Ricorda un certo tipo di fantascienza la storia della #bidellapendolare, che così tanto ci ha impegnato in questi giorni. Quel tipo di letteratura o film in cui, tramite una storia fantastica e proiettata in un futuro -di qualsiasi genere-, si parla in realtà del presente, degli accadimenti già passati o di qualche storia accaduta realmente. Si maschera la realtà con la fantasia del dopo, del divenire.
Gli somiglia perchè, senza andare lontano, quello che contiene è la foto di una parte dell'Italia attuale, una grande parte. Quella fetta di paese che vivacchia con lavori sempre meno solidi, dei pendolari eterni, delle paghe insultanti, della mobilità traballante. Non sta di certo a me dire se quello che ha occupato il web in queste ore sia vero o no. C'è chi ve/ce lo dirà con cognizione di causa (o di #debunking.)
Gli elementi che la compongono, però, dovrebbero indurre a quella riflessione che siamo così intenti a demandare da permettere che tutto quello di cui sopra sia argomento d'interesse sempre per troppa poca gente. Potete partire dagli affitti, ma senza circoscrivere il problema a Milano, dato che è comune a tutta Italia, ma proprio tutta.
Se volete, invece, si potrebbe discutere degli stipendi. Quelli che sono definiti così impropriamente, dato che il termine esatto sarebbe “elemosina.” O, ancora, dai prezzi dei trasporti: dato che è chiaro che l'erosione dei salari la pagano solo quelli che li hanno bassi e che per muoversi nessuno gli fa sconti, il conto è presto fatto.
Direi, quindi, che questa vicenda l'ho “letta” come un lungo sottotesto (quello che sta tra le righe, per dirla come un tempo) e ciò che vi ho trovato non è consolante, per niente e nessuno. Tutto il resto sono orpelli da #SocialNetwoek, per la maggior parte inutili e ridondanti. Come metà delle cose che scriviamo.
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