Il possibile e il necessario
Avicenna / Testi
Nella sesta sezione della Metafisica Avicenna presenta la distinzione, fondamentale nel suo pensiero, tra ciò che è possibile e ciò che è necessario.
Torniamo a ciò di cui stavamo trattando, dicendo che ogni necessariamente esistente, come ogni possibilmente esistente, ha alcune sue proprietà. Le cose che rientrano nell’esistenza possono subire nell’intelletto due divisioni; fra di esse, infatti, vi è qualcosa che, considerato in se stesso, ha un’esistenza non necessaria – ma è manifesto [1] che la sua esistenza non è neppure impossibile, altrimenti non sarebbe rientrato nell’esistenza – e questo qualcosa è nel dominio del possibile; e vi è poi qualcosa che, considerato in se stesso, ha un’esistenza necessaria. Ora, diremo: quel che per sé è necessariamente esistente non ha causa, mentre quel che per sé è possibilmente esistente ha causa: il necessariamente esistente per sé è necessariamente esistente da tutti i punti di vista e non è possibile che la sua esistenza sia omologa ad un’altra esistenza, così che ognuna delle due sia equivalente all’altra nella necessità dell’esistenza e che le due si accompagnino necessariamente [l’una all’altra]; e non può affatto essere che il necessariamente esistente metta insieme la propria esistenza a partire da una molteplicità, né può essere che la realtà che gli appartiene sia partecipata [da altro], da nessun punto di vista, [e ciò] al punto tale che, dal fatto che riconosciamo valido tutto questo, consegue che il necessariamente esistente non è un relativo, e che non è mutevole, né molteplice, né associato [ad altro] nell’esistenza che gli è propria. Che poi il necessariamente esistente non abbia causa, è manifesto. Infatti, se per resistenza del necessariamente esistente vi fosse una causa, la sua esistenza sarebbe in virtù di essa: di ciò che esiste in virtù di altro, quando sia considerato in se stesso senza considerare quel che è diverso da esso, non si dà necessariamente un’esistenza e tutto ciò che, quando è considerato in se stesso senza considerare quel che è diverso da esso, è tale da non avere necessariamente un’esistenza, non è necessariamente esistente per sé. È evidente, infatti, che, se per il necessariamente esistente per sé ci fosse una causa, esso non sarebbe necessariamente esistente per sé; ed è perciò manifesto che il necessariamente esistente non ha causa. Avicenna, Metafisica, a cura di Olga Lizzini e Pasquale Porro, Bompiani, Milano 2002, sezione VI, pp. 85-87.
Note
[1] Evidente.