Storia e cultura

immagine Noi avevamo una storia importante, una cultura musicale importante. Pensa agli anni Settanta, quelli erano anni tremendi, in cui i cantautori hanno raccontato con le loro canzoni la situazione pesante che si viveva, le bombe, la tensione. Oggi, mentre siamo a un passo dalla Bolivia come corruzione, mentre abbiamo la mafia, mentre abbiamo una disoccupazione incredibile per un paese che si pensa evoluto, non abbiamo più niente di tutto questo nelle canzoni, come se di colpo chi scrive canzoni non riuscisse a cogliere l’importanza di quel che ci circonda e si fosse concentrato solo sui sentimenti, evitando il contesto.

L’impoverimento del lessico è evidente. Quasi un voler rincorrere un giovanilismo a tutti i costi, per di più un giovanilismo finto. Uno si guarda un film, una bella storia, per dire, e dentro quella storia, quella ambientazione, se anche c’è una storia d’amore se ne appassiona, ma perché inserita in quel contesto lì. Vuoi scrivere oggi una canzone d’amore? Bene, è importante anche questo. Ma raccontala partendo dall’oggi. Concentrati su quello. Per altro i giovani ti sgamano subito se sei finto. Loro pretendono verità, e fanno bene.

Ai miei ultimi tour, quelli fatti negli ultimi anni, c’erano tanti ragazzi. Un tempo le prime file erano tutte di avvocati con le mogli, ma negli ultimi anni c’erano tantissimi giovani. Perché i giovani sono molto più attenti di quel che ci aspettiamo. Pretendono anche molto più coraggio di quanto non ci aspettiamo. Sono convinto che rischiare sia molto più remunerativo che starsene immobilizzati. Perché se sei coerente, credibile, se la gente di percepisce come un artista che gli dice la verità, tra te e il pubblico si instaura una sorta di patto. Un patto per il quale chi ti segue accetta che tu decida di correre rischi, facendo anche cambiamenti, e metta sul piatto anche l’idea di non apprezzare necessariamente i tuoi cambi di rotta, promettendoti però di non abbandonarti. Se invece sei falso, rassegnati, non ti segue nessuno.

L’impressione è che non si lavori sugli artisti, non si osi, appunto. C’è stata una omogeneizzazione, e non dovrei neanche dirlo, forse non devo proprio dirlo, che non è carino. Sembra tutto molto uguale, come poetica, come musiche. Non c’è ricerca, con la scusa dell’assenza di credibilità tutti si uniformano a uno standard assolutamente poco credibile. Non coraggioso. Io i nomi non li conosco, ma non posso pensare che non ci sia tra le tante interpreti qualcuna che sia come era una Loredana Bertè alla fine degli anni Settanta. Anche perché, andrebbe detto, sono passati anni e noi dovremmo essere andati avanti, non indietro. Io ho scritto Pensiero stupendo per Patti Pravo, pensando a lei. E lei era in grado di sostenere quella canzone, ma oggi quella canzone dovrebbe essere ancora più coraggiosa. Non più scandalosa o più spinta, ma proprio più contemporanea, provare a spostare nella contemporaneità quelle tematiche, invece si preferisce cantare di amore come se fossimo tutti ragazzini.

Noi dovremmo tutti essere felici di invecchiare. Lo facciamo a fatica, giorno dopo giorno. Dovrebbe essere una conquista, più che una pena. Invece ci si preclude la possibilità di mettere tutto questo al centro della canzone, e forse anche della vita. Niente corpi, niente rughe, ma neanche un po’ di sensualità. E in questo, tornando a quel che ci dicevamo prima, l’impoverimento del lessico ha un forte peso, perché anche le parole che si scelgono per raccontare le storie, i sentimenti, ne sono parte integrante. Il significante è parte del significato, è inutile nasconderci. di Ivano Fossati #Divita

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