«Ma non era bianca, Edith era italiana!»

Corriere della Sera | 12 gennaio 2022 | di Gian Antonio Stella

Non so che viso avesse, neppure come si chiamava, canterebbe Francesco Guccini sulle note de La locomotiva. Forse si chiamava Concetta, Rosaria, Assunta... Sappiamo però che era arrivata in Alabama da qualche contrada della Sicilia e che per sfuggire al razzismo imperante negli States (come avrebbe fatto anni dopo anche Anna Maria Italiano: la straordinaria Anne Bancroft) aveva cambiato nome scegliendone uno inconfondibilmente anglo-sassone: Edith Labue. Ma che neppure questo era riuscito a toglierle di dosso il marchio delle origini. Certo è che fu coinvolta in un processo narrato ottant’anni più tardi dalla storica francese Bénédicte Deschamps nel saggio Le racisme anti-italien aux États-Unis, il razzismo antitaliano negli Stati Uniti, nell’opera collettiva Exclure au nom de la race. Sul banco degli imputati c’era un nero, Jim Rollins, condannato in primo grado per avere avuto rapporti sessuali con una bianca. La «miscegenation», mescolanza di razze, era allora un reato grave. Lo stesso nel quale incorsero anche dopo l’elezione di John Kennedy (!) perfino il papà (Barack Obama sr, keniota finito alle Hawaii con una borsa di studio) e la mamma Ann Dunham (nata in Kansas) del futuro presidente Barack Obama prima che la Corte Suprema nel 1967 dichiarasse quel reato (era ora!) incostituzionale. «Ma non era bianca, era italiana!», aveva urlato Rollins facendo ricorso in appello. E la Corte, incredibile, gli diede ragione. E nella scia dei peggiori razzisti americani che consideravano gli italiani «mezzi negri» (perché sennò veneravano il Cristo nero di Siculiana, San Benedetto il Moro patrono di Palermo, San Calogero il Nero d’Agrigento, San Filippo il Nero di Agira, San Zeno il Nero di Verona, la Madonna nera di Loreto e così via?) assolse l’imputato sostenendo che essendo Edith Labue d’origine siciliana, «non si poteva assolutamente dedurre che ella fosse bianca, né che fosse lei stessa negra o discendente da un negro». Era il 1922. L’anno in cui arrivò al potere il Duce. Che teorizzerà la «razza ariana» italica, imporrà le Leggi Razziali e farà cantare ai bambini filastrocche così: «Con la carne del Negus ci farem la mortadella / per darla da mangiare agli stronzi d’Inghilterra». È passato un secolo, da quel ‘22. Ma agli italiani interessa ricordare?

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