Non sparate sul pianista

Storie dal mondo della musica rock e non solo

Stevie Ray Vaughan, il Jimi Hendrix bianco

Questa storia la raccontiamo a partire dalla fine. Perché proprio la sua fine, assurda, insensata e forse anche un po’ banale a renderla particolare.

È la notte del 27 agosto 1990 e al Pine Valley Music Theater di East Troy, Wisconsin, si è tenuto un concerto a cui hanno partecipato parecchi musicisti, fra cui Robert Cray, Buddy Guy, Eric Clapton e Stevie Ray Vaughan. I musicisti alloggiano a Chicago e per fare il viaggio di rientro hanno a disposizione un elicottero. Quando è ora di prendere il volo di ritorno, il primo viaggio toccherebbe a Slow Hand, ma Stevie Ray è stanchissimo e chiede di poter andare per primo e Clapton dice che per lui va bene. Così partono Stevie e tre membri dello staff di Eric Clapton, Bobby Brooks, Night Browne e Colin Smythee. La zona è avvolta da una fitta nebbia e il pilota non è molto esperto di volo in quelle condizioni. Improvvisamente l’elicottero si schianta su una collina. Non si salva nessuno. E in questo modo, molto poco da rockstar, muore uno dei più grandi chitarristi blues di tutti i tempi. E per una di quelle strane sliding door del destino si salva la vita Eric Clapton.

Stevie Ray Vaughan nasce il 3 ottobre del 1954 a Dallas ed è attratto dalla musica e in particolare dal blues fin da giovanissimo. È il fratello Jimmy , che sarà poi il chitarrista dei Fabulous Thunderbirds, ad avvicinarlo alla chitarra e all'ascolto dei grandi musicisti blues del passato, come Albert King, Otis Rush o Lonnie Mack.

Le prime esperienze sono, come sempre, in qualche piccolo complesso locale, sempre assieme al fratello, ma l'anno della grande decisione è il 1972, quando si trasferisce a Austin, deciso a dimostrare il suo valore. Passa di continuo da un gruppo all'altro, senza però trovare quello che sta cercando. A questo periodo risalgono le esperienze con i Nightcrawlers e i Paul Ray & The Cobras. (con i quali registra il demo “Texas, Clover”). Infine, nel 1977 fonda assieme alla cantante Lou Ann Burton i Triple Threat Review, che presto diventeranno i Double Trouble. Quando, nel 1979, Burton decide di intraprendere la carriera solista i Double Trouble assumono la formazione definitiva (Stevie Ray Vaughan alla voce e alla chitarra, Chris Layton alla batteria e Tommy Shannon al basso), SRV trova il suo equilibrio ideale e iniziano a vedersi i primi frutti di questo stato di grazia.

A scoprire e lanciare Stevie Ray Vaughan è niente meno che Mick Jagger, che lo sente suonare e lo segnala al produttore Jerry Wexler, il quale lo porta al Montreux Jazz Festival del 1982, dove ottiene un successo clamoroso, tanto che David Bowie, dopo averlo sentito, lo ingaggia per la registrazione dell'album “Let's Dance” e per il successivo tour. Si tratta però di un passo falso: a metà del tour Stevie insoddisfatto dal tipo di musica che gli fa suonare Bowie, così lontana dalle sue radici, decide di abbandonare tutto e se ne torna in Texas. Ma grazie ai soldi guadagnati con Bowie e all'incontro con il produttore John Hammond sr. nel 1983 incide il suo primo album “Texas Flood”. Finalmente, a 28 anni, ha raggiunto la maturità artistica: produce assoli travolgenti e di una qualità rara e anche la sua voce è ottima per il blues.

Passa un solo anno e supera anche la prova più difficile per un'artista: il secondo album. “Couldn't stand the weather” è un successo e lo lancia nei primi 30 posti della classifica, facendogli vincere anche un disco d'oro. Questo album contiene anche la sua famosa versione di “Vodoo Child” di Jimi Hendrix. Con “Soul To Soul” del 1985 si aggiunge anche il quarto Double Trouble, il tastierista Reese Wynans, mentre Vaughan è sempre più richiesto, tanto che partecipa come guest star ai dischi di Johnny Copeland (“Texas Twister”), James Brown (“Gravity”), Marcia Ball (“Soulfull Dress”) e del suo idolo Lonnie Mack in “Strike Like Lightning”. Il ritorno al Montreux Jazz Festival viene immortalato nell'album “Blues Explosion” che gli fa vincere il primo Grammy Award.

Ma, come sempre, non è tutto oro quello che luccica e l'abuso di alcool e droghe, che da tempo affligge l'artista, inizia a creargli molti guai, finché, nell'ottobre del 1986, in Germania, non collassa sul palco finendo prima ricoverato in ospedale poi in un centro di disintossicazione in Georgia dove rimane per oltre due mesi.

Torna in studio nel 1989 per incidere “In Step”, che venderà oltre un milione di copie, facendogli vincere un secondo Grammy Award, poi, l'anno successivo, assieme al fratello, collabora con Bob Dylan in “Under The Red Sky”.

Tutto però finisce quel 27 agosto 1990 quando le già citate sliding door della vita mettono lui su quell'elicottero al posto di Eric Clapton e ci portano via uno dei talenti più cristallini delle sei corde.

Di lui ci restano sei album in studio (quelli citati, più il non esaltante “Family Style” inciso nel 1990 con il fratello Jimmy e “The Sky is Cryng” uscito postumo nel 1991), le sue performance al Montreux Jazz Festival oltre alle collaborazioni con altri artisti.

Riposa al Laurel Land Memorial Park di Dallas, accanto al padre, morto il suo stesso giorno, ma quattro anni prima.

Nella sua carriera ha usato diverse chitarre, quasi esclusivamente Fender, ma la preferita fu sempre la Stratocaster sunburst del 1963 che aveva acquistato nel 1973 ad Austin e successivamente decorato con l’iconica scritta SRV in corsivo maiuscolo sul corpo, chiamata dal musicista “Number One” o “First Wife”, oggi di proprietà del fratello di Stevie, Jimmy, anche se qualcuno dice che sia stata sepolta con lui. Per chi volesse approfondire la storia di questa chitarra qua trovate un bellissimo articolo che la racconta.

E ora ascoltiamolo in “PrideAnd Joy” live dal Montreux Jazz Festival del 1982

The Breakfast Club

Breakfask Club

On this day (7th June) in 1985 The Breakfast Club was released in UK cinemas.

Come ricorda il contributo Youtube postato dai Simple Minds qualche giorno fa, il 7 giugno del 1985 “The Breakfast Club” veniva rilasciato nelle sale cinematografiche inglesi. Il film ha un'importanza cruciale per il gruppo scozzese poiché all'interno della sua colonna sonora si trova il brano “Don't you (forget about me)”, composto appositamente per il film da Keith Forsey e Steve Schiff, che ha segnato l'esplosione globale della band di Glasgow. I Simple Minds hanno sempre avuto un rapporto ambivalente con questa canzone, poiché, se da un lato ha contribuito a renderli famosi a livello internazionale, dall'altro è uno dei pochi brani che non hanno scritto loro stessi. Originariamente, la canzone era destinata a essere cantata da Billy Idol, ma è stata poi proposta anche a Bryan Ferry, The Fixx e ai Pretenders, che l'hanno rifiutata, finché Chrissie Hynde, cantante dei Pretenders e moglie di Jim Kerr dei Simple Minds, ha suggerito il gruppo di suo marito, portando il brano al successo.

Il film racconta la giornata di sabato 24 marzo 1984, quando cinque studenti della Shermer High School di Chicago si presentano alle 7:00 del mattino per una detenzione di un'intera giornata: il timido Brian Johnson, il volatile lottatore [1] Andrew Clark, l'introversa solitaria Allison Reynolds, la snob popolare Claire Standish e il ribelle delinquente John Bender. In una voce fuori campo, i cinque vengono descritti rispettivamente come “un cervello, un atleta, un handicappata[2], una principessa e un criminale”.

Si riuniscono nella biblioteca della scuola, dove il vicepreside Richard Vernon li avverte di non parlare, spostarsi dai loro posti o dormire fino alle 16:00, quando verranno liberati; li incarica di scrivere un saggio di mille parole in cui devono descrivere “chi pensi di essere”. Poi se ne va, ritornando solo occasionalmente per controllarli e rimproverarli verbalmente.

John ignora le regole e passa la maggior parte del tempo intimidendo o molestando Claire, Brian e Andrew. Avendo un rapporto completamente ostile con il preside, John risponde in modo sfacciato e insulta Vernon, il che porta John a ricevere un'ulteriore detenzione di otto fine settimana. Poco dopo, i cinque escono di nascosto dalla biblioteca per recuperare la scorta di marijuana di John. Quando vedono che Vernon sta tornando in biblioteca, John si fa deliberatamente scoprire mhentre gli altri rientrano di nascosto. John viene rinchiuso in un ripostiglio come punizione, ma riesce a scappare e torna in biblioteca strisciando attraverso i pannelli del soffitto per poi cadere attraverso di essi nella biblioteca. Vernon indaga e gli altri aiutano John a nascondersi e a inventare delle scuse per il rumore.

Gli studenti passano il tempo parlando, discutendo, ascoltando musica e fumando marijuana. Gradualmente, si aprono e rivelano i loro segreti e le loro difficili relazioni con i genitori. La popolarità di Claire la sottopone a una forte pressione dei coetanei, e i suoi genitori la usano per farsi valere durante le loro liti. È in detenzione perché ha saltato la scuola per andare a fare shopping. Il padre di John è fisicamente e verbalmente violento nei suoi confronti e verso sua madre, ed egli è stato in detenzione per aver tirato un falso allarme antincendio, secondo quanto racconta Vernon. Andrew non è in grado di pensare autonomamente poiché suo padre lo intimorisce affinché eccella nello sport e considera qualsiasi forma di debolezza con disprezzo. È stato mandato in detenzione per aver avvolto con il nastro adesivo i testicoli di un compagno più debole per apparire superiore e guadagnarsi l'approvazione del padre. Brian è sotto una tale pressione da parte dei genitori per ottenere buoni voti che ha contemplato il suicidio dopo aver preso un F in una lezione di tecnologia. È stato mandato in detenzione per aver portato una pistola di segnalazione a scuola con quella finalità e i suoi genitori non sono stati turbati da questo tentativo. Allison è una bugiarda compulsiva con genitori negligenti e ruba costantemente oggetti casuali da usare nel caso decidesse di scappare di casa. Ammette di essere venuta in detenzione solo perché non aveva nulla di meglio da fare. Si rendono conto che, nonostante le loro differenze, affrontano problemi simili.

Nel frattempo, Vernon si lamenta con il custode Carl dicendo che gli studenti di oggi sono meno disciplinati rispetto a quelli degli anni precedenti della sua carriera di insegnante. Carl dice a Vernon che lui è l'unico che è cambiato e che agli studenti non importa di quello che pensa di loro.

Claire fa un profondo makeover ad Allison, suscitando l'interesse romantico di Andrew, poi decide di abbandonare il suo aspetto innocente e incontaminato baciando John. Sebbene sospettino che le loro nuove relazioni finiranno quando la detenzione sarà finita, credono che le loro esperienze reciproche cambieranno il modo in cui guardano i loro coetanei, nel senso che non guarderanno mai più una persona allo stesso modo.

Mentre la detenzione sta per finire, il gruppo chiede a Brian di scrivere il tema assegnato per tutti e John ritorna nel ripostiglio, così Vernon pensa che non sia mai uscito. Brian lascia il saggio in biblioteca perché Vernon lo legga dopo che se ne saranno andati. Mentre gli studenti si separano, Allison e Andrew si baciano, così come Claire e John. Allison strappa la toppa del campionato statale dalla giacca di Andrew per tenerla e Claire dà a John uno dei suoi orecchini di diamanti.

Quando gli studenti sono ormai usciti, Vernon legge il tema, che dice:

«Caro signor Vernon, accettiamo di essere stati in punizione a scuola di sabato qualunque sia stato l'errore che abbiamo commesso. Ma pensiamo che lei sia proprio pazzo a farci scrivere un tema nel quale dobbiamo dirle cosa pensiamo di essere. Tanto lei ci vede come vuole. In termini semplici, per essere più chiari, quello che abbiamo scoperto è che ognuno di noi è: un genio... e un atleta... e un pazzo[2], una principessa e un criminale. Abbiamo risposto alla domanda? Con affetto, il Breakfast Club.»

Mentre cammina verso casa attraverso il campo di football della scuola, John alza trionfalmente il pugno in aria.

Nel 2005, in occasione del ventennale degli MTV Movie Awards, MTV ha deciso di assegnare a The Breakfast Club il Silver Bucket Of Excellence Award poiché ritenuto il film più influente nella MTV Generation. Inoltre nel 2016 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso negli Stati Uniti.

[1] nella versione originale del film Andrew è un wrestler, mentre nel doppiaggio in italiano si fa riferimento a lui come fosse un giocatore di football

[2] nella versione originale del film viene utilizzato il termine “basket case”, traducibile colme “caso disperato”

Simple Minds – Don't You (Forget About Me)

Richey James Edwards

Richey Edwards

Ieri era il primo febbraio e, leggendo un tweet che lo citava, ho realizzato che era anche il ventottesimo anniversario della scomparsa di Richey James Edwards. Ma chi era Richey James Edwards e perché la sua scomparsa è così importante? Richey James Edwards era il chitarrista di una band che, pur non essendo mai stata “mainstream” ha influenzato in maniera importante la musica degli anni '90: i Manic Street Preachers. Ora, qua dobbiamo per forza aprire una parentesi su questo gruppo. Formatisi a Blackwood in Galles, nel 1986 furono inizialmente un gruppo punk rock per poi spostarsi verso il rock alternativo. Nati e cresciuti nel clima degli scioperi dei minatori degli anni 80 i loro testi erano decisamente orientati verso posizioni nettamente socialiste. In pieno stile punk e influenzati dai loro idoli (Guns n' Roses, Sex Pistols), i Manics (come venivano chiamati) si fecero una pessima reputazione anche a causa degli attacchi a molte altre band in voga in UK in quel periodo. A quel tempo il loro obiettivo era “Fare un disco che vendesse più di Appetite For Destruction dei Guns, poi tre concerti come headliners a Wembley e poi sciogliersi) Richey James Edwards era, come già detto, il chitarrista dei Manic Street Preachers oltre che autore (o coautore assieme a Nick Wire) di tutti i loro testi. Personaggio sicuramente problematico e borderline (soffriva di anoressia nervosa e sono note le sue tendenze all'auto mutilazione e all'alcolismo) arrivò a incidersi sul braccio “4 REAL” con una lametta durante un'intervista col giornalista del New Musical Express Steve Lamacq, per garantire l'autenticità della band. La cosa gli costò un ricovero in ospedale e 17 punti di sutura. La svolta nella vita di Richey avvenne, per l'appunto, il 1° febbraio 1995, quando lasciò la sua stanza all'Hotel Embassy a Bayswater Road a Londra alle 7 del mattino e semplicemente sparì nel nulla. La sua auto sarà ritrovata abbandonata il 14 febbraio 1995 alla stazione di servizio Severn View, vicino ad un ponte sul fiume Severn. Nessuno lo ha mai più rivisto. Nonostante i numerosi avvistamenti (fino in India) di lui non si sono più avute notizie. Gli inquirenti e la famiglia riuscirono a ricostruire i suoi movimenti nelle due settimane che intercorsero tra la sua scomparsa e il ritrovamento della sua auto (vicino a un ponte teatro di suicidi nel passato). Lasciò l'hotel, tornò a casa (dove lasciò i suoi documenti e antidepressivi). Fu visto a Newport all’ufficio dei passaporti e ad una stazione bus. Il 7 febbraio prese un taxi con cui fece un tour per le zone della sua infanzia, compresa Blackwood. Si fece lasciare all’area di ristoro dove poi fu trovata la sua auto. L’auto era chiusa e forse per qualche giorno visse lì. Lasciò un pacco di libri incartato e un biglietto per una certa Jo, della quale, a quanto pare, era innamorato ma forse non ricambiato. Non fu mai trovato. Alcuni suppongono che si sia gettato dal ponte, e sia morto, ma in 28 anni il suo corpo non è mai stato trovato. E’ plausibile, visto il suo stato mentale, che abbia deciso di togliersi la vita, anche se nelle interviste lui aveva sempre detto di non averci mai pensato. Altri pensano che invece sia scappato, abbia cambiato vita e viva nell’anonimato. Ventototto anni fa era più facile sparire e non farsi più trovare. Negli anni ci sono stati alcuni avvistamenti: a Goa in india, insieme a degli hippy, e poi a Lanzarote e Fuerteventura alle Canarie. Ma nessuno di questi è stato mai confermato, nessuna prova. Nel 2008 fu dichiarato “presunto morto”, ma a noi piace pensare che viva felice in qualche parte del mondo libero finalmente dai suoi demoni.

Chi era Meat Loaf

Meat Loaf

Ai più giovani il nome di Meat Loaf non dirà molto, ma il “Polpettone” è stato una delle figura più significative del rock degli anni 70. Nato a Dallas il 27 settembre 1947 con il nome di Marvin Lee Aday (nome che cambiò in Michael Lee Aday nel 2001), si trasferì a Los Angeles nel 1967, dove fondò il gruppo Meat Loaf Soul and Popcorn Blizzard, con cui fece da supporto agli Who, Stooges, e Ted Nugent. Nel 1975 prese parte al celebre film “The Rocky Horror Picture Show”, nel quale interpretava la parte di Eddie e cantava “Hot Patootie/Bless My Soul”. Il grande successo stava per arrivare, con il suo album successivo, Bat Out Of Hell. Prodotto da Todd Rundgren e con le canzoni scritte da Jim Steinman (geniale autore di canzoni come “Total Eclipse Of The Heart” di Bonnie Tyler) richiese quattro anni per essere realizzato. L'album ebbe un enorme successo commerciale, vendendo più di 43.000.000 di copie, con una media di 200.000 vendute ogni anno. Il disco contiene 7 tracce, ognuna delle quali è una mini opera. Fu, di fatto il suo unico grande successo, anche perché poco dopo il sodalizio artistico con Steinman terminò, e con esso il successo di Meat Loaf.

Bat Out Of Hell

Il pezzo, uno dei più iconici di Meat Loaf (il titolo significa letteralmente “pipistrello fuori dall'inferno”, ma la frase viene usata anche nel senso di “Molto veloce”) fu definito dal suo interprete ispirato a Anthony Perkins e Psycho di Hitchcock anche la cosa sembra decisamente fantasiosa.

L'album contiene anche un'altra canzone scritta da Steinman per Meat Loaf, anch'essa piuttosto famosa, ovvero “Paradise By The Dashboard Light”. Il pezzo anch'esso dalla durata eterna, è cantata assieme a Ellen Foley ed è una storia epica divisa in tre parti, che racconta la vicenda dell'amore di queste due persone nell'arco degli anni, passando dalla passione dei primi tempi fino agli ultimi giorni, nei quali tutti e due sperano che la storia finisca presto, perché stare insieme ulteriormente potrebbe ucciderli. Nel pezzo suonano Roy Brittan e Max Weinberg, già con Springsteen nella E Street Band e, ad un certo punto si sente una voce che racconta ciò che sta accadendo usando una metafora sul baseball. Chi parla è Phil Rizzuto, ex giocatore dei New York Yankees, divenuto dopo il ritiro, speaker della squadra.

Paradise By The Dashboard Light

Al successo di Bat Out Of Hell seguì un lungo periodo di oblio, durante il quale finirà persino in bancarotta, fino al nuovo incontro con Steinman e alla realizzazione di Bat Out of Hell II: Back into Hell, con il quale riscuoterà di nuovo un buon successo. Completerà poi la trilogia con Bat Out Of Hell III: The Monster Is Loose del 2006.

Nella sua lunga carriera ha pubblicato 20 album (9 in studio, 8 live e 3 raccolte).

Parallelamente ha intrapreso anche una lunga carriera come attore: oltre al già citato Rocky Horror Picture Show ha recitato in Roadie – La via del rock, Pazzi in Alabama e Fight Club, tanto per citare alcuni film.

Ha avuto due mogli e due figlie e si è spento a 74 anni per cause che non sono state specificate dalla famiglia.

Mr. Bad Example

Warren Zevon

Era da tanto che volevo scrivere qualcosa su Warren Zevon e l'occasione è arrivata visto che il 7 settembre è stato l'anniversario della sua morte. Warren Zevon è stato un personaggio assolutamente fuori dagli schemi, qualcuno lo definisce irriverente e forse è proprio così. La sua carriera ha avuto alti e bassi, sia commerciali che artistici, ma di sicuro si tratta si un grandissimo artista, sicuramente molto sottovalutato finché è stato in vita. Ottimo musicista (pianista in particolare), era un grande amico di David Letterman, nel cui show era spesso ospite. Fu proprio da Letterman che Zevon durante la sua ultima apparizione, il 30 ottobre del 2002 annunciò che era malato di un cancro incurabile (un mesotelioma peritoneale, per essere precisi) e che avrebbe dedicato il tempo che gli restava da vivere alla realizzazione di un ultimo disco. Questo già dovrebbe dare un'idea del personaggio, che anziché pensare a curarsi, almeno per alleviare il dolore, pensava alla musica fino alla fine dei suoi giorni. Un uomo che non ha mai avuto paura della morte, fino a sfidarla in tante sue canzoni (“Wanted dead or alive”, “Life’ll kill ya”, “I’ll sleep when I’m dead”), caustico fino alla fine, tanto da rispondere alla domanda di Letterman se temesse di non riuscire a finire il disco “Male che vada farò un Ep...”. E allora facciamo un viaggio nell'ultimo disco, “The Wind” uscito proprio pochi giorni prima della scomparsa dell'artista. Warren Zevon voleva chiudere la sua vita facendo musica, ma soprattutto facendolo assieme alle persone a cui era legato. Così per la realizzazione del disco chiamò a raccolta i suoi vecchi amici per fare assieme a loro l'ultimo pezzo di strada. Bob Dylan, appena saputa la notizia riempì le serate del suo tour con canzoni di Zevon, il quale in risposta inserì nel disco la sua versione della arcinota “Knockin' on heaven's door”, della quale il nostro fa una versione molto sincera, nella quale spicca il grido “Open up! Open up!”, come a voler spalancare i cancelli del paradiso. Ma tutto il disco è una produzione di alto livello, grazie soprattutto ai già citati amici (da Jorge Calderon, suo amico da una vita e co autore di molti pezzi e poi Bruce Springsteen, Ry Cooder, David Lindley, Tom Petty, Emmylou Harris, Jackson Browne, T-Bone Burnett, Don Henley, Billy Bob Thornton e Dwight Yoakam). Il disco si apre con la ballata western “Dirty life & times”, che apre l'album (e avrebbe dovuto anche dargli il titolo, in origine), con la chitarra di Ry Cooder che accompagna il racconto della vita di un vecchio peccatore. Nel pezzo ci sono anche le voci di Dwight Yoakam e Billy Bob Thornton che cantano con Warren e l'ex Eagle Don Henley ai cori. Quando Bruce Springsteen ha saputo della malattia dell'amico e della sua idea di fare questo disco è corso da lui e il risultato è “Disorder in the house”, una canzone di rock'n roll allo stato puro, con il Boss che oltre a cantare con Zevon suona la chitarra dando la sua inconfondibile impronta al pezzo, grazie anche a Jim Keltner alla batteria. A seguire troviamo la già citata cover di “Knockin On Heaven's Door”, dal ritmo immutato rispetto all'originale, con la batteria di Steve Gorman dei Black Crowes e il coro di voci tra cui il già citato Billy Bob Thornton, ma anche Jackson Browne, Tommy Shaw, Jim Waite e la chitarra di Brad Davis. La melodia del pezzo scorre fluida e emoziona anche se il pezzo è arcinoto. “Numb As A Statue” è una ballata in stile californiano molto anni '70, grazie anche all'assolo di chitarra di David Lindley che ricorda i vecchi pezzi di Jackson Browne, con Warren al suo pianoforte e alla voce. Un altro pezzo (non l'ultimo) decisamente rock. A seguire troviamo “She's Too Good For Me”, con la partecipazione degli ex Eagles Don Henley e Timothy B Schmit. Una ballata semiacustica, molto dolce, abbellita dalle percussioni di Luis Conte, nella quale Zevon, con tono incredibilmente sereno e spensierato ci ricorda che l'unico modo per amare davvero nasce dalla coscienza della propria inadeguatezza. “Prison Grove”, la canzone con più ospiti di tutto il disco è un pezzo triste, piuttosto oscuro, in cui un condannato a morte invoca la luce nel buio della propria cella. Oltre ai già citati Cooder, Lindley, Browne, Keltner, Springsteen e Thornton, troviamo anche T-Bone Burnett, Reggie Hamilton e Jordan Zevon, figlio di Warren. Ci avviamo oltre la metà del disco con “El Amor De Mi Vida”, un ballata spagnoleggiante con molte parti cantate in spagnolo da Jorge Calderon, come detto amico di Zevon e autore assieme a lui di molte canzoni di questo disco. L'ultima incursione del rock'n roll duro e puro arriva con “Rest of the Night”, con Tom Petty e Mike Campbell che confezionano un pezzo vibrante, elettrico e potente. Un brano dal feeling immediato e la cui melodia prende immediatamente. “Please Stay” ci riporta ad una melodia pura, intensa e profonda, con la voce di Emmylou Harris che doppia quella di Warren che, al pianoforte duetta con il sax di Gil Bernal. Da brividi. Con “Rub Me Raw” Zevon torna alle origini, con un pezzo di blues puro, con Joe Walsh e la sua chitarra protagonisti assoluti, il pezzo ideale per condurci alla conclusione del disco, dove ci aspetta la perla finale. “Keep me in your heart” è la conclusione del disco e una sorta di testamento spirituale: per registrarla Zevon ha trovato la forza di sollevarsi dal letto dopo due mesi di immobilità, anche se non voleva che fosse un pezzo che facesse piangere la gente. La missione però è riuscita solo in parte, perché inevitabilmente quando lo si sente cantare “maybe you'll think of me and smile/ keep me in your heart for awhile” trattenere le lacrime è impossibile.

Ma in fondo “The Wind” non è un addio, non è l'ultimo saluto portato da amici e colleghi a un uomo alla conclusione della sua vita, ma l’ennesima sfida lanciata da Warren Zevon al suo destino.

In memoria di Charlie Watts

Charlie Watts

Il 24 agosto 2021 sarà una data da ricordare. Sì, perché è morto il primo dei Rolling Stones. È vero, una volta c'era Brian Jones, ma la sua morte, per quanto dolorosa e segnante per il gruppo è ormai tra le pieghe della storia, oltre 50 anni fa, quando, nel 1969 Brian entrò a far parte del famoso “Club 27”, morendo, per l'appunto a 27 anni sul fondo della sua piscina in modo non del tutto chiaro, anche se forse si trattò di un malore causato dall'abuso di alcool e droghe. Ma gli Stones che ricordano quelli della mia generazione, quelli nati negli anni 70 sono Mick Jagger Keith Richards, Ron Wood e Charlie Watts, poche storie. E noi che li credevamo ormai eterni oggi dobbiamo misurarci con il fatto che, al contrario di quello che pensavamo, anche i Rolling Stones sono mortali. Charlie Watts era il più “normale” degli Stones, se mai questo aggettivo si può applicare a qualcuno. Composto, posato, sposato per tutta la vita con Shirley Ann Sheperd, era l'opposto di Jagger e Richards, ma nonostante questo era perfettamente in grado di farsi rispettare dalle due primedonne del gruppo, anzi, a detta di chi conosce bene le dinamiche interne dei Rolling Stones era il vero collante che teneva insieme anche due personalità forti come Mick e Keith. Il suo carattere si rispecchiava anche nel suo modo di suonare: molto pulito e regolare, ma non per questo privo di tecnica, anzi (Rolling Stone lo mette al 12° posto tra i migliori 500 batteristi di tutti i tempi). Questa sua caratteristica, molto apprezzata da chi suonava con lui, lo accomuna ad un altro grande batterista della sua generazione, Ringo Starr. Mi piace ricordarlo con un aneddoto, ripreso da “Rock Bazar – 575 Storie Rock” di Massimo Cotto (che vi consiglio di leggere se non lo avete mai fatto):

Ottobre 1984, Amsterdam, cinque del mattino. Charlie è nella sua stanza d'hotel quando viene svegliato da una telefonata. Risponde, preoccupato per l'orario. Dall'altra parte Mick Jagger e Keith Richards, appena rientrati da una notte brava, che hanno la stupida idea di chiamarlo al telefono. «Ehi, dov'è il mio batterista? Perché non porti qua il tuo culo?» dice Mick. Charlie non fa una piega. Riappende il telefono, va in bagno, si fa la barba, indossa lo smoking, lucida le scarpe, le indossa e si presenta alla porta della stanza di Keith Richards, cerca Mick Jagger e gli sferra un terribile cazzotto in faccia, facendolo volare su un piatto di salmone affumicato e da lì verso la finestra (al ventesimo piano) prima che Keith lo afferri per un piede impedendogli di volare giù. Jagger resta a terra, non osa rialzarsi, guarda Charlie Watts che gli dice: «Non chiamarmi più il mio batterista, sei tu il mio fottuto cantante del cazzo».

Uomini di un altra epoca. Insegna agli angeli a suonare la batteria, Charlie.