blocchi

Creare la cosa più probabilistica dopo questa. Ogni parola è figlia di quella prima di lei e sorella di tutte le figlie già generate in precedenza. La scrittura non è altro allora che un groviglio di bivi, un intreccio famigliare. Un incesto lessicale. Fare uscire qualcosa di vero da questi percorsi guidati è un'anomalia. Un'animalia. Una fera in parte bestia materna, in parte rettile squamoso, in parte viscere protocellulari.

Un fera in bosco di lemmi che girando struscia contro infiniti tronchi e ne resta impollinata di senso. E a un certo punto esce dalla selva e si trova là, nel piano della radura, dove solo è lettura e tempo. E cammina e brilla per tutti quei segni e quei pollini di cui è piena: e qui talvolta, suo malgrado, dice; significa. Qualcosa per qualcuno, per un po' di tempo. Poi niente, torna a essere pura materia probabilistica, funzione matematica del linguaggio.

Dico funzione, ma intendo finzione: finzione probabilistica dell'ingaggio; la vera e antica questione della sfida belluina, la disfida dell'ordine cavalleresco tra la fera e l'altro che la ferisce e si fa ferire. Quello che si mette lì e legge e ancora non sa se lo fa per medicazione, per benedizione o per farsi aprire feritoie che dall'esterno all'interno fanno entrare morbi e aria e luci; e dall'interno all'esterno secernono muchi e batterici succhi e spermi dell'intelletto.

Fare le cose così. Che fatica. Pezzo per pezzo. Ancora più fatica. Pagare i propri debiti. Amare i propri oggetti. Perdere gli oggetti, desiderare che vadano a pezzi. Frammenti. Digrignare i denti per la rabbia. Di giorno. Di notte quando si dorme. Pensare di essere stati fregati. Guardarsi attorno e vedere che la fregatura è generalizzata, ma non universale. Digrignare i denti. In fondo – disse la fanciulla – non era ancora chiaro che saremmo stati fregati. C'era un margine di errore. Vero. Eppure. Non sia mai che. La fanciulla è ingenua, ma pratica. Ci sono un sacco di romanzi che potrei leggere per rassicurarmi.

Stare male, ma con un certo benessere. Lo diceva anche il tipo dai cinesi. Non mi sono voltato, non l'ho nemmeno visto in faccia. Ci sono sempre più ricchi da una parte e sempre più poveri dall'altra. E in mezzo quelli dammezzo. Quelli che fingono di essere ricchi. Con disperazione. Non ha detto proprio così, ci ho messo del mio. E quando mai non l'ho fatto? Io bevevo il mio ramen, mangiavo e bevevo il ramen. Digrignavo i denti, pensavo:. Niente in particolare. Ogni cosa che dicevo era fallimentare.

Pile di fogli millenari, decennali, la mia vita tra bollette, multe, richieste di, sanzioni. Libri del malessere, da rilegare. Alla luce li sfoglio, digrigno i denti. Certificati. Chissà – mi chiedo – se ho ancora un organo sessuale da qualche parte. Se non ci pensi non esiste. Che amarezza. Per fortuna che sono una testa di cazzo. Che dimentico tutto. Pronto a rovinare di nuovo. Domani. Meglio. Rovinare meno, rovinare tutti.

Rilegare tutti quei fogli e farne un libro. Aggiungere i certificati medici. I risultati delle analisi. Le anamnesi. Valori dell'emoglobina. Schede personaggio. Dentro sento i blocchi che se ne vanno. Ma fuori sorrido. Faccio una battuta a mio figlio. Mi metto in piedi dal portatile. Faccio uscire i blocchi. Uno a uno. Sono come avvolti nel muco. Li devo pulire, li passo sui pantaloni. È la bava della lingua. Passa anche lì. Non si perde niente. Poi trascrivo. Salvo. Non si perde niente.

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