Come spiego a mio figlio che il mondo sta finendo?
“Come spiego a mio figlio che il mondo sta finendo?“. Questa domanda declinata in diverse maniere, ma dettata comunque dall’urgenza di trovare, in tempi di pandemia e di guerra, una direzione da seguire me la sento rivolgere sempre più spesso. Forse perché durante i laboratori nelle scuole i bambini mi raccontano tanto, ed è proprio dalle loro parole che arrivano le risposte. O perché ormai è risaputo che ho poca voglia di interagire con gli adulti – salvo rare eccezioni – e soltanto i bambini riescono a tenermi ancorata alla Terra.
La soluzione credo risieda nel non pensare a salvare il proprio figlio dalla verità, perché non è un salvataggio, ma una condanna ad annaspare nella finzione. Se esiste un’unica regola, una soltanto, che sento di affermare con certezza riguardo ai bambini è quella di non nascondere mai nulla, non mentire di fronte a una catastrofe ambientale, a una guerra, a una relazione che non funziona, alle malattie. Intossica crescere in una vita che non esiste. La finzione genera danni terribili. A volte, ingenuamente, mi chiedo: “i mostri di oggi che bambini sono stati?“. (…)
Andando a scuola stamattina ho chiesto a mio figlio: “cosa ti fa paura?”. “Il suono assordante dell’allarme antincendio”. Avviene almeno una volta a settimana, sa bene che sono soltanto prove, esercitazioni, eppure non riesce a contenere la paura. Penso alle sirene dell’allarme bomba, ai bambini nelle cantine di Kiev. “E cosa ti fa stare meglio in quei momenti?”. “L’abbraccio della maestra”. Al sicuro, in guerra, in ospedale, i bambini hanno sempre gli stessi desideri.
Voglio ostinarmi a credere che i bambini di oggi svilupperanno anticorpi verso la guerra, verso lo sfruttamento indiscriminato delle risorse del pianeta, verso ogni forma di prevaricazione; come chi è stato piccolo nel 1986 avendo memoria indelebile del disastro di Černobyl’ dovrebbe aver maturato una naturale idiosincrasia al solo accennare alla parola nucleare.
Il mondo non sta ancora finendo, non se mettiamo immediatamente in atto un cambiamento. Sta di certo finendo il mondo che abbiamo conosciuto finora, una corsa apparente in avanti che ci ha sradicato dalla nostra vera natura, dalla Natura. L’ansia del consumo che ci ha portato fino a qui è diventata distruttiva. In questo momento di devastazione facciamo gli amanuensi, impegniamoci per un rinascimento dell’essere umano, creiamo legami di complicità, educhiamo i bambini alla condivisione e non alla competizione. Non possiamo insegnare nulla se non impariamo noi per primi, magari da Patch Adams: “L’essere clown è solo un espediente per avvicinare gli altri, perché sono convinto che se non cambiamo l’attuale potere del denaro e della prevaricazione sugli altri, non ci sono speranze di sopravvivenza per la nostra specie”.
Facciamo in modo che i figli godano di ogni istante della vita. Certo, studiare è importante, è vero, ma che non diventi l’ossessione delle giornate di un bambino, di un ragazzo. Ogni attimo è prezioso, e anche un giorno di sole rubato alla scuola per una complice avventura nella natura (basta un parco) è un regalo. E allora sì studiare, ma soprattutto respirare, rispettare, non stare in quello che sarà, ma in quello che è. Niente ossessione del primo della classe, trasmettiamo il valore dell’umiltà, dello svolgere il proprio dovere senza enfasi, “faccio soltanto quello che ogni medico dovrebbe fare” ripeteva Gino Strada che tanto, troppo, ci manca.
C’è stato un attimo meraviglioso e sospeso, prima che si scatenasse di nuovo il conflitto globale – tra poteri, carri armati, pro vax e no vax… – in cui sembrava che la nostra indole atavica più profonda, quella di essere solidali e tribù, che trova la massima espressione proprio di fronte alle catastrofi, stesse finalmente rifiorendo. Non è stato così. Eppure possiamo ancora mostrare ai nostri figli che anche nella devastazione resistono semi di speranza, che ripudiamo ogni forma di guerra, che è quasi primavera.
Facciamo in modo che i figli godano di ogni istante della vita. Certo, studiare è importante, è vero, ma che non diventi l’ossessione delle giornate di un bambino, di un ragazzo. Ogni attimo è prezioso, e anche un giorno di sole rubato alla scuola per una complice avventura nella natura (basta un parco) è un regalo. E allora sì studiare, ma soprattutto respirare, rispettare, non stare in quello che sarà, ma in quello che è. Niente ossessione del primo della classe, trasmettiamo il valore dell’umiltà, dello svolgere il proprio dovere senza enfasi, “faccio soltanto quello che ogni medico dovrebbe fare” ripeteva Gino Strada che tanto, troppo, ci manca.
di Federica Morrone #Disociale
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