Perché c'è una luce che non si spegnerà mai – Sinéad O'Connor

Andrew Catlin - 48 - 1988

La pronuncia irlandese di “Sinéad” è /ʃɪˈneɪd/ (”shin-eid”)

My name is Sinéad O’Connor. I am learning to love myself. I am deserving. I deserve to be treated with respect. I deserve not to be treated like dirt. I deserve to be listened to. I am a member of the human race. I deserve not to be hurt. My name is Sinéad O’Connor. I am a woman. I have something to offer. (Mi chiamo Sinéad O'Connor. Sto imparando ad amare me stessa. Sono meritevole. Merito di essere trattata con rispetto. Merito di non essere trattata come immondizia. Merito di essere ascoltata. Sono un membro della razza umana. Merito di non essere ferita. Il mio nome è Sinéad O'Connor. Sono una donna. Ho qualcosa da offrire.) Sinéad O'Connor – Irish Times 1993

Non sarò mai realmente in grado di trovare le parole giuste per esprimere quanto amassi la figura, la musica e l'arte di Sinéad O'Connor. La notizia della sua dipartita è stata per me devastante, poiché l'avevo scoperta esattamente nove mesi prima della sua morte. L'attenzione e la passione con la quale mi sono dedicato nello studio (perché “ascoltare” qui sarebbe riduttivo) di tutta la sua discografia non ha eguali per me con nessun altra artista. Non nascondo che in certi punti mi sentissi prossimo ad una relazione parasociale con lei, ma davvero non riuscivo a trovare un elemento di lei che non fosse per me affascinante, unico o incredibile. Su Sinéad O'Connor nel corso degli anni si è scritto tanto e in maniera molto irregolare, e in questa marea di opinioni condivisibili o non, io vorrei solo contribuire concentrandomi su ciò che mi ha sempre più colpito di lei. Non posso ignorare la sua vita privata perché in determinati punti essa è totalmente fusa con la musica e non può in alcun modo essere slegata da essa, ma allo stesso tempo non intendo pormi in mezzo a questioni personali o di gossip: Sinéad O'Connor viveva per cantare e cantava per vivere. Questa pertanto, è una monografia sulla sua musica.

Eroina

L'inizio della carriera musicale di Sinéad è abbastanza noto: già a 15 anni le fu proposto di cantare Take My Hand degli In Tua Nua. Alla fine la sua versione non fu mai pubblicata ed è andata perduta, ma il brano fu comunque rilasciato nel 1984 e Sinéad, essendo co-autrice, fu accreditata. Il vero debutto discografico di Sinéad fu però due anni più tardi, nel 1986, quando, assieme al chitarrista degli U2, The Edge, scrisse e cantò Heroine (di cui ho già scritto qui).

Il retro della copertina del singolo conteneva la prima foto pubblica di Sinéad, distinguibile già per il suo tratto estetico più noto: i capelli rasati a zero.

Retro della copertina di Heroine

La ragione dietro questo taglio così estremo è sempre stata dubbiosa: Sinéad in vita diede più spiegazioni anche conflittuali tra di loro, ma più che il “come” credo sia importante in questo caso il “fine”: Sinéad, rasandosi a zero, intendeva dare uno strappo a ogni senso tradizionale di femminilità e fare in modo che le persone si concentrassero più sulla sua musica che sulla sua persona. Paradossalmente però, questo gesto le attirò il grosso delle sue attenzioni iniziali, non sempre positive.

Il leone e il cobra

I will walk in the garden Feel religion within will learn how to run With the big boys will learn how to sink And to swim (Camminerò nel giardino Sentirò in me la religione imparerò a correre con i ragazzi più grandi imparerò ad annegare e a nuotare) Sinéad O'Connor – Just Like U Said it Would B

Considerato immediatamente come un classico, The Lion and The Cobra è sempre stato definito come la base della discografia di Sinéad O'Connor, dalla quale doveva obbligatoriamente diramarsi un'analisi di tutta la sua futura carriera, quando, in realtà, l'intero disco non è che un unicum. Composto quando la cantante aveva da poco compiuto 20 anni (con testi risalenti agli inizi della sua adolescenza), The Lion and The Cobra trova la sua unicità e la sua forza proprio nell'inesperienza di Sinéad, nella sua giovane età e nella sua ingenuità. Proprio queste doti la spinsero a concepire l'album come la chiave per la soluzione di tutti i suoi problemi: la perdita della madre, il trauma delle violenze subite da bambina e una forte ristrettezza economica (Sinéad era volata a Londra con in tasca solo l'anticipo della casa discografica). L'album però risolse solo l'ultimo dei problemi, mentre i primi due furono, al contrario, scoperchiati come un immenso vaso di Pandora e la vita privata di Sinéad divenne di dominio pubblico con tutte le conseguenze del caso.

The Lion and The Cobra si apre con l'ipnotica Jackie, che immediatamente getta nel calderone della poetica di Sinéad O'Connor il tema a lei più caro: la morte. Il brano è la narrazione del fantasma di una vedova sulla secolare attesa del ritorno del marito disperso in mare, in un'atmosfera cupa, composta da sintetizzatori, chitarre elettriche e voci distorte che Sinéad mai replicherà in nessuna opera successiva. A certificarne ancor di più l'anomalia all'interno della carriera di Sinéad, segue poco dopo Mandinka, che, oltre ad essere oggettivamente una delle sue migliori canzoni, è anche una delle poche orgogliosamente ottimiste. Se la produzione musicale emana gioia fin dal primo riff di chitarra di Marco Pirroni, il testo invece necessità di un po' più di attenzione, poiché a distanza di quasi quarant'anni non è ancora ben chiaro cosa lei volesse pienamente intendere. In vita, la cantautrice ha sempre dichiarato che l'ispirazione del brano gli fosse venuta da ragazzina dopo la lettura di Radici di Alex Haley (romanzo storico incentrato sulle origini di una famiglia di afroamericani) ma sul suo significato non si è mai dilungata. Alcuni hanno puntato su dei riferimenti alla mutilazione dei genitali femminili, su una generica critica al razzismo o su una metafora dell'industria discografica che già aveva provato più volte a mettere i bastoni nelle ruote a Sinéad. In ogni caso, non è importante, e probabilmente Mandinka non è che la reazione entusiasta di una quindicenne alla lettura di un romanzo che le è piaciuto particolarmente. Leggermente più cupi, ma comunque lontani dalla desolazione emotiva dei suoi lavori successivi, sono Just Like U Said it Would B e Jerusalem: i riferimenti al suo passato e al suo presente sono evidentissimi, e sono espressi con una furia tale che Sinéad smise di suonare questi brani immediatamente dopo il rilascio del suo secondo album. Mai eseguito in pubblico, o perlomeno mai ufficialmente registrato, è anche Drink before the War, dove le prestazioni vocali di Sinéad sono così assolutamente fuori da scala da mandare in crisi la strumentazione usata per registrarle, ma la motivazione dietro le sue pochissime esecuzioni non sta in problematiche tecniche: Sinéad odiava questo brano, che considerava troppo immaturo nel suo messaggio lirico. Il pezzo in assoluto più importante e straordinario, universalmente acclamato ed elogiato sia allora che oggi, è certamente Troy: un'anomalia nell'anomalia, in un album pieno di canzoni arrangiate con chitarre elettriche e percussioni rock, si erge questo brano orchestrale, ma non è l'accompagnamento sonoro a renderlo unico (Sinéad suonerà Troy accompagnata da un'orchestra solo una volta, nel 2008, mentre tutte in tutte le restanti occasioni avrà con sé solo una chitarra acustica): quello che rende straordinario Troy è l'intensità emotiva di Sinéad, poiché il brano è una confessione netta del più grande dramma di tutta la sua poetica e di tutta la sua vita: il rapporto con la madre.

L'undreground

The Lion and The Cobra si conclude con Just call me Joe, ed è proprio il parlare di questo brano che mi permette di concentrarmi su un altro aspetto molto peculiare e forse poco noto dell'album. The Lion and The Cobra, infatti, non fu un progetto totalmente “personale” come sarebbero stati certamente tutti i lavori successivi di Sinéad. La protagonista certamente è sempre lei, ma non si possono ignorare i contributi di John Reynolds, Fachtna Ó Ceallaigh e, soprattutto, John Maybury. Se i primi due si occuparono del lato musicale (Fachtna fu anche il primo manager di Sinéad), Maybury invece si occupò di tutto il lato artistico, dedicando anima e corpo all'aspetto visuale dell'album. Suoi sono infatti i videoclip di Mandinka, I Want Your Hands e Troy, quest'ultimo anticipato anche da un “cortometraggio” dalle tendenze alternative e undreground, futura ispirazione per la magnus opera di Maybury: The Value of Ignorance, il primo concerto ufficialmente registrato di Sinéad O'Connor, con uno stile sperimentale senza alcuna scenografia, con un illuminazione ridotta all'osso che pare far brillare di luce propria la bianchissima pelle di Sinéad, la quale si erge quasi da sola su un palco immerso in un buio totale, presagio involontario della carriera e della vita che le sarebbe aspettata.

Just Call me Joe

Ultimo tassello di The Lion and The Cobra è l'apocalittica Just call me Joe, brano peculiare per due motivi. Il primo è che fu scritto a quattro mani con Kevin Mooney, il secondo è che presenta una parte parlata da parte di Leslie Winer, una delle cantautrici e compositrici di musica elettronica più sottovalutate dello scorso secolo. La sua fama è così esigua, nonostante i suoi fattuali contributi al mondo della musica, che proprio questa partecipazione (tra l'altro non accreditata!) in The Lion and The Cobra rappresenta il picco di notorietà della sua carriera.

Per i curiosi, allego una monografia di Ondarock.

Il salto nel fiume

The Lion and The Cobra secondo le stime più ottimiste avrebbe dovuto vendere ventimila copie, ma nel giro di due anni arrivò quasi al milione. Il successo fu oltre le aspettative, ma non del tutto inatteso: Sinéad, non abituata e non desiderosa di abituarsi alle regole dell'industria, si lanciò ben presto in comunicazioni infuocate sulla situazione politica irlandese e sulla sua vita personale. Mandinka e Troy conquistarono gli Stati Uniti, a tal punto che il suo primo concerto a Boston fu inaugurato da una folla di irlandesi che irruppe nella sala stampa. Sinéad fu estasiata all'inizio da un tale successo e da tutte quelle attenzioni, ma ben presto incominciò anche a dimostrare una certa insofferenza che subito espresse nelle sue canzoni successive: in sostanza, le sembrava che a nessuno importasse realmente dei suoi brani, dei messaggi che voleva trasmettere e soffriva immensamente per la distanza con il suo primo marito, il già sopracitato John Reynolds, e il suo primo figlio Jake, concepito proprio durante la registrazione dell'album.

L'arrivo negli Stati Uniti fu, almeno agli inizi, un periodo molto stimolante per Sinéad. Se l'allora ventiduenne era in estasi per già l'immensa comunità rasta-giamaicana di Londra, l'ancor più estesa e ramificata comunità di New York la sconvolse, senza contare che si trattava di un ambiente (almeno alle apparenze) più liberale e meno bigotto di quello anglo-irlandese. Fu proprio qui che Sinéad registrò Jump in the River, aggiungendo come lato b del singolo una versione remixata del brano con l'artista “profana” Karen Finley

Hush-a-Bye-Baby

Each of these, My three babies, will carry with me. For myself, ask no one else will be Mother to these three. (Ognuno di questi tre bambini io portò con me Per volere di me stessa chiedo che nessun altro possa mai essere madre di questi tre) Sinéad O'Connor – Three Babies

Nel 1989 Sinéad prese parte alle riprese del film Hush-a-Bye-Baby. Una parentesi breve, ma cruciale per la futura carriera artistica della cantautrice. Sinéad inizialmente si inserì nella produzione come compositrice della colonna sonora, ma dopo la lettura del soggetto, il racconto di una ragazza di 14 anni che rimane incinta in un ambiente estremamente cattolico e conservatore, chiese di essere scritturata come attrice nel ruolo di una suora. Alla fine, la cantante interpretò il ruolo di “Sinéad”, una taciturna e devota ragazzina liceale, in quello che sarà il suo debutto cinematografico e il suo primo e unico ruolo attoriale di una certa importanza.

La partecipazione in Hush-a-Bye-Baby è importante nella carriera di Sinéad poiché coincide con il suo primo impegno dichiaratamente femminista (si ricorda che all'epoca in Irlanda erano illegali e perseguiti sia il divorzio, sia l'aborto che il matrimonio omosessuale), ma soprattutto perché è il primo accenno a quella che considero la terza tematica centrale della poetica di lei: la maternità. Morte, rapporto con la madre e maternità, questa è la “trinità” che serve per comprendere appieno Sinéad O'Connor, e non a caso è anche il titolo del brano che lei scrisse per la colonna sonora di Hush-a-Bye-Baby: Three Babies

Purtroppo, Hush-a-Bye-Baby all'epoca fu trasmesso esclusivamente in Irlanda del Nord e al festival di Locarno, per tale motivo il reale significato di Three Babies, la confessione da parte di Sinéad di aver subito tre aborti, non fu colto e rivelato da lei solo decenni dopo nelle sue memorie.

BP Fallon (Londra 1998)

Non voglio ciò che non ho

He thinks I just became famous And that' s what messed me up, But he's wrong. How could I possibly know what I want When I was only twenty-one? (Pensa che io sia diventata famosa e che ciò mi abbia incasinato, ma si sbaglia. Come potevo minimamente sapere cosa volessi, quando avevo solo 21 anni?) Sinéad O'Connor – The Emperor's New Clothes

Fino a questo momento, Sinéad continuava ad essere nota perlopiù tra gli appassionati ed entusiasti di musica rock, ma tutto prese un'altra piega quando agli inizi del 1989 Sinéad fu candidata ai Grammy Awards. Più che la nomina in sé, fu l'esibizione di Sinéad che, senza alcun tipo di scenografia se non il pigiama del figlio che “mi rimbalzava sul culo”, stregò tutto il pubblico con Mandinka. L'industria musicale, sorpresa da una reazione tanto entusiasta, quel giorno decise: Sinéad O'Connor sarebbe diventata la prima stella musicale degli anni 90'.

Il suo primo vero lavoro da cantautrice “professionista”, I Do Not Want What I Haven't Got era distante anni luce da The Lion and The Cobra ed era anche vero nucleo dal quale poi si sarebbe diramata l'intera carriera musicale di Sinéad. Al disco lavorarono tutti coloro che avevano aiutato Sinéad nei suoi primi anni: Marco Pirroni, Andy Rourke, Jah Wobble, John Reynolds e John Maybury.

L'album contiene 10 brani, ma solo sei di questi furono scritte da Sinéad e/o composti in un'unica sessione. Si tratta quindi di un lavoro “a metà”, che io considero essenzialmente uno “sfogo dello sfogo”: le rivelazioni di The Lion and The Cobra non avevano, come la cantautrice si aspettava, guarito le ferite del passato, ma semmai le resero ancor più dolorose ed evidenti. Con il brano di apertura, l'orchestrale Feel So Different, Sinéad si augura di andare avanti “accettando le cose che non posso cambiare” citando la preghiera della serenità, ma già solo alcune tracce più tardi tutto cambia con la (purtroppo dimenticata) You Cause as Much Sorrow dove l'eco della morte della madre continua a farsi sentire a tal punto che la finale e omonima I Do Not Want What I Haven't Got è proprio il racconto di una visione avuta con la sua genitrice, che confessava di non volere il perdono dei propri figli perché sapeva che non sarebbe mai stata degna di ottenerlo.

In ogni caso, la cosa più interessante dell'album è l'interpretazione a posteriori che può esserne fatta. Letto con gli occhi dell'epoca, alcuni brani paiono slegati tra di loro e i riferimenti del vago “you” che affligge la maggior parte delle canzoni paiono impossibili da cogliere. The Last Day of Our Acquaintance, uno dei suoi brani migliori a tal punto che la cantante lo avrebbe sempre suonato alla conclusione dei suoi concerti per tutti i successivi trent'anni, oggi è chiaramente un preavviso della sua futura separazione con John Reynolds. Il brano merita qualche riga in più per la sua genesi: stando alle parole dello stesso Reynolds, la versione presente nell'album è la primissima esecuzione, senza che i due l'avessero mai provato prima. The Emperor's New Clothes, che considero invece proprio la miglior canzone mai scritta da Sinéad, credo possa essere letta solo a posteriori: Sinéad, già nel 1989, delusa e amareggiata, stava preparando la sua fuoriuscita da un'industria musicale che percepiva disinteressata a lei e alla musica in generale:

They laugh 'cos they know they're untouchable, Not because what I said was wrong (Ridono perché credono di essere intoccabili, non perché abbia detto qualcosa di sbagliato)

Una reazione che lei aveva già immaginato in previsione del rilascio di Black Boys on Mopeds, un brano di denuncia della violenza della polizia britannica contro le minoranze di afrodiscendenza, sconvolgente ancora oggi per la sua attualità nel mondo angloamericano e che all'epoca fu recepito come una “lagna radical-chic”, nonostante Sinéad avesse passato gran parte dei suoi primi anni proprio nei quartieri etnici di Londra. Il brano generò ampio eco anche per la comparazione tra Margaret Thatcher con la repressione del partito comunista cinese (siamo negli anni della strage di piazza Tiannamen).

Prima di procedere alla prossima sezione, l'ultimo brano di I Do Not Want What I Haven't Got che va citato è indubbiamente I Am Stretched on Your Grave che Sinéad e Reynolds, in maniera a dir poco geniale, resero nell'album. La cantante infatti era solita eseguirlo “a cappella” alla fine dei suoi concerti (una di queste versioni conclude proprio il già citato The Value of Ignorance) mentre nell'album, non ho mai compreso chi fu a proporlo, si optò per porre come base sonora un loop di Funky Drummer di James Brown con in sottofondo il basso di Jah Wobble.

Nothing Compares

All the flowers that u planted, mama, In the back yard All died when u went away. (Tutti i fiori che tu hai piantato, mamma, Nel cortile Sono tutti morti quando te ne sei andata)

Il brano più importante e riconosciuto di I Do Not Want What I Haven't Got è indubbiamente Nothing Compares 2 U. Scritto inizialmente da Prince, passò per mediazione di Ó Ceallaigh nelle mani di Sinéad, che lo rese il singolo più venduto del 1990 e una delle canzoni più importanti della storia della musica popolare. Il videoclip del singolo, diretto sempre da Maybury, divenne storico per la sua impostazione: un primo piano di Sinéad, imbarazzata, vestita completamente di nero e con due occhi da cerbiatta. Nonostante il brano non fosse stato composto da lei, si generarono varie teorie su chi fossero i destinatari della canzone, tutte smentite alla fine da lei stessa nelle sue memorie, dove rivelò che la destinataria era sua madre, svelando anche la famosissima lacrima da lei versata sempre nel video.

L'anno del cavallo

Nothing Compares 2 U fu rilasciato a gennaio 1990, mentre l'album a marzo dello stesso anno. In questo lasso di tempo le aspettative crebbero a tal punto che in un solo giorno I Do Not Want What I Haven't Got riuscì a vendere più copie di quante ne avesse fatte The Lion and The Cobra nell'arco di tutta la sua commercializzazione. Il resto dell'anno fu pertanto denso di concerti, eventi, singoli (praticamente uno al mese) e interviste, con l'infelicità e l'insoddisfazione di Sinéad che crescevano di giorno in giorno: inizialmente euforica per tutto il successo ricevuto, la cantante incominciò a soffrire una forte alienazione: ciò che voleva trasmettere agli inizi della carriera era stato inevitabilmente malinteso. Intenzionata (come molti dei suoi colleghi) a trasferirsi in California, le contraddizioni dell'industria musicale, lo sciovinismo militare e il razzismo dilagante degli Stati Uniti la spinsero sempre più lontano dalle aspettative che le erano state imposte. Negli ultimi mesi dell'anno si sommarono gli “scandali”: il rifiuto dei Grammy Awards, il boicotaggio dell'inno americano e prese di posizioni recepite sempre come più “radicali” (ma che oggi parrebbero normalissime) sulla musica e il femminismo. Considerata una mina vagante, Sinéad si beccò l'etichetta (mai del tutto rimossa) di piantagrane, titolo che con orgoglio porterà con sé fino alla fine.

Visioni di te

Nel 1991 Sinéad si prese una pausa dalla frenesia dell'anno precedente. Pochissimi concerti e un continuo avanti e indietro tra Los Angeles, New York e Londra. Nei primi mesi dell'anno Sinéad, a titolo gratuito, diede una mano a suo marito e Jah Wobble per Visions of You, una delle sue migliori collaborazioni, mentre, come beneficenza per le madri curde coinvolte nella guerra del Golfo, ripescò da una vecchia sessione My Special Child, una delle sue canzoni più drammatiche e sofferte.

Non sono la tua ragazza?

“I'm angry, but I'm not full of hate, I'm full of love. God said 'I bring not peace': I bring a sword” (Sono arrabbiata, ma non sono piena di odio, sono piena di amore. Dio dice “Io non porto pace, io porto una spada”) Sinéad O'Connor – Messaggio finale alla fine di Am I Not Your Girl?

Mentre il mondo della musica stava conoscendo il grunge e iniziando a sperimentare con l'elettronica, Sinéad decise di registrare un album Jazz. La casa discografica le concesse carta bianca dopo gli straordinari numeri Nothing Compares 2 U, ma Am I Not Your Girl? venne recepito con enorme freddezza. L'album vendette comunque tantissimo, ma meno di I Do Not Want What I Haven't Got e di sicuro più per il nome sulla copertina che per i suoi contenuti.

Certo, l'odio della critica nei confronti di questo lavoro, rivista oggi, fa ridere, poiché Am I Not Your Girl? è vero che contenga solo cover delle canzoni preferite di Sinéad durante la sua infanzia, ma si tratta di interpretazioni che comunque presentano delle caratteristiche essenziali per la sua poetica.

Don't Cry for me Argentina era la canzone preferita di sua madre, e l'intensità della voce di Sinéad fa emergere il dolore per questa eterna mancanza. Leggendo tra le righe del brano originale di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber si intravede anche un significato più profondo: la confessione di una Sinéad esausta, sconfortata e delusa, desiderosa, ancora una volta, di cambiare. Success Has Made a Failure of Our Home invece non ha bisogno di presentazioni: Sinéad in quei mesi aveva per la prima volta divorziato e lanciato una serie di accuse (poi ritirate) nei confronti del padre. Il brano si conclude con il verso “Am I not your girl?” ripetuto sempre più intensamente, a tal punto da superare volutamente la sensibilità del microfono e grattare nelle orecchie dell'ascoltatore.

Giovanna d'Arco

Ma il vero cuore dell'opera, che causò l'estraniamento totale di Sinéad sia dal suo pubblico che dal settore musicale, fu la sua feroce presa di posizione nei confronti della violenza (sia fisica che psicologica) su minori. All'interno della custodia del vinile si trova una lunga dichiarazione di Sinéad

ou est le roi perdu? (If you're out of there, I want to see you) (Dov'è il re perduto? Se sei lì fuori, voglio vederti)

relativa alle violenze su minori, che Sinéad aveva già identificato come la causa di tutti i mali del mondo, e nella traccia segreta posta alla fine del disco Sinéad denuncia una delle origini della violenza minorile: Il sacro romano impero, un'iperbole per riferirsi alla chiesa cattolica.

Rivelazioni e inchieste di quel periodo, precursori del più noto “caso Spotlight” che sarebbe stato reso pubblico un anno dopo, avevano rivelato a Sinéad di come la chiesa cattolica per decenni avesse depistato atti di violenza e pedofilia. Sinéad, in vita sua, non fu vittima “diretta” di questi atti, ma legò la violenza che aveva subito da piccola, sia da parte della madre che dell'istituto di suore dove fu rinchiusa, come il prodotto di una convivenza tacita, alla quale Sinéad collegava la condizione irlandese, la guerra civile, la carestia e l'allora attuale crisi tra la repubblica e l'Ulster. In tutto questo, la cantante si idealizzò come una sorta di Giovanna d'Arco, destinata a sacrificare tutto pur di “combattere il vero nemico

Guerra

Questo messaggio nascosto di Am I Not Your Girl? fu ampiamente ignorato o definito come delirante, ma leggerlo e analizzarlo oggi permette sicuramente di mettere subito ben in chiaro il gesto più iconico di tutta la carriera di Sinéad O'Connor: lo strappo della foto di Papa Giovanni Paolo II in diretta televisiva il 3 ottobre 1992. Di questo gesto se ne è discusso e se ne discute ancora oggi, ma è ben noto come distrusse in un'istante ogni prospettiva di carriera di successo per Sinéad. Solo tredici giorni dopo, Sinéad fu recepita con insulti e fischi durante il concerto per i 30 anni di carriera di Bob Dylan (cantautore che, assieme a Bob Marley, Sinéad ha definito come la propria più ispirazione) durante il quale avrebbe dovuto cantare I believe in You (inclusa due anni dopo come b-side dei singoli di Univeral Mother) ma alla fine riuscì solo ad intonare una esplosiva War, il medesimo brano che aveva cantato in televisione due settimane prima. Il simbolo della fine della carriera di successo di Sinéad O'Connor è l'ultima esecuzione del concerto: quando tutti gli artisti si riuniscono con Dylan per cantare Knockin' on Heaven's Door, Sinéad viene messa in disparte, ma il suo vestito blu zaffiro e i suoi capelli rasati continuano a farla spuntare tra la calca. La reazione fu tale che il padre di Sinéad, presente tra il pubblico, la invitò a ritentare la via universitaria, certo che oramai con la musica aveva definitivamente concluso, ma in realtà, fu proprio la musica a salvare di nuovo Sinéad. Il giorno dopo nonostante tutto, Sinéad si presentò per le registrazioni di Don't Give Up con Willie Nelson, anche qui, inutile ripeterlo oramai, uno dei suoi migliori lavori, emozionante come pochi e, soprattutto, estremamente sincero.

La madre universale

This album it's dedicated as a prayer Dedica di Universal Mother

Universal Mother (Fronte/Retro copertina)

Thank you for breaking my heart. Thank you for tearing me apart. Now I've a strong, strong heart. Thank you for breaking my heart. (Grazie per avermi spezzato il cuore, Grazie per avermi fatto a pezzi, Ora ho un cuore forte, Grazie per avermi spezzato il cuore) Sinéad O'Connor – Thank You For Hearing Me

Alla parvenza abbandonata da tutti, Sinéad trovò rifugio tra le braccia di Peter Gabriel che accompagnò in tour da aprile a ottobre 1993, prima di abbandonarlo dopo un tentativo di suicidio che, anni dopo, rivelò essere legato proprio per una rottura definitiva tra i due. Se Sinéad avesse compiuto il gesto fatale, sarebbe entrata nel club 27, ma ciò, per fortuna, non avvenne, anche se segnò la definitiva rottura con il passato e l'inizio di un nuovo periodo della cantante. Desiderosa di porre fine una volta per tutte ai demoni del passato che la tormentavano, Sinéad visse in questo arco di tempo una vera e propria rinascita spirituale: frequentò corsi di teologia, iniziò a dipingere e, soprattutto, incomincio di nuovo a studiare canto. In questo stato di quasi estasi religiosa, Sinéad scrisse di pugno i testi di dieci canzoni e si recò, in piena notte, a casa di John Reynolds per cantargliele: questa fu la genesi di Universal Mother, l'opera magna e l'assoluto capolavoro di Sinéad.

L'album fu il frutto di una strettissima collaborazione tra Sinéad, Reynolds e Phil Coulter, l'uomo che introdusse per la prima volta il pianoforte nella musica di Sinéad. La struttura del disco è peculiare: la prima e ultima traccia sono frutto del solo Reynolds, quelle centrali di Coulter mentre le restanti una commissione di generi tra i due. Ciò che le lega la voce di Sinéad e i temi a lei cari, che qui fanno una comparsa in tutte le loro forme: si parla di morte, del rapporto con la madre, di maternità e perfino di politica.

L'album si apre con Germaine Greer che dice “l'opposto del patriarcato non è il matriarcato, ma la fratellanza”. Subito dopo, la tromba di Miles Davis introduce Fire on Babylon, narrazione epica e tragica, modellata su Troy (il fuoco accomuna entrambi i brani) sulla violenza della madre, in questo caso (sembra) nei confronti di uno dei fratelli minori di Sinéad. La forza che lei esprime in questa canzone pare inarrestabile, ma ecco che subito segue arriva John I Love You. Sinéad nel corso della sua vita diede decine di interpretazioni su chi fosse questo “John” tra i tanti che in vita l'accompagnarono, a tal punto che tentare di decifrarlo mi pare a dir poco inutile se non impossibile; quello sul quale vorrei concentrarmi e la sinergia tra il pianoforte di Coulter, la batteria di Reynolds e la voce di Sinéad, in quello che considero una delle sue canzoni più belle e purtroppo completamente sconosciute. Da questo momento in poi, Universal Mother inizia una lenta discesa verso una dimensione sempre più onirica e spirituale. My Darling Child è una ninna dedicata a suo figlio Jake (che fa una comparsa in Am I a Human?), ma il gesto, ad un primo ascolto tenero e grazioso, si rivela l'inizio di una lunga spirale di tristezza: Red Football è un memoriale della violenza sulle donne, mentre i successivi All Apologies (brano originale di Kurt Cobain, suicidatosi pochi mesi prima), A Perfect Indian, Scorn Not His Simplicity e All Babies sono tra le composizioni più tristi, tragiche e profonde di Sinéad, un concentrato di morte, maternità, mistero e spiritualità. In This Heart è un vero e proprio canto funebre (non a caso sarà scelto come brano di chiusura proprio del funerale della cantante), sulla stessa soglia del successivo Tiny Grief Song che contiene la chiave di volta di tutta questa sezione dell'album

You were born on the day my mother was buried. My grief, my grief, my grief, my grief, my grief. (Sei nato il giorno in cui mia madre fu sepolta, Il mio dolore, il mio dolore, il mio dolore, il mio dolore) Sinéad O'Connor – Tiny Grief Song

“Famine” è l'immancabile parte “politica” e l'unico brano similmente “rap” di tutta la sua carriera; una lunga descrizione sulla carestia irlandese, che Sinéad definiva volontariamente scatenata dal governo inglese e dal clero cattolico per soggiogare in via definitiva l'intera isola. L'ultima canzone del disco, Thank You for Hearing Me, fu il più grande successo del disco, direttamente ispirato alla rottura con Peter Gabriel. Come per concludere il cerchio apertosi con Fire on Babylon, l'album termina con il suono di alcune cascate e lo scorrere di un fiume.

Quercia del vangelo

All the pain that you have known, All the violence in your soul, All the “wrong” things you have done, I will take from you when I come. (Tutto il dolore che hai conosciuto, Tutta la violenza nella tua anima, Tutte le cose “sbagliate” che hai fatto, Le prenderò da te, quando verrò) Sinéad O'Connor – This is to mother you

Universal Mother fu de facto ignorato dal grosso della critica musicale. Le radio trasmisero le canzoni dell'album per un decimo del tempo rispetto ai precedenti lavori di Sinéad e molte recensioni furono critiche per partito preso. Solo con il passare degli anni l'album fu “riscoperto” e rivalutato, mentre la cantautrice in vita avrebbe sempre raccontato con orgoglio come molti dei suoi colleghi l'avessero definito uno dei lavori più sensibili e sentimentali degli ultimi anni.

In ogni caso, Sinéad riuscì per quasi un anno a pubblicizzare l'album e ad andare in tour senza grossi scandali e problemi, ma nel 1995 Sinéad fu costretta a lasciare il palco del Lollapalooza scatenando le più astruse teorie e costringendo la cantante a rivelare di essere incinta del giornalista, già padre e coniugato, John Waters.

La lunghissima diatriba sui due riguardo la gestione della figlia divenne un argomento centrale del primo e unico EP di Sinéad O'Connor: Gospel Oak, che per tematiche e stile ho sempre considerato una costola di Universal Mother.

Intitolato al quartiere di Londra dove Sinéad all'epoca viveva, Gospel Oak incomincia esattamente come Universal Mother ma con l'opposto delle intenzioni: This is to mother you è un brano sereno, una sorta di perdono, non esente di critiche, nei confronti della madre. Come disse la stessa Sinéad, Gospel Oak rientrava proprio in un periodo dove la cantante stava tentando di lasciarsi dietro il suo passato, di sbollire la sua rabbia e la sua furia, in un modo che prima considerava inconcepibile.

Le successive I Am Enough for Myself, Petit Poulet e 4 My Love sono tutte relative alla questione tra lei e Waters sulla gestione della figlia, mentre il brano che conclude This is to mother you sarebbe stato l'ultimo grosso successo della cantante. Freccina velata agli U2, Sinéad in realtà a volte presentava il brano ai concerti come “This Is a LOVE song” poiché, come espresso nel testo del brano, si tratta di una chiara metafora tra l'amore di una donna irlandese con il suo compagno inglese. Per una coincidenza temporale, il brano divenne una sorta di colonna sonora degli accordi del Venerdì Santo che sarebbero stati firmati circa un anno dopo, nel 1998, e inaugurò anche un “ritorno” di Sinéad nel suo paese natio, mettendo oramai da parte le feroci critiche che essa gli aveva rivolto agli inizi della sua carriera musicale.

Fede e coraggio

Mark Harrison (Dublino 2000)

“Io sono una madre, sono una cantante e sono una sacerdotessa. Questa è la mia trinità.” Sinéad O'Connor sulla sua investitura

Agli inizi del 1999, Sinéad si fece proclamare sacerdotessa cattolica da parte di un vescovo dissidente. Come ha raccontato BP Fallon, per lei si trattava soltanto di una comica provocazione, ma la reazione generale alla notizia fu così feroce che fece passare in disparte la successiva notizia di un nuovo tentativo di suicidio della cantante, avvenuto nel giorno del suo 33esimo compleanno, l'8 dicembre 1999, dopo la perdita della custodia della seconda figlia.

Fu in questo contesto che prese forma Faith and Courage, il primo album di Sinéad in oltre 6 anni, al quale parteciparono una decina di produttori di tutto rispetto del panorama musicale anglo-irlandese. È bene specificare il sesso maschile di questi perché la canzone portabandiera del disco s'intitola proprio No Man's Woman, nella quale Sinéad rivendica la sua indipendenza nei confronti di qualsiasi maschio se non dello spirito di Gesù Cristo. Tolto questo brano e The Healing Room (sul modello di Feel So Different), il resto dell'album è composto da canzoni che si potrebbero semplicemente descrivere come “deliziose”; né memorabili, né pessime, le poche attenzioni che la cantante in vita ne dedicò durante i suoi concerti credo possano considerarsi uno specchio della loro effettiva qualità. Da ricordare trovo unicamente Hold Back the Night, Dancing Lessons e Jealous, mentre, come brano effettivamente di straordinaria qualità e fondamentale per la discografia di Sinéad, non posso ignorare Daddy I'm Fine che in tre minuti esatti riassume l'intera carriera della cantante fino ad allora.

Colei che…

Faith and Courage venne salutato come un ritorno di fiamma della cantante (praticamente sparita dalla scena musicale mainstream da oltre sei anni). In realtà, Faith and Courage è stato l'inizio della fine della prima parte della carriera di Sinéad: i due album successivi Sean-Nós Nua e She Who Dwells... vennero da lei introdotti come i suoi ultimi lavori prima di abbandonare definitivamente l'industria musicale.

Il primo è una raccolta di sole cover di canzoni popolari celtiche/irlandesi. Il modello è simile a quello di Am I Not Your Girl: sono brani che hanno accompagnato in larga parte l'infanzia di Sinéad, lei stessa, nelle note dell'album, aggiunge brevi aneddoti su come abbia scoperto le canzoni grazie ai consigli del padre o della madre. Personalmente si tratta di uno dei suoi lavori migliori: brani come Her Mantle So Green, The Singing Bird, Paddy's Lament e Óró Sé do Bheata 'Bhaile sono tutte delle straordinarie rese di musica popolare, adattate da lei con il suo tocco che, specialmente nell'ultimo brano, mischia un minimo il reggae con lo sean-nós. Questa curiosa unione tra musica giamaicana e irlandese sarà proprio l'elemento centrale per tutto il suo decennio successivo.

She Who Dwells… è diviso in due dischi: nel primo compaiono demo, cover, remix e qualche inedito, mentre nel secondo sono presenti le tracce audio del concerto del Vicar Street Theater nel 2002, che, secondi i suoi piani, sarebbe dovuto essere l'ultimo della sua carriera. Di tutto il mucchio, vanno assolutamente salvate la cover di Chiquitita e Dense Water, Deeper Down, mentre del concerto è difficile trovare un singolo brano che non sia stato magistralmente eseguito.

Faith and Courage, Sean-Nós Nua e She Who Dwells... furono tutti “quasi” registrati in contemporanea nel corso di tre anni, pertanto li ho sempre interpretati come una sorta di trilogia basata sulle convinzioni religiose e femministe di Sinéad dell'epoca.

Getta le tue braccia

Dal 1992 al 2002 non si può che restare meravigliati dalla varietà della discografia di Sinéad. A testimonianza di ciò, nel 2005 fu rilasciato Collaborations, una raccolta di brani a quattro o più mani pubblicati dal 1987 e i primi anni 2000. Oltre che per la sua straordinaria qualità (da segnalare che, grazie a questo album fu salvata dall'oblio, la seconda canzone di Sinéad: la meravigliosa e commovente Monkey in Winter), questa compilation va ricordata per un altra ragione a prima vista secondaria: per l'ultima volta su una copertina sarà usato lo storico font di Sinéad con la stella di David.

Il successivo Thrown Down Your Arms è infatti un cambiamento totale: abbandonata ogni grossa casa discografica, Sinéad ne fonda una indipendente e autofinanzia il suo sogno musicale: un disco di canzoni reggae registrato in Giamaica. Dopo aver reso tributo alle canzoni della sua infanzia (Am I Not Your Girl?) e della sua terra (Sean-Nós Nua), Thrown Down Your Arms è una lettera d'amore alla musica che aveva formato Sinéad nei suoi anni di vita a Londra, le cui influenze si scorgevano già in maniera molto sfumata nei suoi primi due album. Ad aiutare Sinéad in questa avventura ci sono i due produttori giamaicani Sly Dunbar e Robbie Shakespeare.

Mick Houston (Giamaica 2004)

Da persona non minimamente esperta (né interessata, a dirla tutta) di musica reggae mi è difficile dare una valutazione dell'album. In ogni caso, tra le mie tracce preferite ci sono Untold Stories, Macus Garvey e l'omonima Thrown Down your Arms. L'album si conclude con War, la medesima canzone che Sinéad aveva cantato più di un decennio prima al Saturday Night Live. L'album ebbe successo solo in Irlanda e tra gli appassionati di musica reggae, incuriositi dalle interpretazioni di una cantante europea di brani non minimamente pensati per un tale timbro di voce.

Teologia

Il periodo di “indipendenza” continuò con Theology un'album che Sinéad ha sempre orgogliosamente definito come il suo preferito nonostante sia sempre stato il più criticato, sia dalla stampa, che dai suoi ammiratori. Concepito come il frutto di anni e anni di studi teologici, l'album è composto esclusivamente da canzoni di carattere religioso divise tra due dischi identici se non per la base: nel primo (Dublin session) solo la voce di Sinéad e la chitarra di Steve Cooney (suo futuro terzo marito); nel secondo (London session) un accompagnamento da lei definito più “pop”.

In ogni caso, entrambi i dischi per me non sono memorabili e le canzoni sono così monotematiche da alienare chi non sia così tanto interessato o devoto alla religione. I brani Something Beautiful (Dublin session) e Whomsoever Dwells (Dublin session) sono straordinari, ma non risollevano le sorti di un disco condannato (purtroppo visto l'amore da lei speso per registrarlo) all'oblio e al dimenticatoio.

Sinèad sponsorizzò l'album con il concerto al Sugar Club di Dublino (incluso come extra in un'edizione speciale del disco), nel quale la cantante annunciava anche di essere incinta del suo quarto e ultimo figlio.

Il lupo sta per sposarsi

Oh, so long I've been a junkie, I ought to wrap it up and mind my monkeys. I really want to mend my ways; I'm gonna call that number one of these days. I'm gonna reach a hand out to you, Say “would you pull me up? Now could you?” I don't want to waste the life God gave me, And I don't think that it's too late to save me. (Oh, sono stati così a lungo una merda, dovrei smetterla per badare ai miei figli Voglio davvero cambiare le mie abitudini Chiamerò quel numero uno di quei giorni Ti tenderò una mano E ti chiederò “Puoi tirarmi sopra? Ora che puoi?” Non voglio sprecare la vita che Dio mi ha dato. E non credo sia troppo tardi per salvarmi) Sinéad O'Connor – Reason with me

Il periodo che va tra il 2008 e il 2011 è uno dei più duri e instabili per la vita personale di Sinéad, che attraversa due divorzi e numerosi scandali. Il cambiamento più notevole di questo periodo è estetico: Sinéad si fa tatuare il volto di Gesù Cristo sul petto e tutto il suo corpo si ricopre di tatuaggi, inizia ad ingrassare e in poco tempo tutta la fragilità e la grazia che l'avevano contraddistinta fin dagli albori della sua carriera scompaiono del tutto.

Questi passaggi burrascosi si ripetono anche in How About I Be Me?, inizialmente intitolato Home, che ebbe una produzione estremamente peculiare. Completato nella prima metà del 2011, l'album fu rilasciato solo un anno dopo, castrato dell'omonimo singolo iniziale (ripubblicato solo tre anni più tardi) e con un disastroso tour, mai incominciato, sempre per i numerosi problemi di Sinéad. L'album in ogni caso segna nuovamente un'inversione ad U per la sua musica; un netto ritorno al passato, Sinéad per produrre quest'album andò a ripescare John Reynolds e Marco Pirroni: The Wolf is Getting Married e Take Off Your Shoes sono dei ritorni alle atmosfere di The Lion and The Cobra. Perfino da un punto di vista promozionale ci sono delle notevoli similitudini: come per il suo debutto, una grossa controversia si formò intorno alla copertina del disco, che fu “censurata” in tutta Europa. Specchio totale di questo periodo della carriera di Sinéad è la sofferta Reason with me: nonostante tutti gli sforzi immensi, i continui cambiamenti e tutti i lavori realizzati, Sinéad non riesce ancora a fare pace con sé stessa. Tolta questa tragica canzone, l'album è tendenzialmente positivo e spensierato, con brani stupendi come Old Lady e 4th and Vine

The Vishnu Room

You know I love to make music, But my head got wrecked by the business Everybody wanting something from me, They rarely ever wanna just know me. I became the stranger no one sees. Cut glass, I've crawled upon my knees, But I got eight good reasons to stick around, Eight good reasons, Well, maybe nine now. (Lo sapete, io amo fare musica Ma la mia testa è stata schiacciata dall'industria Tutti vogliono qualcosa da me Raramente vogliono davvero conoscermi Sono diventata l'estraneo che nessuno vede Mi sono inginocchiato sui vetri rotti Ma ho otto buoni motivi per continuare a vivere Otto buoni motivi Beh, forse ora nove) Sinéad O'Connor – 8 Good Reasons

How About I Be Me? fu un successo, con recensioni positive e ottime vendite, ma la vita personale di Sinéad sembrava costantemente fuori controllo. Nonostante ciò, in qualche modo Sinéad fu capace di organizzarsi e realizzare un altro album nel 2014, anche questo con John Reynolds. Inizialmente intitolato The Vishnu Room, Sinéad cambiò poi il nome in I'm the Boss, not the Bossy per sensibilizzare sulla campagna linguistica femminista di Ban the Bossy, in voga nel Regno Unito in quegli anni.

Personalmente è tra i peggiori lavori della cantante, un tentativo da parte sua di sperimentare con il country e il blues. In alcuni brani l'esperimento riesce, come Dense Water, Deeper Down, ma per il resto non ho trovato nulla di memorabile se non il trio di 8 Good Reasons, Take Me to Church e Where Have You Been?. Da citare anche l'apertura del disco How About I Be Me, il brano appunto scartato per qualche ragione dall'album precedente.

La fine

Anche questa volta, di nuovo, la vita di Sinéad assunse le forme di un'imprevedibile montagna russa. I concerti dell'album tra il 2014 e il 2015 furono ottimi, lasciando presagire, finalmente, un proseguimento stabile per la carriera di Sinéad, ma anche questa volta non fu così.

Nel 2015, Sinéad subì un'isterectomia, operazione che, stando a lei, le procurò un vero e proprio collasso psicologico. Quel che ne seguì è ben documentato dai giornali scandalistici, ma, in sostanza, tolte alcune eccezioni, Sinéad non mise piede su un palco o in uno studio di registrazione per oltre quattro anni, l'allontanamento più lungo dalla musica di tutta la sua carriera.

Nel 2019, Sinéad (che paradossalmente grazie ai continui scandali di quegli anni non era sparita) annunciò di essersi convertita all'islam, generando reazioni che andavano dall'euforia alla vera e propria lapidazione. Purtroppo Sinéad in vita non ha prodotto alcuna testimonianza artistica riguardo questa sua scelta, ma in ogni caso per chiunque conoscesse un minimo la sua discografia e vita privata, si ci può ben presto rendere conto di come sia stata una scelta, in qualche modo, “naturale” per lei. Fortunatamente, in questo lasso di tempo i concerti ripresero e non furono nemmeno niente male. Sinéad, anzi, Shuhada sembrava ora essere tornata di nuovo, ma l'abbattersi del COVID, ancora una volta, l'allontanò dalla musica, ma questa volta le permise anche di scrivere le sue memorie, chiamate semplicemente Rememberings, fonte per molte delle informazioni di questa monografia, ma purtroppo con enormi buchi (motivati da lei come “ero troppo strafatta di canne per ricordare”) dal 1994 in poi. Medesima sorte per il documentario Nothing Compares, incentrato esclusivamente sulla Sinéad del 1987-1992, ignorando completamente tutto ciò che aveva realizzato dopo. Queste due opere, unite ad interviste per grossi giornali, monografie e numerosissime rivalutazioni, sembravano inaugurare una nuova giovinezza per la cantautrice, ma ecco abbattersi su di lei un'altro flagello, questa volta insuperabile: il suicidio del suo terzo figlio, che Sinéad nelle sue memorie aveva senza grossi giri di parole descritto come il suo prediletto.

Per tutto il 2022, Sinéad scompare, mentre agli inizi del 2023 riprende timidamente la sua attività sui social network. A marzo viene premiata per I Do Not Want What I Haven't Got, e si presenta alla cerimonia truccata, con l'hijab e con un enorme dito medio in reazione alle domande dei giornalisti. È tornata, di nuovo, ma questa volta è veramente l'ultima.

Sinéad O'Connor viene ritrovata senza vita nel suo appartamento di Londra il 26 luglio 2023, nella stessa città dove tutta la sua carriera era iniziata. Alla notizia della sua morte, tutte le radio irlandesi riproducono Nothing Compares 2 U ed encomi arrivano da tutto il mondo della musica. Viene sepolta con il suo nome di battesimo e sulla sua bara viene posta una sua foto di una lei 20enne e spensierata, con la sua testa rasata (forse l'unica costante di tutta la sua travagliata carriera) e il suo meraviglioso sorriso.

Nello stesso anno sono morti Andy Rourke (bassista dei suoi primi due album) e Shane MacGowan, altro cantante irlandese, dalla vita perfino più travagliata di Sinéad, con il quale nel 1995 aveva duettato per il singolo Haunted:

You got a way of walking, You got a way of talking. And there's somethig about you And now I know I never ever Want to be without you I want to be haunted by the ghost Of your preciou love (Hai un modo di camminare. Hai un modo di parlare. E c'è qualcosa di te E ora so che mai e poi mai Vorrò stare senza di te Voglio essere perseguitato dal fantasma Del tuo amore prezioso) Shane MacGowan e Sinéad O'Connor – Haunted

BP Fallon (Olanda 1988)

Perché nulla è andato perso

A questo punto si possono iniziare a tirare le conclusioni sulla musica e l'arte di Sinéad O'Connor, una cantautrice totalmente multiforme eppure solidissima nella sua base che provocatoriamente si potrebbero rendere come Dio, Patria e Famiglia. Ciò ovviamente parrebbe assurdo: Sinéad aveva preso fin dal principio posizioni che oggi considereremo progressiste ma che all'epoca erano viste come quasi radicali e come tali contrastate, eppure queste idee si sono materializzate in una perfetta sintesi. Sinéad era favorevole al divorzio (ha avuto quattro mariti diversi) e all'aborto, ma considerava la famiglia come il pilastro della sua esistenza; era una progressista estremamente tollerante verso le altre culture, eppure aveva messo sempre in primo piano il suo nazionalismo irlandese; aveva infranto ogni singola legge, scritta o non scritta, sulla religione cattolica, però nessuno avrebbe mai osato mettere in dubbio la sua fede. Un articolo di qualche mese fa, precedente la sua morte, considerava Sinéad come la più cristiana e religiose delle figure nonostante la sua esplicita opposizione allo stato delle cose, una moderna San Francesco, o, come sarebbe piaciuto a lei, una Giovanna d'Arco.

Ciò che è sicuro è questa “fluidità” nella religione, nell'etnia e nella sessualità andava di pari passo con la sua musica: sempre variegata, per genere stile e tematiche, ma saldamente legata alla sua voce, quella che lei, sempre in maniera religiosa, vedeva come il suo unico vero talento, il suo strumento di preghiera e la sua missione divina. Lo scopo della sua vita è sempre stato quello di cantare, e nonostante tutti i problemi, le disgrazie, le tragedie, le (tantissime) cadute e le (tantissime) rialzate, lo ha sempre fatto perfettamente.

Questa era una monografia su Sinéad O'Connor, la più grande cantante di tutti i tempi.