I fidanzati passano, gli amici restano

“Nuora”, “suocero”, “nipote”, “cognato”, “cugina”: la nostra lingua dispone di una gran quantità di vocaboli per definire accuratamente il grado di parentela che abbiamo con determinate persone. Per gli amici, invece, c'è una sola parola: “amici”, appunto. Eppure i rapporti più intimi li abbiamo proprio con loro, con le persone che conosciamo da una vita e che continuano a stare al nostro fianco, a vivere nella nostra rubrica telefonica anno dopo anno, a cui raccontiamo i nostri segreti, regaliamo il nostro tempo per ascoltarli, a cui elargiamo consigli e a volte conforto.

L'amicizia ha tante sfumature, e per ognuna dovrebbe esistere una parola diversa. C'è l'amica del cuore; c'è la persona conosciuta da poco e con cui il vincolo sta appena sbocciando; l'amico con cui andare al cinema; quello per raccontarci le cose intime; c'è la sintonia per coltivare un progetto comune; c'è l'amicizia con cui ti scambi i baci e magari ci fai pure l'amore; l'amicizia con cui condividi casa, l'affitto e le bollette; l'amicizia per studiare insieme; quella per giocare ai videogiochi, eccetera. Sono tutti tipi diversi, che noi chiamiamo con lo stesso nome. Credo che abbiamo bisogno di un lessico un po' più ampio.

Per i parenti, invece, abbiamo tante parole. Chi ha creato la lingua sembrava avere una grande urgenza di scandire i contorni del clan familiare.
La sfilza di parole che si usano per chiamare i congiunti (“nonno”, “zio”, “suocera”, ecc.) si possono ricondurre a due connessioni fondamentali: “chi è figlio di chi” e “chi sta con chi”. Questi due tipi di legami sono le connessioni di base che definiscono ogni nostra relazione di parentela. Un po' come i legami che uniscono un atomo all'altro in una molecola. Cos'è un nipote? È una molecola fatta con due legami “figlio di”, montati in sequenza, e infatti il nipote è il figlio del figlio del nonno. Molecola “fratello”? Di nuovo due legami “figlio di”, ma questa volta montati in parallelo in direzione di almeno un genitore comune. Per definire cos'è una “moglie” si usa un tipo di legame differente, che si chiama “in coppia con”. Vogliamo descrivere cos'è una cognata? Prendiamo le stesse connessioni fondamentali e le combiniamo in maniera leggermente più articolata: “moglie del fratello” o “sorella della moglie”. In breve, sono sempre gli stessi due blocchi semantici di base che si assemblano diversamente per formare svariate combinazioni.

Possiamo dire che il nostro lessico che descrive le associazioni tra persone è specializzato nei vincoli famigliari, e questi sono basati sui matrimoni e sul generare figli. Mi sembra una caratterizzazione non da poco, una propensione culturale (un bias) che costituisce una lente affatto indifferente attraverso la quale guardiamo la vita e le relazioni. Descriviamo con abbondanza di dettagli le connessioni create con la nascita e con il matrimonio, mentre usiamo molta meno accuratezza per i vincoli scanditi dalla comunione d'interessi, le emozioni condivise, le passioni e i progetti in comune, le collaborazioni e la complicità.

Non c'è da stupirsi se c'è tanta pressione sociale verso trovarsi un compagno/a, sposarsi, avere figli, “fare una famiglia” secondo i termini di cui sopra. È l'unica attività che costruisce relazioni che – nel linguaggio comune – hanno un nome.

E non c'è neanche da stupirsi se abbiamo creato espressioni stupide come “è solo un amico” per caratterizzare i vincoli gerarchicamente inferiori allo status di “fidanzato/a”. Perché per la nostra società gli amici non contano, mentre un “fidanzato/a” è un “marito” o “moglie” in potenza. Potrebbe insomma arrivare al passo successivo ed entrare nella cerchia dei soli vincoli umani che sono così degni di considerazione da avere una parola tutta per sé, mentre gli altri rimarranno “solo dei semplici amici”. Sempre secondo il nostro benedetto linguaggio corrente.

Tuttavia i fidanzati passano, gli amici restano, perché sono le persone che amiamo davvero. In molte relazioni di coppia tradizionali c'è purtroppo spesso possessione, gelosia, proiezioni dei desideri personali sulla persona con cui stiamo. Con le amicizie è diverso, è un amore più puro e disinteressato: permettiamo ai nostri amici di essere quello che sono, senza forzarli a essere come noi vorremmo. L'amicizia è quindi un sentimento molto più puro dell'amore di coppia, perché nella coppia c'è purtroppo spesso dell'egoismo. E allora, è ancora l'amicizia un'unione destinata appena all'avverbio “solo”?

Penso sia il caso di cambiare questo modo di vedere le cose. Poco a poco sta già succedendo: molti di noi hanno una sensazione a pelle che ci fa sentire davvero vicini agli amici del cuore. Però è il momento di prenderne coscienza, di trascendere la “sensazione a pelle” e farla diventare una cosa che sappiamo nominare, riconoscere, che valorizziamo tanto quanto, e forse anche più, delle relazioni “figlio di” o “sposo di”.

Oggi è il caso di riconoscere che amiamo i nostri amici.

Siamo tante le persone che stiamo mettendo in discussione i modi tradizionali di relazionarci affettivamente, i ruoli prestabiliti di cos'è un fidanzato, un marito, una moglie. Abbiamo intenzione di sostituirli con un modo di relazionarci basato sugli accordi, sul lavoro di riconoscimento dei propri bisogni, desideri e limiti, sull'espressione degli stessi, per trovare soluzioni soddisfacenti compatibili con le esigenze e le inclinazioni personali e non con degli stereotipi scolpiti nella roccia.

Così facendo arriviamo anche a ridefinire le nostre priorità e riconoscere il valore degli affetti e delle affinità, aldilà dei legami tradizionalmente annoverati come principali.

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