parlamento Europeo che purtroppo si è spento proprio oggi e che è Curzio Maltese, grande giornalista. Voglio salutare la famiglia, ci siamo visti a Firenze qualche giorno fa, di Alberto Brasca che purtroppo si è spento qualche giorno fa e non ha potuto gioire con noi di questa vittoria. Voglio salutare, se mi stanno sentendo, anche i genitori di un altro compagno straordinario, amico, attivista pugliese che si è spento qualche anno fa amico di tanti di noi: Gian Claudio Pinto e con lui Antonio Prisco, uno di coloro che hanno contribuito a organizzare la protesta, il primo sciopero dei Rider in questo paese.

Siamo qui anche per scrivere le nuove tutele del lavoro digitale. E’ una responsabilità grande che spetta alla nostra generazione.

E da ultimo voglio ricordare chi ha condiviso con me il sogno di un’Europa federale: Antonio Megalizzi, ucciso nell’attentato a Strasburgo qualche anno fa.

Ecco, è il nostro tempo. Guardate, l’avevamo detto all’inizio di questa sfida, quando ancora in pochi ci credevano, è il nostro tempo.

Noi ci abbiamo creduto davvero e ci abbiamo creduto così forte che abbiamo insieme realizzato questo sogno. Facciamo in modo che sia soltanto l’inizio.

Grazie grazie [Applauso]

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“Da un anno sono possessore di una auto Full Electric di ultima generazione: una Peugeot E-208 con una batteria da 50 KWh. Mi sono fatto convincere dalle fandonie raccontate sul fatto che le auto elettriche sarebbero molto più convenienti di quelle con motore termico. Ebbene, posso dire con certezza, scontata sul mio portafogli, che le auto elettriche sono una colossale fregatura. L'Unione Europea, non ho ben capito con quale logica e per quale interesse, spinge fortemente per la conversione totale della mobilità dal termico all'elettrico. I principali argomenti per convincere gli utenti a passare all'elettrico sono la scelta ecologica ed il risparmio. Quanto alla valenza ecologica dei motori elettrici, non ho gli elementi per affermare se sussiste veramente ma ho seri dubbi anche in considerazione dell'enorme problema relativo allo smaltimento delle batterie esauste. Per quanto riguarda invece la assoluta antieconomicità delle auto elettriche, e, problema di non secondaria importanza, la loro faticosissima fruibilità, ebbene qui ho solo certezze, raggiunte dopo un anno di calvario, sia pratico che economico. Innanzitutto voglio spendere una parola sulla indegna malafede speculativa rappresentata dal costo addebitato all'utente per la energia erogata dalle colonnine pubbliche. A fronte di un costo medio della energia domestica pari ad € 0,52/KWh, ho dovuto riscontrare che per le ricariche alle colonnine pubbliche viene praticato un costo pari ad euro 0,89/KWh, ovvero quasi il doppio. Riguardo poi alla infruibilità delle auto elettriche, faccio presente che i motori elettrici di nuova generazione necessitano di batterie con una capacità di almeno 40kwh, che, a causa della rilevanza di tale capienza, necessitano di essere ricaricate quasi esclusivamente presso i punti di ricarica veloce visto che, con una ricarica lenta, per raggiungere il 100% ci vorrebbero almeno 14 ore. Quindi il problema della scarsissima disponibilità di punti di ricarica pubblici viene enormemente acuito dalla necessità di accedere esclusivamente ai punti di ricarica veloce, che sono circa il 20% della totalità. Da ciò deriva che se devi fare un viaggio, o ti prendi due giorni per fare 400 km oppure ti fermi almeno un paio di volte per ricaricare nelle postazioni di ricarica veloce, con una attesa per ogni ricarica di minimo un'ora (purtroppo anche la storia che con 20 minuti si raggiunge l'80% della ricarica è un'altra fandonia: ce ne vogliono almeno 40). Si aggiunga poi che sulla rete autostradale italiana i punti di ricarica veloce sono rarissimi, il che significa che ogni volta che si ha bisogno di ricaricare si deve uscire dall'autostrada e percorrere a volte diversi chilometri aggiuntivi per raggiungere la postazione. In sostanza un viaggio che con un motore termico richiederebbe tre ore di percorrenza, con un motore elettrico, se si è fortunati a trovare le colonnine funzionanti e libere, se ne impiegano almeno sei! Veniamo ora alla tanto sbandierata “economicità” delle auto elettriche. Mettiamo a paragone una piccola utilitaria con batteria da 40kWh ed autonomia di 170 km (che è la reale autonomia su percorso extraurbano rispettando i limiti di velocità, alla faccia della autonomia di 350 km dichiarata dalla casa), con la stessa utilitaria con motore termico a benzina e Gpl: A) un “pieno” di energia effettuato collegandosi ad una utenza domestica costa € 20,80 (€ 0,52 x 40kwh = € 20,80); 😎 un “pieno” di energia effettuato collegandosi alle colonnine pubbliche costa € 35,60 (€ 0,89 x 40kwh = € 35,60); C) un pieno di 40 litri di benzina costa € 74,40 (€ 1,86 x 40lt = € 74,40); D) un pieno di 40 litri di Gpl costa € 29,44 (€ 0,736 x 40lt = € 29,44). Nel paragone va considerato un “piccolo particolare”: con un pieno di energia si percorrono al massimo 170 km, mentre con un pieno di benzina si percorrono almeno 680 km (considerando un consumo medio di 17 km/l) e con un pieno di Gpl se ne percorrono 560 (calcolando un consumo di 14 km/l). E qui casca l'asino: – costo a km di una ricarica domestica = € 0,122 (€ 20,80 ÷ 170km = € 0,122) – costo a km di una ricarica pubblica = € 0,217 (€ 35,60 ÷ 170km = € 0,209) – costo a km di un pieno di benzina = € 0,109 (€ 74,40 ÷ 680km = € 0,109) – costo a km di un pieno di Gpl = € 0,052 (€ 29,44 ÷ 560km = € 0,052). Quindi, tirando le somme, un pieno di carica elettrica alla colonnina costa il quadruplo di un pieno di GPL. Il tutto senza considerare che una auto elettrica costa il 30% in più rispetto ad una pari modello termica e che una auto termica può durare anche 15 anni mentre una auto elettrica all'esaurimento delle batterie o della garanzia sulle medesime(dopo non più di 8 anni) vale zero. Alla faccia delle “scelte ecologiche” per le quali subiamo pressioni da anni: facile così, tanto paga Pantalone. A questo punto si può giungere ad una sola conclusione: va bene il Green, il rispetto dell'ambiente, l'etica ambientalista, va bene tutto, ma non a spese nostre, non costringendoci a spendere il quadruplo, e, soprattutto, non speculandoci sopra perché quando si tratta di mettere mano al portafogli la gente non è stupida”.

(Da un utente del WEB)

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