LOLITA – Vladimir Nabokov
Di solito, il lettore medio si accosta alla lettura di questo libro pensando di insinuarsi voyeuristicamente nella morbosa e lubrica storia del maturo professore che intreccia una relazione proibita con una ragazzina disinibita. Certamente questo è ciò che immediatamente salta agli occhi in “Lolita”: lo scandalo, il peccato, l'oscurità mostruosa da cui l'occhio curioso non riesce ad allontanarsi. Invece, non appena si comincia a leggere, ecco la rivelazione: “Lolita” è un viaggio allucinato alla ricerca della perfezione della lingua, del fraseggio, della musicalità dell'espressione (tutto questo è percettibile anche attraverso la bella traduzione in italiano – per Adelphi, l'arduo compito è stato assolto con maestria da Giulia Arborio Mella). E lo si intuisce fin dal meraviglioso incipit¹, un gioiello di efficacia e bellezza che sembra la strofa di una canzone, che già contiene la potenza di tutto il romanzo, una lettera d'amore e di passione nei confronti della parola stessa. E la narrazione, durante il dipanarsi della vicenda, sperimenta vie diverse e si trasforma: da concreta e tangibile dei primi capitoli, sfuma gradualmente nell'onirico, e la conclusione si stempera in una nebbia di sogno, mutandosi in una spirale vorticosa in cui il protagonista, il professor Humbert, cade senza scampo. E poi c'è il libro, con tutti i suoi temi e le sue allusioni: Nabokov costruisce una storia sull'impossibilità di stabilire relazioni vere, basate sull'affetto reciproco, quando le fondamenta su cui il rapporto è costruito sono il possesso, il controllo e la violenza. La corruzione di Humbert, e la pretesa di avere Lolita in un modo perverso e innominabile, ne deforma l'innocenza e la purezza, si appropria della sua giovinezza e della sua identità stessa. Chi è, dunque, Lolita? Cosa “rappresenta”? È il simbolo dell'infanzia tradita? È forse la figura del desiderio di libertà e di autodeterminazione? Lolita è tutto questo, ed è soprattutto una nitida metafora dell'individuo soggiogato e riplasmato dall'autorità dittatoriale, ridotto a un “possedimento”, su cui il mostro reclama diritti e privilegi che in realtà non gli appartengono. Eccola, dunque, la vera abiezione di Humbert: è un orrore dalla doppia faccia, perché il professore parla con facondia in prima persona, cercando di sedurre il lettore e di giustificare la nefandezza delle sue azioni e dei suoi abietti impulsi. In questo modo, genera un contrasto alienante tra la simpatia che il personaggio sembra chiedere per sé, e il suo dolce e terribile abisso personale, ovvero la sua attrazione per le giovanissime “ninfette”, un tabù degno del più feroce stigma sociale. “Lolita” è un romanzo assoluto, profondo e vasto come un intero mondo, e, come ogni grande capolavoro che sia in grado di meritarsi il titolo di “pietra miliare della letteratura”, è capace di scuotere il tranquillo e rassicurante senso comune, per sconvolgere l'etica, la morale e la coscienza. . ¹ Lolita, light of my life, fire of my loins. My sin, my soul. Lo-lee-ta: the tip of the tongue taking a trip of three steps down the palate to tap, at three, on the teeth. Lo. Lee. Ta. Anche questo particolare contribuisce a stupire: come spiega nella sardonica postfazione, Nabokov ha scritto “Lolita” direttamente in inglese (e non nella sua amata lingua madre, il russo) per permettergli di essere annoverato nella letteratura americana.