La scuola pitagorica

Pitagora. Le poche notizie storiche sulla vita di Pitagora sono immerse nella leggenda. Nato nell’isola greca di Samo, non lontana dalla costa turca, intorno al 570 a.C., sarebbe stato allievo di Ferecide di Siro, considerato uno dei sette sapienti greci. La tradizione riferisce di viaggi di formazione in Egitto e presso i Caldei (un popolo semitico della Mesopotamia) e i Magi, grazie ai quali avrebbe appreso le scienze, ma anche le più segrete dottrine religiose. Più attendibile è la notizia di un suo trasferimento a Crotone, in Calabria, dovuto alla sua insofferenza verso il potere del tiranno locale Policrate; qui fondò una scuola filosofica che ebbe grande successo anche politico e si diffuse in tutta la Magna Grecia, ma per ragioni non del tutto chiare incontrò una opposizione il cui momento culminante fu il massacro di molti filosofi con l’incendio di una casa nella quale erano riuniti. È incerto se ciò sia avvenuto prima o dopo il trasferimento di Pitagora a Metaponto, dove morì. Secondo la studiosa Maria Timpanaro Cardini questo massacro fu causato dai cambiamenti politici seguiti alla guerra vittoriosa contro Sibari, quando il ceto popolare aspirava ad un cambiamento democratico e ad una distribuzione delle terre, e individuava nei pitagorici un influente gruppo vicino agli aristocratici. La leggenda, raccolta dal filosofo neoplatonico Giamblico nella sua Vita pitagorica, considera Pitagora un essere divino, eccezionalmente bello, figlio di Apollo, mandato a correggere gli esseri umani e condurli verso il bene. Non mancano alcuni singolari miracoli attribuiti a lui. In viaggio da Sibari a Crotone si imbatté in alcuni pescatori che stavano ritirando le reti, predicendo il numero esatto dei pesci pescati. I pescatori contarono i pesci e scoprirono che erano esattamente quanti aveva previsto; quindi, su sua richiesta, lasciarono liberi tutti i pesci.1 Non è facile distinguere la teoria di Pitagora da quella dei suoi discepoli e successori; in particolare molte notizie sulla scuola vengono da Filolao, un pitagorico nato a Crotone e contemporaneo di Socrate. Più che di pensiero di Pitagora, bisognerà dunque parlare di pensiero della Scuola pitagorica.

Il numero. Il pensiero pitagorico mira alla liberazione dell’anima. Il suo presupposto è la concezione orfica che abbiamo già incontrato: esiste un principio spirituale che si incarna in diverse forme umane e animali, ciclicamente, impigliato nella realtà materiale e nella prigione del corpo. La liberazione può avvenire attraverso due vie, che nel pitagorismo sono intimamente legate: la conoscenza della struttura profonda della realtà e una pratica di vita pura, fondata sulla rinuncia e il rigore morale. La prima via è quella più propriamente filosofica. Per i pitagorici l’essenza della realtà è il numero, e tutto il mondo è fatto di rapporti numerici, vale a dire di armonie. Lo scopo della conoscenza è proprio quella di cogliere la profonda armonia di tutto ciò che esiste grazie allo studio della matematica e della geometria. Nella visione pitagorica il numero non è tanto un concetto, quanto un simbolo pregno di rimandi alla stessa divinità. In essi si esprime una polarità originaria, quella tra il pari ed il dispari, vale a dire tra l’illimitato e il limitato. Rappresentando i numeri in modo concreto con dei sassolini, i numeri pari si configurano come linee parallele e dunque aperte, mentre nei numeri dispari si aggiunge un sassolino a chiudere il passaggio. Questo limite è, per la sensibilità greca, segno di stabilità e dunque di perfezione, mentre l’illimitato rappresentato dai numeri pari è segno di imperfezione e di negatività. A questa prima opposizione tra limitato e illimitato corrispondono diverse coppie di contrari, come quella tra luce e tenebra, tra maschio e femmina e tra bene e male. Il numero uno non è né pari né dispari, ma opera la trasformazione dei pari in dispari e viceversa, e rappresenta, nel suo essere al di là di ogni opposizione, l’origine di ogni numero. Una scoperta fondamentale dei pitagorici è quella dei rapporti tra musica e matematica, cui giunsero osservando che esistono intervalli misurabili tra i diversi suoni di una scala musicale. Ciò li spinse a cercare armonie e rapporti numerici in tutta la realtà, concependo l’universo come un sistema ordinato, per il quale Pitagora coniò il termine kosmos. Ai numeri sono ricondotti anche elementi ideali: secondo una testimonianza su Filolao, egli collegava ad esempio la mente al numero 7 e l’amore e l’amicizia all’8.2 Particolare importanza aveva la tetraktys, una rappresentazione geometrica, a forma di triangolo, della successione dei primi quattro numeri naturali, che formava il numero 10, considerato il numero perfetto.

La cosmologia. Essendo governato dal numero, l’universo dei pitagorici è un tutto ordinato, per indicare il quale sono i primi ad usare appunto la parola kosmos (ordine). L’universo è una sfera al cui centro c’è un fuoco originario (hestia), intorno al quale girano dieci corpi celesti: la terra, di forma sferica, e l’antiterra, un pianeta parallelo al nostro ma invisibile di cui i pitagorici ipotizzavano l’esistenza, poi la luna, il sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno e le stelle fisse. La terra compie un movimento di rotazione, ma non intorno al sole, bensì intorno al fuoco centrale dell’universo. Ogni corpo celeste è fissato a una sfera trasparente e ruota insieme ad essa. Tutto l’universo era circondato da un fuoco esterno, equivalente di quello centrale, oltre il quale c’era una infinita distesa di aria. Era convinzione dei pitagorici che le sfere dei corpi celesti emettessero un suono, benché non udibile all’orecchio umano; e dal momento che l’universo è caratterizzato da una perfetta armonia, questi suoni si compongono in modo da formare una vera sinfonia cosmica.

L’etica. Ai fini della liberazione dell’anima dal corpo, lo studio della natura della realtà è accompagnato da una vita ascetica, che comprendeva tra le altre cose l’astinenza dalle carni: per molto tempo il vegetarianesimo è stato chiamato vitto pitagorico. La Scuola era organizzata come una sorta di ordine monastico. I membri, distinti in matematici, coloro che avevano accesso alle conoscenze più avanzate, e acusmatici, semplici ascoltatori, erano tenuti a seguire un rigido codice morale, che includeva anche l’accettazione incondizionata dell’autorità del fondatore. Al di là del vegetarianesimo (presente però già, come abbiamo visto, nell’Orfismo) non sembra che l’etica pitagorica abbia introdotto particolari novità. Anche nell’etica predomina l’idea di armonia, non solo con la raccomandazione di rispettare l’ordine sociale, rispettando gli anziani e lo Stato, ma anche pensando i valori morali, primo fra tutti la giustizia, proprio come caratterizzati dall’armonia.

Note
1. Giamblico, La vita pitagorica, a cura di M. Giangiulio, Rizzoli, Milano 2001, I, VIII, p. 157.
2. Pitagorici antichi. Testimonianze e frammenti, a cura di M. Timpanaro Cardini, Bompiani, Milano 2020, p. 9.