Circa Dicembre 2024
La mia collega Sara mi comunica di aver ricevuto varie chiamate da parte di una paziente segnalata nella mia zona di pertinenza. A volte succede, a nessuno piace aspettare il Sistema Sanitario; tuttavia, il servizio di cure domiciliari prevede, a seconda della figura professionale coinvolta, che la prima visita venga effettuata nel giro di pochi giorni lavorativi. Capirete bene che, rispetto alle famigerate liste d'attesa di cui spesso si sente parlare nell'ambito delle specialità mediche, la posizione di un utente segnalato per cure domiciliari è decisamente vantaggiosa. Addirittura, una scarsissima percentuale di segnalazioni arriva ad essere evasa nel giorno della scadenza, perché il tempo per una prima visita, in un modo o nell'altro, si trova.
Tuttavia, alcuni utenti, anche di fronte ad una tempestività notevole, si sentono in diritto di telefonare e ritelefonare per chiedere di anticipare ulteriormente la data di prima visita. Dai, è vero, sicuramente la sanità non sta vivendo un bel periodo, e non mi sembra nemmeno il caso di far cadere dall'alto l'efficienza di un servizio che, in effetti, dovrebbe essere l'assoluta normalità (un po' come la puntualità dei treni in Giappone). Però stiamo parlando di pochi giorni di attesa, e nemmeno devi pagare il ticket, vuoi veramente metterti ai livelli di scavalcare i pazienti che dovrebbero essere visitati prima di te?
Insomma che, un po' per fortuna, un po' grazie all'etica dei professionisti che si fanno carico del procedimento, queste persone riescono SEMPRE – secondo loro – ad ottenere ciò che vogliono. Certo, loro non pensano di essere stati raggiunti in pochi giorni perché, semplicemente, il servizio prevede che ciò accada: loro pensano che sollecitare sia stata la soluzione, creando precedenti completamente immaginari in cui è stato sufficiente martellare le palle a qualcuno per essere favoriti.
Presupposto ciò, alzo il telefono e chiamo la paziente. Mi risponde con un tono di voce stridulo ma molto gentile e composto: questo scatena in me una dissonanza cognitiva non indifferente, come se l'atteggiamento della signora fosse finalizzato a mascherare una natura particolarmente arrogante. Un po' come quando i sessantenni su Facebook – già abbandonato da mesi – scrivono commenti dandoti del lei per dimostrare che sono più educati di te.
Se dopo questa premessa vi aspettate uno sfogo polemico su quanto sia odioso lavorare con alcuni pazienti e bla bla bla, sappiate che sto per regalarvi qualcosa di gran lunga migliore.
*Atmosfera, grazie*
Raggiungo il luogo. Citofono al cancello pedonale di una villetta di tutto rispetto che, dall'esterno, appare un pochino trascurata, ma nulla di particolare. Tuttavia, mi viene data indicazione che, una volta entrato nell'atrio, devo aprire la porta subito sulla destra, e scendere nel seminterrato.
Inizio a scendere la scala.
Buio.
Ancora più buio.
Poi, in fondo alla scala, l'ambiente assume una moderata luminosità e si apre in un corridoio corto e molto stretto, che prosegue diagonalmente per un paio di metri per poi raddrizzarsi nuovamente e terminare in uno spazio quadrato ed angusto con una porta di fronte ed un'altra sulla destra. Lungo questo percorso, alcuni elementi d'arredo come comodini, armadietti, e qualche quadro appeso. Avete presente una #backroom? Ecco, quella cosa lì, ma di più.
Uno spazio liminale dove non potevo interagire apparentemente con nulla, un'ambientazione analog-horror che non era né un atrio, né un appartamento.
Mi viene aperta la porta d'ingresso – quella frontale – da un uomo anziano con i baffi e il berretto. All'interno, con lui, un ragazzo di colore, anch'egli col berretto e con un paio di auricolari bluetooth, e una badante russa di circa sessant'anni. Tutti e tre trafficavano in maniera apparentemente afinalistica, ma la signora russa imprecava nella sua lingua, a tal punto che potevo leggere i sottotitoli in cirillico (senza capirci comunque un cazzo)
“Oh no, sono finito nell'inferno degli NPC!”
pensai io.
Infine, lei: la paziente.
Donna di circa 120kg, stampella appoggiata al mobile, che mi invitava a seguirla, un po' claudicante.
CENTOVENTI CHILI, PROTESI DI GINOCCHIO FRESCA DI DIECI GIORNI, CAMMINA SENZA SUPPORTI
WOW!
Continua il mio viaggio in questo ambiente disturbante e, tra brevi spazi angusti ed elementi sparsi di accumulo seriale, io e la paziente raggiungiamo la camera da letto.
Dentro c'era roba. Poi roba, e altra roba, tutta classificata in scatole semirigide come quelle che si acquistano nei magazzini cinesi che riportavano particolari descrizioni tipo “camicie belle”, “tute da casa”, “camicie per uscire”.
L'armadio era un lungo appendiabiti a rotelle con appesi almeno una cinquantina di giacche ed indumenti. E, sopra l'armadio, scatole, ed altre scatole.
Tra un piano d'appoggio e l'altro, in un angolo della stanza, un'abat-jour da terra collegata ad una ciabatta multipresa posizionata vicino al letto. Per accenderla, la paziente mi invitò ad avvitare leggermente la lampadina in modo che facesse contatto.
Così, alla luce soffusa della lampada da terra, appare la ciliegina sulla torta:
La parete in testa al letto è tappezzata di fotografie della signora in giovane età e in pose decisamente spinte e piuttosto volgari, a volte senza alcun indumento.
In questa surreale location, pompa di calore sparata a 27 gradi e paziente sul letto con uno scaldasonno sul petto, anch'esso collegato alla ciabatta multipresa.
Mentre valuto i movimenti del ginocchio, la signora, soporosa, risponde alle mie domande lentamente, a rate, con un filo di voce stridula e gli occhi chiusi.
Un respiro affannoso dal timbro suino mi spinge a guardarmi intorno per vedere se ci sia un bulldog inglese nella stanza, ma nulla: è solamente il respiro della paziente, la quale, contro ogni aspettativa, è completamente vigile.
Terminata la mia visita, vi assicuro, fu quasi difficile riabituare i miei sensi all'ambiente esterno.
Lentamente le mie funzioni cognitive tornarono alla normalità, misi pazientemente in ordine la sequenza temporale di quell'interminabile ora e, dopo qualche minuto all'aria aperta, pensai che il mio stato confusionale era talmente severo, che perfino un bicchiere di whisky avrebbe potuto farmi riprendere.
Per ovvi motivi, non bevvi mai quel bicchiere.
Portai invece, al cospetto dei colleghi, una bella sorpresina: perché sì, la paziente era mia, ma dicembre è anche periodo di ferie.
Quindi vivo con la consapevolezza che forse, prima o poi, qualcuno mi restituirà il favore...
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Tutti i soggetti menzionati in questo post sono sotto pseudonimo, e gli eventi descritti sono volutamente esposti in toni caricaturali e non coerenti con le situazioni da cui sono tratti. Ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale.
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