LETTERA ALLA MIA GATTA.

Cara Miù, è la prima volta che scrivo una lettera a un gatto. E, ti dirò la verità, non importa che tu non sappia leggere. So, infatti che voi animali capite ugualmente le cose percependo segnali e linguaggi che non sono fatti di parole. Tu lo sai, cara Miù: le parole sono quelle cose che noi umani amiamo usare per ingarbugliare tutto.

Ti sarai accorta, immagino, che da molto tempo non abito più a casa. Lo avrai capito dal fatto che, quando sporadicamente arrivavo a far visita, poi la sera, anziché sdraiarmi sotto le coperte del mio letto, me ne andavo via. Ecco, volevo rassicurarti sul fatto che non ho smesso di volerti bene, anche se adesso abito da un'altra parte, in un'altra casa. Sei sempre la mia gatta.

Ti ricordi, quando sei arrivata, come eri piccola? Io mi ricordo bene: eri un esserino tutto occhi e coda, tanto che io e mio fratello ti tenevamo in alto con una mano sola, come se fossi un trofeo appena vinto. Uno dei giochi più divertenti era prepararti la pallina di carta stagnola, farla rotolare sul pavimento e mollarti al suo inseguimento. A volte, prima di “sganciarti”, facevo anche finta di darti la carica, girandoti la coda come una manovella. Non ti sei mai accorta di nulla, concentrata com’eri sul tuo stroboscopico obiettivo. Un vero topo meccanico. Scusa per il paragone, che per una gatta dev’essere veramente umiliante, ma rende l’idea. Le palline di carta sono sempre state la tua passione e ossessione, tanto che ne hai immagazzinate a decine, nei tuoi nascondigli per la casa: sotto allo stereo, sotto al divano, sotto a qualunque cosa stesse ad almeno un centimetro dal pavimento. Poi, un giorno, al “padrone” viene in mente che deve pulire la casa, sposta lo stereo e cosa trova? Polvere. E gruppi di palline di carta. Palline di carta dappertutto.

Voi gatti siete furbi. L’umano tenta di addestrare il gatto e, alla fine del trattamento, risulta che il gatto ha addestrato l’umano. E questo non se ne è neanche accorto. Tu per esempio: ricordi la tua abitudine di arrivare la sera, non appena me ne andavo a dormire, e di esigere coccole, grattatine, carezze varie a suon di miagolii piccati e vibranti fusa? E poi? A dormire appallottolata sul mio braccio, che pretendevi fuori dalle coperte, tutto per te, un balcone su cui poggiare zampe e testolina pesantissime. E al mattino, al mio risveglio, non c’eri già più, perché eri a dormire da un’altra parte, su una poltrona, o addosso a qualcun altro (mio fratello). Sedotto, usato e abbandonato. Eppure. Sei sempre la mia gatta.

Sempre nervosa, tutta scatti, sempre all'erta, sempre di fretta. Anche nell'abbandonarci. Mia madre mi ha detto che hai fatto le valigie in fretta e furia. Mentre me lo diceva, povera mamma, piangeva al telefono. Io invece, ho resistito alle lacrime finché non ho riattaccato. Ancora adesso piango un po', perché mi manchi, anche se è passato tanto tempo. Non ho avuto neanche tempo di salutarti come meritavi, come meritava la nostra amicizia. Lo faccio ora con questa strana lettera, e ti sto parlando come se fossi ancora qui. Invece ti vedo: eccoti lassù. Le tue palline di carta adesso sono addirittura le stelle e i pianeti. Con quella tua zampina secca e tigrata ti starai divertendo un mondo a farli rotolare in giro per tutto il cielo. Dove nasconderai questi tuoi nuovi giochini?

Sei sempre la mia gatta.

Emanuele

P.S.: a proposito dell'addestramento, dovresti sapere che non riesco più a dormire senza mettere il braccio fuori dalle coperte.