A sedici anni

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A sedici anni ero anarchico. A sedici anni non si capisce niente. Non si sa come funziona il mondo. A sedici anni pensavo che la guerra fosse un crimine dei governi, e dei generali, contro i popoli. A sedici anni pensavo che la guerra servisse solo a distruggere le città, a brutalizzare i bambini, a far vivere la gente come topi e ad arricchire gli speculatori e i fabbricanti d’armi. A sedici anni pensavo che il nazionalismo fosse un crimine contro la pace e contro la libertà. Pensavo che il concetto stesso di Nazione e la retorica della Patria sarebbero stati travolti, molto presto, dalla fratellanza tra i popoli. Pensavo che i popoli non fossero centinaia di tribù incazzate ma una sola umanità. A sedici anni pensavo che le frontiere non avessero senso. Cantavo le canzoni anarchiche di Pietro Gori. Nostra patria è il mondo intero, nostra legge la libertà. A sedici anni pensavo che quelli come Putin, che mettono in galera gli oppositori, si chiamassero tiranni. Non c’è bisogno di aspettare che uno come Putin scateni una guerra, per sapere che è un tiranno. A sedici anni pensavo che i preti e i pope che benedicono i cannoni fossero criminali. E pensavo che i preti che maledicono la guerra, come fa Francesco, fossero mio padre e mio fratello. A sedici anni cantavo La guerra di Piero di De André, la storia di un soldato che muore perché non vuole uccidere il soldato nemico che gli sta di fronte. A sedici anni pensavo che fossero un crimine tutte le basi militari, i missili, le bombe, le mine, i carri armati. Pensavo che fossero criminali i fabbricanti di armi. A sedici anni pensavo che bastasse cantare Bob Dylan e De André e imparare quattro accordi di chitarra per cambiare il mondo. Pensavo che la pace fosse molto più forte della guerra. Avevo i capelli lunghi ed ero convinto che “fate l’amore non la guerra” non fosse uno slogan un po’ stupido ma un vero e proprio programma politico. A sedici anni non capivo niente e non sapevo niente. Ero ingenuo ed ero presuntuoso. Crescendo, come tutti, ho imparato a fare i conti con la vita, e con la realtà. Ma ogni tanto mi viene il dubbio che, a sedici anni, io fossi molto migliore di adesso.

Il monologo di Michele Serra a “Che tempo che fa”. Parole che andrebbero scolpite. #Divita

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