I cristiani e la distruzione di Roma

Agostino d'Ippona / Testi

All'inizio del secondo libro de La città di Dio, Agostino sintetizza il primo libro dell'opera.

Poiché mi sono impegnato nel libro precedente a parlare della città di Dio ed a sviluppare questa grande opera con il suo aiuto, mi è toccato anzitutto oppormi a quelli che attribuiscono alla religione cristiana, che impedisce sacrifici empi in onore degli dèi, queste guerre che travagliano il mondo e soprattutto la recente distruzione di Roma ad opera di barbari; dovrebbero invece attribuire a Cristo il fatto che in suo nome, contro ogni diritto e costume di guerra, essi li hanno lasciati rifugiare liberamente nei luoghi sacri più ampi ed hanno rispettato in molte persone il titolo di servo di Cristo, vero che fosse o preso per paura, al punto da ritenere illecito nei loro confronti ciò che invece il diritto di guerra consentiva. Da qui è sorto il problema: perché i benefici divini giungono anche alle persone empie ed ingrate, e perché, allo stesso modo, le sofferenze che vengono dal nemico affliggono in uguale misura le persone pie e quelle empie? Per risolvere questo problema, che tocca diversi aspetti (e di solito interessa molti, se tutti i favori quotidiani di Dio o le sventure umane spesso cadono indistintamente e indifferentemente su chi vive bene e su chi vive male), mi sono dilungato alquanto, secondo le esigenze dell'opera intrapresa; questo soprattutto per consolare quelle donne sante e profondamente pure che hanno ricevuto violenza dal nemico, una violenza che ne ha rattristato la castità senza incrinarne la ferma determinazione, perché non diventi per loro insopportabile la vita, non avendo nulla di cui doversi vergognare. Successivamente, ho appena accennato a quelli che fanno chiasso con impudente protervia sui cristiani colpiti dalle avversità e specialmente sulla vergogna di quelle donne umiliate, sebbene pure e sante, risultando essi totalmente irriverenti e cattivi e ben più corrotti rispetto a quei Romani di cui si elogiano e si celebrano, anche per testimonianze storiche, molte doti illustri; anzi nemici dichiarati della loro gloria. Non c'è dubbio che costoro resero Roma, costruita e ingrandita per l'impegno degli antichi padri, più esecrabile nello splendore che nella rovina, perché quando fu distrutta crollarono legno e pietre, mentre nella loro vita crollò tutto ciò che sostiene ed arricchisce non un muro, ma un comportamento, mentre il loro cuore bruciava di una avidità più funesta del fuoco che bruciava le case di quella città. Con questi argomenti ho chiuso il primo libro. Mi sono poi impegnato a presentare i mali che quella città ha subito dalle origini, al suo interno e nelle province ad essa sottomesse, mali che attribuirebbero alla religione cristiana, se già allora la dottrina evangelica fosse stata presentata con una testimonianza estremamente libera, contro i loro dèi falsi e ingannatori. (Agostino d'Ippona, La città di Dio, a cura di Luigi Alici, Bompiani, Milano 2001, II, 2, pp. 128-129).


Lavoro sul testo

[a] Sintetizza il testo in quindici righe.