Devendra Banhart — Mala (2013)

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Anche col titolo del disco, Devendra, non smentisce il suo stile; il saper “giocare” con i doppi sensi. Mala infatti, soprannome della sua fidanzata serba Ana Kras, significa “tenera” in serbo e “cattiva” in spagnolo, lingua usata spesso dal cantautore.

L’atmosfera di questo suo nono disco, non si discosta di molto da quella a cui ci ha abituato in questo decennio; una base folk con varie escursioni psichedeliche, latinoamericane e soprattutto in quest’ultimo, un abbondante uso del suono elettronico.

Considerato il cantautore più freak ed hippie in circolazione, Mala è stato registrato a Los Angeles e, come nei precedenti lavori, ha usato uno studio familiare, con attrezzature che di fedeltà ne hanno ben poca. Basti ricordare che in passato usò (anche) la segreteria telefonica come registratore… sigh!

Disco fedele al suo “essere”, Mala è prodotto da lui stesso insieme al suo chitarrista Noah Georgeson. “La voce tremante” del folk, incide dodici brani che variano, testualmente e quindi umoralmente a trecentosessantagradi. I brani sono superficiali e profondi, allegri e tristi, seri e ironici. A volte calmi e sereni, a volte tesi ed inquieti. Tutti comunque quasi mai banali.

Sicuramente il suo album più facile da ascoltare, il cantautore venezuelano-americano, strizza l’occhio a un pubblico più vasto, usando di base un suono più “leggero” e meno “tortuso” dei precedenti.

Senza confini e sfuggendo a logiche sonore, il disco si fa ascoltare senza particolari difficoltà. Abbastanza carico di “particolari” nascosti, si deve ascoltarlo diverse volte per poterlo apprezzare e scoprirlo a fondo.

Mala (ancora una volta) racchiude tutta la sua filosofia, tutto il suo universo sonoro. E’ un disco coerente quindi, con il suo pensiero e con la sua vita. Un album sincero che a tutti, purtroppo, non è dato essere.

#duemilatredici

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