LA GRANDE SERA – Giuseppe Pontiggia
Un uomo scompare. Fine della trama. Sembra paradossale, ma ovviamente in un libro come questo (vincitore del Premio Strega nel lontano 1989) la trama non è l'elemento importante: fra le pagine si muovono (o restano fermi, in attesa) personaggi che arrivano dritti dalla Milano “da bere” degli anni '80, maschere di un'italianissima commedia dell'arte come l'amante dello scomparso, il fratello critico cinematografico fallito, la moglie, il pavido socio in affari, il potente industriale, lo psicanalista ciarlatano, eccetera. L'individualismo estremo pervade le personalità di ogni personaggio e i dialoghi si trasformano in specchi, in cui gli “attori” si riflettono l'un l'altro. Uno spaccato cupo, deprimente (sebbene satirico) di una società disinteressata alla sorte dell'altro, chiusa nella propria buia e triste solitudine materialista. I personaggi stessi, sempre pronti a giudicare malignamente gli interlocutori, scoprono di non sapere niente di quell'uomo svanito nel nulla. Quello che più salta all'occhio, durante la (faticosa) lettura del romanzo, è l'incedere della prosa: di aforisma in aforisma, infatti, la narrazione procede con continue frasi avversative, quasi a voler esprimere tutto e, subito dopo, il contrario di tutto, come in un lungo, estenuante esercizio di stile.